Giuseppe Canossi, nell’articolo pubblicato su NT-plus del 24.1.2022 “Incarichi, assegni ad personam e privilegi che non esistono”, perorando la causa dell’assegno ad personam per incaricati a contratto provenienti da pubbliche amministrazioni propone alla base dei propri ragionamenti motivazioni arbitrarie non accoglibili.
Si sostiene che il dipendente pubblico, posto in aspettativa, che accetti incarichi a contratto andrebbe incontro ad un “rischio di mercato”, perchè potrebbe perdere l’opportunità di competere alla “competizione professionale interna” e quindi di vedersi passare il treno delle progressioni orizzontali o delle progressioni verticali o di acquisire incarichi di posizione organizzativa. Sicchè “Il rischio di mercato degli interni appare quindi del tutto evidente, con la conseguenza che impedire la loro incentivazione ad personam varrebbe a svilire la spendita delle professionalità possedute, contrariamente a quanto voluto espressamente dal legislatore anche per il personale di ruolo”.
Le argomentazioni fornite sono semplicemente una difesa impossibile ad un presunto diritto dell’incaricato a contratto, proveniente dalla PA, ad ottenere una maggiorazione del trattamento economico.
Analizziamo punto per punto le incongruenze delle motivazioni addotte, partendo dal “rischio di mercato”.
E’ subito da evidenziare che nell’interpretazione delle norme occorre avere certo la capacità di non restare rigidamente attaccati alla lettera delle norme e dei concetti; allo stesso tempo, però, non sono da accogliere i giochi di parole.
Il “mercato” è “mercato”. Si ha mercato quando un prestatore di lavori, servizi e forniture mette a disposizione le proprie capacità lavorative in favore di un insieme di potenziali committenti, in concorrenza con altri professionisti, e ricavi da queste pluricommittenze i ricavi della propria attività.
Si tratta di un’attività connessa ad una serie di rischi: non poter concorrere con adeguata competenza rispetto ai concorrenti, non poter offrire tariffe e prezzi a loro volta concorrenziali, non riuscire a fornire una prestazione finale con qualità e tempi necessari, non riuscire ad ottenere un portafoglio di clienti adeguato e fidelizzato e molti altri ancora, di carattere economico e finanziario.
Inutile, allora, girare intorno: il mercato del lavoratore dipendente, in particolare del dipendente pubblico, è esclusivamente quello del possibile incontro domanda/offerta con un datore pubblico. Il dipendente pubblico non opera in nessun mercato nel quale è chiamato ad inseguire e mantenere una clientela, con le altre necessità indicate sopra.
Dunque, il dipendente pubblico uno stipendio percepisce prima di ottenere un incarico a contratto, senza che tale stipendio dipenda in alcun modo da un “mercato”; ed uno stipendio continua a percepire una volta ottenuto l’incarico a contratto, senza correre il minimo rischio di perdere clientela e posizioni di mercato; ed uno stipendio continuerà a percepire, una volta concluso l’incarico a contratto. Il rischio è, dunque, uguale a zero.
Potrebbe questo livello zero salire in considerazione dell’eventuale perdita, mentre il dipendente è in aspettativa, di
progressioni orizzontali;
progressioni verticali;
incarico nell’area delle posizioni organizzative?
Il Canossi, nel criticare il parere della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Basilicata 69/2017, in contrasto col quale inopportunamente si è espressa la Sezione Emilia Romagna col parere 271/2021, afferma: “non sembra assentibile quanto pare evincibile dal parere lucano, ove si dice che sarebbero rilevanti solo le «peculiari competenze professionali che il soggetto incaricato ha dimostrato di possedere in via ulteriore» rispetto a quelle base richieste dal Legislatore ai fini dell'affidamento dell'incarico", come se – ordinariamente – al legislatore interessasse investire, per i ruoli pubblici, solo su professionalità meramente "basiche"L'esatto contrario, a ben vedere, di tutto ciò che si sta facendo per la rinascita della Pa”.
Nella speranza di non travisare questo pensiero, dunque, secondo l’autore la rinascita della PA passa nell’investimento su professionalità non meramente basiche. E su questo non si può che convenire. Il retropensiero è, dunque, che per attrarre queste professionalità non basiche occorre allora l’incentivo dell’indennità ad personam, da attribuire a prescindere dalla provenienza o meno dai ruoli nella PA.
