Il Dpcm che attua le previsioni
dettate dal d.l. 1/2022 sulla necessità di esibire il green pass per accedere
ad una quantità molto elevata di attività “che si svolgono al chiuso” porta con
sé una serie di rischi molto rilevanti. Che non sembra siano stati
sufficientemente valutati dai decisori.
Sostanzialmente, non è stato individuato nessun ufficio pubblico al quale si possa accedere senza il green pass almeno di base.
E’ chiaro l’intento: indurre
quante più persone possibile, tra quelle che ancora non si sono vaccinate a
farsi iniettare il vaccino, per ridurre ulteriormente rischi e pressione sul
sistema sanitario.
Tuttavia, l’impianto normativo,
al di là dell’ampio problema della commisurazione tra obblighi connessi al
possesso del green pass (e vaccinali) ed esercizio di alcuni bisogni primari,
pare finisca per rivelarsi eccessivamente vessatorio, e scarsamente ragionevole
e proporzionato sul piano del diritto
Nella versione del Dpcm fin qui
circolata (e a meno di Faq che, non si sa con quale legittimazione, modifichino testo e significato del Dpcm stesso), per fare un esempio, non c’è alcuna esenzione all’obbligo di esibire
il green pass per coloro che per riscuotere la pensione, essendo privi di un
conto corrente domiciliato, si rechino agli uffici postali. Considerato che il
Dpcm in questione serve proprio a individuare quali servizi siano “essenziali”,
al punto da poter essere accessibili senza green pass, sembra singolare che il
Presidente del Consiglio non reputi tale la riscossione della pensione da parte
di persone non più idonee a lavorare. In altri termini, secondo il nuovo Dpcm
non sarebbe essenziale la possibilità di entrare in possesso forse dell’unico
mezzo di sostentamento di cui si dispone. L’impossibilità di riscuotere la
pensione da parte di chi non sia almeno titolare di una certificazione verde da
tampone negativo rischia, peraltro, di contrastare con il principio di eguaglianza.
Basti pensare a due pensionati parimenti sprovvisti di green pass, ma uno dei
quali si faccia accreditare la pensione su un conto corrente, mentre l’altro la
vada a prendere allo sportello: con il nuovo Dpcm, l’uno non avrà alcun
problema, mentre l’altro vedrà preclusa la possibilità di acquisire la somma
cui ha diritto.
Ora, è ben vero che il problema
in linea teorica è risolvibile appunto aprendo un conto col quale domiciliare,
ma il decisore, evidentemente, non tiene in considerazione la circostanza che
una minoranza, piccola, ma pur sempre sussistente, di persone non ha
materialmente le competenze e cognizioni sufficienti per compiere questa
azione, l’apertura di un conto con domiciliazione, che alla gran parte appaiono
facili e semplici.
Per altro, per aprire un contro,
anche alle stesse Poste, bisogna accedere agli uffici postali; ma, senza il
green pass, dall’1.2.2022, non si può accedere; e nemmeno si potrà accedere in
sportelli bancari. Il corto circuito normativo appare palese. Nella burocrazia
regolatoria che sta connotando soprattutto questa fase della gestione pandemica
il legislatore pare talora avvilupparsi nelle spire delle sue stesse
disposizioni, con le quali pretende di mettere all’angolo i destinatari delle
stesse.
Dunque, per queste persone
l’unico modo sarebbe aprire un conto on line: esattamente quel tipo di
operazione che, vuoi per l’età, vuoi per la storia personale, vuoi per carenza
di competenze, questa minoranza non è in grado di realizzare.
In cosa consistono i rischi ai
quali si è accennato sopra? Dovrebbero risultare evidenti: sono connessi
all’eventualità, per nulla remota, che qualcuno non vaccinato e privo di green
pass, pur di ritirare la pensione o di ottenere il servizio postale di cui ha
bisogno, forzi la mano.
Gli uffici postali non sono
dotati, in buona parte, di sistemi adeguati di controllo degli ingressi, come
invece le banche: si entra dalla strada, bene che vada vi può essere una doppia
entrata tipo “bussola”. Non ci sono corpi di guardia che si frappongono tra
l’entrata dalla strada e il materiale ingresso negli uffici postali.
Questo vuol dire che il
controllo sul possesso del green pass potrà essere effettuato bene che vada
sulla soglia dell’ingresso o addirittura quando la persona sia già entrata. A
quel punto, far uscire chi sia privo del green pass è azione la cui difficoltà
è direttamente proporzionale al grado di bellicosità della persona e ai gesti
dimostrativi, e non solo, di cui essa può rendersi capace, magari sull’onda
dell’esasperazione.
Per evitare i rischi connessi,
occorrerebbe, dunque, effettuare i controlli sulla strada, prima che qualcuno
acceda. O immaginare immaginifici sistemi di controllo dall’esterno, che
consentano l’apertura delle porte solo mostrando il QR code del green pass
valido: ma, quando simili strumenti potrebbero essere installati in tutti gli
uffici con accesso dalla strada e privi di un filtro?
Pensare di dedicare personale da
appunto mettere in strada per controllare prima dell’ingresso ha costi e non
esime da rischi. Il costo è organizzativo: perdere un’unità lavorativa, che
invece di compiere le operazioni, controlla. Il rischio è che il gesto
incontrollato dell’esasperato sia compiuto contro la persona preposta alle
verifiche, anche per strada, in assenza di forze dell’ordine, pubbliche o
private, preposte ad un capillare controllo dissuasivo.
Ma, questo problema non riguarda
solo le migliaia di uffici postali: interessati sono l’ancor maggiore numero di
uffici pubblici che hanno ingressi dalla strada.
Si dirà: fin qui il green pass è
stato già chiesto senza problemi, per esempio, per accedere al bar, ai
ristoranti, ai cinema, ai musei.
