Su 100 assunzioni previste, non meno di 50 debbono necessariamente essere conseguenti allo svolgimento di concorsi pubblici. Le progressioni verticali, come anche altre procedure non aperte al pubblico, ad esempio stabilizzazioni o mobilità, possono coprire solo i restanti 50 posti disponibili.
Il parere Protocollo N.0115048/2022 del 10/07/2022 del Dipartimento della Funzione pubblica, Ufficio per l’organizzazione ed il lavoro pubblico, Servizio per la programmazione delle assunzioni e la mobilità, rivolto al comune di Lecce contiene un utile chiarimento per capire come funziona la garanzia del prevalente accesso dall’esterno.
In maniera da considerare poco opportuna, il d.l. 80/2021 ha riformato l’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001, tornando a configurare le progressioni verticali come un sistema di reclutamento “chiuso”. E’ stata cancellata la previsione introdotta dal d.lgs 150/2009 secondo la quale le progressioni verticali consistevano in concorsi pubblici con riserva di posti, per tornare al passato e regolarle come veri e proprie prove interamente riservate ai dipendenti di ciascun ente.
Il comma 1-bis citato, dunque, sul punto prevede che “Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all'accesso dall'esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull'assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti”.
Le amministrazioni pubbliche, e quelle locali in particolare, da sempre aspirano a ridurre quanto possibile le selezioni mediante concorsi. Non solo per le difficoltà amministrative ed operative retrostanti, ma per l’ambizione a scegliere i dipendenti da assumere. Si pensi alle procedure di mobilità, un tempo del tutto “ad personam”, oggi invece basate su avvisi pubblici (che, spesso, comunque, sono soltanto il paravento comunque a selezioni ben mirate).
Nel corso del tempo, il legislatore ha adottato ondivaghe previsioni, volte a contenere ambizioni ad assunzioni “nominative”, che non si conciliano con l’articolo 97 della Costituzione, letto dalla Consulta come baluardo insormontabile, almeno nella quota di un 50% delle assunzioni da destinare al concorso pubblico.
Il tema consiste esattamente nel cogliere esattamente il concetto di “pubblicità” del concorso.
Non in pochi si limitano ad un’interpretazione del lemma “concorso pubblico” strettamente limitato al significato di “pubblico” evincibile dalla legge 241/1990 e dalle regole di trasparenza: è, dunque, secondo simile modo di vedere, “pubblico” il concorso laddove si dia pubblicità e visibilità alla procedura selettiva e si consenta in modo trasparente di verificarne l’andamento, a prescindere dalla determinazione del perimetro dei soggetti ammissibili al concorso stesso.
Ma, questa è una chiave di lettura erronea. Il concorso è “pubblico” non solo per il necessario rispetto delle norme in tema di pubblicità e trasparenza, ma soprattutto perchè è “aperto al pubblico”, sicchè il suo perimetro non incontri vincoli soggettivi all’ammissione, tali da restringere la partecipazione esclusivamente a chi già conduca con la PA un rapporto di lavoro, o presso la medesima PA che assume (progressioni verticali o stabilizzazioni) o, in generale, nel complessivo ambito pubblico (mobilità volontaria).
Il concorso pubblico, pertanto, è tale se totalmente aperto al mercato e privo di riserve specifiche a lavoratori alle dipendenze della PA.
Ecco perchè la Funzione Pubblica, ricordato il vincolo ad assicurare il 50% alle assunzioni tramite concorso pubblico, precisa: “Ne consegue che, una volta determinato in base a tale percentuale il numero delle posizioni disponibili a tal fine, esse saranno accessibili solo e soltanto dall’esterno e, quindi, intangibili rispetto a qualsiasi altra procedura a carattere riservato, quantunque volta alla valorizzazione del personale già in servizio presso l’ente, come è il caso delle stabilizzazioni ex articolo 20, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 75/2001”.
Dunque, “una volta individuato il cinquanta per cento da destinare all’esterno nei termini suddetti, l’ente potrà eventualmente decidere di coprire il fabbisogno di personale per il restante cinquanta per cento per cento facendo ricorso a progressioni verticali, stabilizzazioni o mobilità”.
E’ evidente che per garantire l’effettivo rispetto della soglia del 50% dei reclutamenti mediante procedure concorsuali pubbliche ed aperte al pubblico, tale percentuale non possa essere calcolata sul triennio della programmazione dei fabbisogni, ma necessariamente sulla prima annualità di essa.
Le ragioni di ciò sono almeno le seguenti:
in ogni programmazione triennale scorrevole, il secondo ed il terzo anno sono esclusivamente di natura previsionale e non operativa; solo la prima annualità attiene alla gestione e consente la materiale attivazione delle procedure connesse (avviene così anche nell’ambito degli appalti);
se si ammettesse la possibilità di “spalmare” il 50% nel triennio, si consentirebbe alle PA di effettuare, per esempio, nella prima annualità solo ed esclusivamente procedure riservate, tradendo il chiaro spirito della norma e senza per altro la garanzia che nelle annualità successive effettivamente poi si effettuino i concorsi;
il 50% deve potersi calcolare su una grandezza certa e consolidata: solo le assunzioni previste nella prima annualità lo sono, visto l’incertezza caratterizzante le annualità successive, condizionate dal rapporto spesa di personale/entrate.
Pertanto, volendo raffigurare in una tabella le facoltà normative di assunzione:
La somma delle modalità di assunzione non può mai superare il 50%. Ovviamente, le modalità di assunzione diverse dal concorso pubblico sono tutte facoltative, dunque è possibile assumere il 100% dei dipendenti mediante concorso pubblico o comunque non avvalersi di qualcuna delle modalità “riservate”.
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