Ora, questo modo di intendere gli incarichi a contratto è del tutto fuorviante: li si concepisce, infatti, come mere possibilità di crescita professionale, per giunta da corroborare con remunerazione extra (l’indennità ad personam).
Delle due l’una, però: o l’incaricato a contratto è selezionato in base ad una competenza ed un’esperienza lavorativa di elevato e peculiare livello; oppure viene selezionato con procedure in sostanza alternative a quelle di un concorso, tra persone a ben vedere prive di tale peculiare professionalità.
A leggere con attenzione l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, norma che si applica obbligatoriamente anche agli enti locali in combinato con l’articolo 110 del d.lgs 267/2000, il legislatore è molto chiaro: pretende e impone di assumere a contratto esclusivamente persone dotate di una competenza assolutamente peculiare e di eccellenza, sia che provengano dal pubblico, sia che provengano dal privato. Infatti, tale norma elenca in maniera chiarissima le professionalità da reclutare. Elenchiamo quelle di provenienza privata:
abbiano svolto attività in organismi ed enti privati ovvero aziende private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali;
Elenchiamo, ora quelli di provenienza pubblica
chi abbia svolto attività
in organismi ed enti pubblici ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali;
o abbia conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza;
o che provenga dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.
Ora, come si nota, la norma impone di riservare la ricerca di incaricati a contratto solo ed esclusivamente a persone dotate appunto di competenze elevate e peculiari.
Non si può dubitare che queste peculiari competenze le abbiano i ricercatori e i docenti universitari, come i magistrati, come anche avvocati e procuratori dello Stato. Allo stesso modo se si incarica a contratto chi è già un dirigente pubblico, non si può dubitare disponga delle competenze per svolgere un incarico dirigenziale.
Per quanto riguarda la provenienza dal privato, la norma riserva gli incarichi esclusivamente a chi abbia un’esperienza già acquisita, quindi già svolta e documentata, in funzioni dirigenziali.
Tutto questo primo pacchetto di individuazione dei destinatari degli incarichi a contratto, come facilmente si nota, è rivolto a persone che non solo non competono in alcun mercato, tranne chi provenga dal privato, ma che hanno già un trattamento economico di rilievo e nei confronti dei quali, comunque, l’indennità ad personam può essere una leva per evitare l’eventuale perdita retributiva (i magistrati e gli avvocati dello Stato partono da livelli retributivi maggiori di quelli previsti per i dirigenti del comparto Funzioni Locali). Non si tratta in alcun modo di compensare un “rischio di mercato” o di “incentivare” la crescita professionale. L’indennità per magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, ricercatori e docenti universitari, dirigenti pubblici e soggetti provenienti dal privato con almeno 5 anni di esperienza nella dirigenza pubblica ha lo scopo di garantire un trattamento economico commisurato a quello di partenza (sempre che la cosa costituisca reciproco interesse di incaricante e incaricato) e può oggettivamente, in ogni caso, compensare competenze che non sono per nulla “basiche”.
Resta il pacchetto di persone, sopra trascritto in rosso. E’ esclusivamente questa la tipologia di persone, di provenienza pubblica o privata, che approderebbe ad un incarico a contratto di livello dirigenziale a partire, tuttavia, da una qualifica professionale inferiore, nè dirigenziale nè paragonabile a quelle altre elencate dalla norma.
Queste persone possono anche appartenere alla medesima amministrazione conferente l’incarico.
Tuttavia, la norma è molto chiaramente finalizzata ad evitare che per costoro l’incarico a contratto sia assegnato in assenza della necessaria elevata, spiccata e peculiare, competenza professionale, accertata per le altre categorie di soggetti. Per essere molto chiari, allora, un dipendente di una PA interessata ad attribuire un incarico a contratto può essere selezionato non perchè abbia un’esperienza pregressa o un’anzianità di servizio nella propria qualifica. Infatti, anche per il dipendente privo delle qualifiche elevate indicate prima o di esperienza dirigenziale deve emergere per una competenza spiccata, testimoniata dal possesso contestuale e contemporaneo (non si tratta di requisiti alternativi) di:
particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica
desumibile
dalla formazione universitaria e postuniversitaria,
da pubblicazioni scientifiche
da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, …, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza.