Vero, ma l’esempio non calza. Si
va negli ambienti chiusi esemplificati qui sopra per libera scelta, essendo per
altro disponibili a pagare. Al cinema e nei musei si va con una predisposizione
d’animo ben diversa rispetto a quella caratterizzante l’ingresso in un luogo,
destinato ad erogare servizi pubblici, dovuto a necessità, come appunto il
ritiro del sostegno per vivere, cioè la pensione.
L’insieme delle norme emanate in
questi ultimi giorni crea anche effetti particolarmente perversi e, purtroppo,
realmente vessatori nei confronti di figure particolarmente deboli.
Combinando, infatti, d.l.
1/2022, Dpcm attuativo e legge di bilancio per il 2022 (la legge 324/2021), si
nota che quest’ultima ha introdotto nei confronti dei percettori del reddito di
cittadinanza l’obbligo di verificare presso i centri per l’impiego almeno una
volta al mese “in presenza” le azioni di ricerca attiva di lavoro, pena la
decadenza dal sussidio.
Imporre ad un disoccupato,
persona verosimilmente priva di un reddito sufficiente, di spendere risorse per
il tampone a pagamento per entrare in un ufficio che dovrebbe aiutarlo a
cercare lavoro, appare davvero sproporzionato. Concretamente, in altri termini,
l’obbligo di accedere in presenza presso gli uffici del lavoro, e quindi di
dover sostenere il costo di un tampone per entrare in un luogo ove non ci si
può esimere di andare, per ragioni di necessità, rischia appunto di divenire
vessatoria per chi non sia vaccinato né abbia le risorse per assolvere
all’obbligo imposto.
Ciò può spingere questi
percettori ai medesimi gesti imponderabili cui si è alluso prima, a proposito
degli uffici postali, considerando che anche i centri per l’impiego rientrano
in quell’amplissimo novero di uffici pubblici con ingresso dalla strada e senza
filtri e corpi di guardia. Un percettore del reddito non vaccinato e non
disposto al tampone potrebbe fare qualsiasi azione, pur di entrare nel centro
per l’impiego ed ottenere il servizio di verifica, che scongiura la decadenza
dal beneficio.
Ma, pensiamo ad altre categorie
deboli: ad esempio, gli utenti dei servizi sociali, curati dai comuni e dalle
aziende sanitarie. Si tratta di persone che spesso hanno necessità di accedere
agli uffici per ottenere i servizi che richiedono. E molti di loro non hanno le
competenze digitali minime per poter ottenere da remoto i servizi medesimi.
Come reagirebbero, di fronte al diniego ad entrare in un ufficio al quale si
rivolgono per necessità connesse alla loro condizione di fragilità?
Altri esempi potrebbero essere
enunciati, ma inutile dilungarsi: sarebbe spettato al decisore conoscere il
dettaglio operativo dei servizi di varia ed estesissima natura erogati ai
cittadini e valutare fattibilità e impatti dell’obbligo imposto.
Si poteva e doveva fare di
meglio. Aleggiano alcune domande: perché fino al 31 gennaio 2022 è possibile
entrare da utenti negli uffici pubblici senza green pass, mentre dal primo
febbraio non più? Qual è la motivazione sanitaria per cui fino al giorno prima si
reputa non si corrano rischi di contagio nel frequentare certi uffici, mentre
dal giorno successivo gli stessi diventano off limits per chi non
assolva a determinate precauzioni? La pandemia resta la stessa, allo scoccare
della mezzanotte. Eppure, il decreto-legge, entrato in vigore tre settimane
prima nonostante la necessità e urgenza, in piena pandemia, inizia a dispiegare
i propri effetti tre settimane dopo, il 1° febbraio, come se da quella data le
ragioni della pandemia iniziassero a essere prevalenti. Perché questa
decisione, proprio mentre la percentuale di vaccinati continua ad aumentare?
Perché questa decisione adesso che la popolazione vaccinata è al 90% e più,
mentre un anno fa, quando la percentuale era di zero vaccinati e l’occupazione
degli ospedali e delle terapie intensive il doppio di quella attuale, si poteva
entrare in tutti gli uffici pubblici senza alcun green pass?
La sanzione per gli over 50 che
non si vaccinano è stata fissata in 100 euro. L’interdizione dall’ingresso
negli uffici pubblici (per altro, con la beffa che i gravi ritardi
nell’informatizzazione, per esempio negli enti locali, evidenziata dal rapporto
della Banca d’Italia, ne impediscono un’efficiente erogazione da remoto), che di
fatto è la sanzione per il mancato possesso del green bass base, si intreccia
in modo perverso con la sanzione per la mancata vaccinazione, arrivando a
configurarsi come pena accessoria per l’inadempimento dell’obbligo vaccinale.
Giuridicamente è un’aberrazione. Un obbligo di vaccino, per qualunque fascia di
età sia imposto, non può comportare la negazione di diritti fondamentali o di
servizi essenziali. Anche i bambini che non sono vaccinati possono accedere
alle scuole dell’obbligo, previo pagamento di una sanzione amministrativa da
parte dei genitori (o di chi ne fa le veci). Questa modalità è stata ritenuta
legittima dalla Corte costituzionale (sent. n. 5/2018). Perché il legislatore
abbia reputato di discostarsi dalla strada legittimamente tracciata in
precedenza non è dato sapere. Ciò che si sa, invece, è che con l’ultimo Dpcm si
sono ampliate le crepe nello stato di diritto. E i celeberrimi o famigerati codici
Ateco utilizzati dal precedente Governo per disciplinare le aperture delle
attività produttive appaiono quasi razionali.
Ringrazio del supporto Vitalba Azzollini
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