lunedì 21 marzo 2022

Appalti: sospensioni e proroghe dovute al caro energia e materiali sono solo un pannicello caldo

 Una soluzione solo apparente al problema dei rincari dei prezzi di energia materiali. Il decreto approvato dal Consiglio dei ministri adotta nella sostanza due misure:

  1. la possibilità che gli aumenti di prezzo siano considerate, in base a valutazioni congiunte tra il responsabile unico del procedimento e l’impresa appaltatrice, siano qualificati come causa di forza maggiore; sicchè sarebbe possibile attivare la sospensione della prestazione (la norma vale sia per i lavori pubblici, sia per servizi e forniture) se si dimostri che gli aumenti ostacolino anche solo parzialmente la regolarità dell’esecuzione;

  2. la possibilità che l’appaltatore chieda la proroga del termine di conclusione del contratto, se gli aumenti impediscano l’ultimazione e si possano qualificare causa non imputabile all'esecutore.

Oggettivamente, non si vede quale particolare arricchimento le disposizioni adottate dal Governo diano alle disposizioni già da tempo contenute nell’articolo 107 del d.lgs 50/2016. Come sempre, il timore che soggetti dotati del potere di evidenziare responsabilità, in particolare erariali, induce ad adottare superfetazioni normative del tutto tautologiche. E’ avvenuto esattamente lo stesso fenomeno due anni fa, quando in piena pandemia si ritenne necessaria una serie di disposizioni in deroga alle regole di gestione dei procedimenti e dei contratti, come se non fosse evidente alle magistrature che era esplosa una situazione sanitaria gravissima.

Adesso, sembra sia necessario creare una sorta di norma-scudo, che evidenzi con una specie di interpretazione agevolata del legislatore il ricorrere di casi di impossibilità della prestazione, come se non vi fosse una guerra in atto in Europa, come se i prezzi di gas, petrolio, benzina e materiali non fossero davvero già aumentati, come se listini, mercati, quotazioni fossero un’astrazione e, quindi, non possano già di per sè giustificare oggettivamente una revisione degli accordi contrattuali.

Eppure, nella gestione dell’esecuzione dei contratti, opera il diritto civile. Ma, ormai, tale è l’abitudine a fare del Legislatore un capo ufficio, un funzionario o persino un diretto gestore dei contratti, e tale è l’abitudine delle magistrature di considerare gli aspetti connessi alla legittimità legati solo a norme astratte e non ad evidenze anche fattuali ed economiche comprovabili, che si richiede una norma o normetta per tutto, anche per evidenziare che in effetti c’è una guerra in corso e che i prezzi effettivamente sono aumentati.

Non pare granchè la soluzione, sia perchè, come detto, lo strumento della sospensione dell’appalto esiste già. Sia perchè l’emergenza in corso non si risolve diluendo nel tempo l’esecuzione degli appalti.

Sospensioni o proroghe evitano certamente alle aziende di operare in perdita. Ma, non scongiurano il “fermo”, il congelamento delle attività, che se da un lato evita di andare in contro ad extra costi non sostenibili, dall’altro blocca comunque il flusso della fatturazione. Le conseguenze economiche ed occupazionali possono rivelarsi esiziali. Per non parlare dei cronoprogrammi immaginati, destinati tutti a saltare, cosa particolarmente grave di per sè, ma ancor di più in tempi di ritmi serrati, come per progetti del Pnrr.

A questo punto, visto che l’Europa sta conoscendo in pochissimi anni eventi come una pandemia ed una guerra, fanno davvero sorridere norme velleitarie come quelle contenute negli articoli 1 e 2 del d.l. 76/2020, che pretendono di semplificare gli appalti, limitandosi a contingentare i tempi di gara. I fatti, la storia, dimostrano che non basta stabilire per decreto che una gara debba durare 2, 4 o 6 mesi, ventilando responsabilità irreali e lunari, nel caso di violazione. Se scoppia una guerra, se il prezzo delle materie va alle stelle, se i pezzi non si trovano più, capitolati, contratti, sistemi di affidamento vanno a farsi benedire, insieme con la predeterminazione di tempi di conclusione per editto.


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