Ora, se per magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, ricercatori, professori universitari, dirigenti pubblici e privati l’indennità ad personam può essere una leva finalizzata ad evitare un deterioramento del trattamento economico di provenienza e, comunque, un compenso per una professionalità conclamata, nel caso di questi altri soggetti la competenza posseduta è testimoniata dalla particolare specializzazione provata dai tre requisiti soggettivi visti prima (formazione che deve essere non solo universitaria ma anche post universitaria, pubblicazioni scientifiche e concrete esperienze di lavoro in qualifiche predirigenziali); in questo caso si tratta di una competenza non conclamata, ma potenziale. Infatti, magistrati, avvocati e procuratori dello stato, ricercatori, docenti universitari e dirigenti svolgono già funzioni comparabili a quelle dirigenziali (e talvolta coincidenti), sicchè il loro reclutamento è un attingimento a competenze spiccate già attestate e collaudate; invece, dipendenti delle PA con qualifiche predirigenziali, per quanto dotati di laurea e titoli post laurea, per quanto autori di pubblicazioni scientifiche, per quanto inquadrati in qualifiche predirigenziali, non dispongono ancora di un’esperienza concreta collaudata nelle funzioni apicali alle quali incaricarli.
Non si vede, dunque, a meno che sul piano soggettivo non si dimostri un valore davvero elevatissimo delle competenze postuniversitarie e delle pubblicazioni scientifiche, su quali basi possa fondarsi un maggior esborso di denaro connesso ad un’indennità ad personam.
E’ del tutto irrazionale e motivabile solo con argomenti speciosi attribuire un’indennità ad personam, che sarebbe da connettere al possesso dimostrato di una competenza specifica e alle “condizioni di mercato”, a chi non abbia ancora dimostrato in concreto competenza operativa nell’incarico al quale approda e che non opera per nulla in condizioni di mercato.
Nè si dica, tornando al fattore (inesistente) di rischio che l’indennità ad personam possa salvaguardare dalla perdita di progressioni orizzontali, verticali ed incarichi nelle posizioni organizzative.
In quanto alle progressioni orizzontali:
se l’incaricato a contratto provenisse dal novero di magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, ricercatori, docenti universitari e dirigenti, ovviamente non si tratta di nulla di utile o rilevante, perchè a queste categorie non si applica nessuna progressione orizzontale;
se l’incaricato a contratto proviene dall’area delle qualifiche in quanto in possesso degli ulteriori requisiti di professionalità imposti e visti prima:
l’accesso alla qualifica dirigenziale costituisce di per sè un incremento stipendiale sostanzioso ed incentivante alquanto;
la progressione orizzontale, in quanto connessa anche all’esperienza professionale, non è per nulla preclusa, anzi il contrario.
In quanto alle progressioni verticali:
se l’incaricato a contratto provenisse dal novero di magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, ricercatori, docenti universitari e dirigenti, ovviamente non si tratta di nulla di utile o rilevante, perchè a queste categorie non si applica nessuna progressione verticale;
se l’incaricato a contratto proviene dall’area delle qualifiche in quanto in possesso degli ulteriori requisiti di professionalità imposti e visti prima:
l’accesso alla qualifica dirigenziale costituisce di per sè una chiara progressione verticale, sia pure a tempo determinato; per altro, dopo il d.l. 80/2021 si aprono spazi, prima inesistenti, per il consolidamento dell’incarico a contratto in accesso alla superiore qualifica proprio mediante percorsi privilegiati di progressione verticale, esattamente all’opposto di quanto afferma il Canossi;
la progressione verticale, in quanto connessa anche all’esperienza svolta, non è affatto preclusa. Come detto, esattamente all’opposto, il d.l. 89/2015 ha addirittura introdotto una riserva per l’accesso alla dirigenza, in favore di chi abbia rivestito incarichi a contratto.
In quanto agli incarichi nell’area delle posizioni organizzative:
se l’incaricato a contratto provenisse dal novero di magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, ricercatori, docenti universitari e dirigenti, ovviamente non si tratta di nulla di utile o rilevante, perchè queste categorie non sono interessate dall’istituto delle posizioni organizzative;
se l’incaricato a contratto proviene dall’area delle qualifiche in quanto in possesso degli ulteriori requisiti di professionalità imposti e visti prima:
l’accesso alla qualifica dirigenziale è incarico anco più elevato di quello nell’area delle posizioni organizzative: non c’è alcun treno da perdere, al contrario si sale su un’alta velocità invece che su di un interregionale;
negli enti locali privi di dirigenza, l’incarico a contratto è finalizzato proprio all’acquisizione della posizione organizzativa.
Come si dimostra, non c’è proprio argomentazione alcuna che possa convincere sull’opportunità e necessità di nessuna indennità ad personam, specie se da attribuire a chi provenga dall’area delle qualifiche. E soprattutto se, come purtroppo avviene nella grandissima maggioranza dei casi, gli incarichi a contratto non vengono affatto assegnati a persone dotate dei requisiti di spiccata professionalità, pur richiesti dalla legge.
Infine, si continua ad equivocare sui presupposti per il conferimento degli incarichi a contratto.
In tantissimi sono dell’idea che l’utilizzo dell’articolo 110 del d.lgs 267/2000 sia equivalente e pienamente alternativo all’assunzione in ruolo per concorso, insomma un modo come l’altro di coprire la dotazione organica. Sicchè ben potrebbe accadere, in tal modo, che come per effetto di un concorso acceda all’incarico di vertice un neofita, lo stesso avvenga mediante la procedura di cui all’articolo 110.
Peccato che le cose non stiano affatto in questo modo: l’articolo 110 non è e non deve essere un metodo alternativo di coprire la dotazione organica, concorrente con il concorso.
L’articolo 110, come anche il connesso articolo 19, comma 6, è finalizzato a rimediare ad una contingente esigenza di una professionalità particolare, alla quale non risulti possibile fare fronte nè con le professionalità in dotazione organica, è con l’assunzione ex novo di “neofiti”.
Infatti, ai sensi dell’articolo 110, comma 1, del Tuel gli incarichi a contratto sono assegnati “con provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente della provincia”.
Dunque, occorrono i seguenti presupposti:
il programma amministrativo evidenzi la necessità di conseguire un obiettivo di alto rilievo e specifica competenza, tale per cui occorra una specifica ed elevata professionalità;
tale professionalità non sia rinvenibile nella dotazione organica dell’ente: questo presupposto, richiesto espressamente dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 (si ricorda ancora, da applicare obbligatoriamente anche negli enti locali), si ricava dalla necessità comunque di adottare il “provvedimento motivato” richiesto dalla norma. La motivazione non può che riguardare la necessità di sopperire ad una carenza di professionalità, attingendo ad essa dall’esterno;
la fissazione di criteri di competenza professionale specificamente connessi agli obiettivi particolari, criteri che non possono non evidenziare la necessità di conoscenze e capacità non necessariamente superiori, ma certamente di alta specializzazione, rispetto all’ordinario bagaglio di competenza pretensibile dalla dotazione dei vertici dell’ente.
E’, quindi, del tutto assurdo immaginare che l’articolo 110 sia l’occasione per dipendenti della PA di “fare carriera”. La carriera, per i fabbisogni ordinari, la si percorre partecipando ai concorsi.
L’articolo 110 è lo strumento per rimediare ad un fabbisogno non di carriera del dipendente, ma di interesse generale dell’ente, connesso ad una professionalità, non da formare o verificare, ma conclamata di profilo elevato tanto quanto il fabbisogno evidenziato dal programma amministrativo: per questa ragione, l’abitudine ad incaricare dipendenti interni del tutto privi non solo dei requisiti evidenziati dall’articolo 19, comma 6, del g.lgs 165/2001, ma anche del profilo di professionalità richiesto dalla norma è illegittimo, aberrante ed anche paradossale se si pretenda anche di accompagnare l’attribuzione al “neofita” di un un’indennità ad personam che non potrebbe spettare se non a chi abbia già dimostrato coi fatti di disporre delle capacità peculiari richieste dall’incarico.
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