martedì 2 agosto 2022

Ccnl Funzioni Locali: l'incaglio sull'inquadramento del personale educativo-scolastico rivela i difetti molto gravi di un sistema nel quale il datore pubblico non sa svolgere il proprio ruolo

 A marzo del 2021 il Ministro della Funzione Pubblica si era impegnato di giungere alla sottoscrizione di tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro dei comparti pubblici entro il medesimo anno.

Non era, ovviamente, nè possibile, nè immaginabile. Infatti, il Ccnl del comparto Funzioni centrali è divenuto efficace solo maggio del 2022 e il processo di rinnovo non è nemmeno alla metà.

A inizio agosto, resta ancora incagliato il Ccnl delle Funzioni Locali. Pomo della discordia l’inquadramento degli insegnanti degli enti locali (ci torniamo dopo), sul quale Aran e sigle sindacali non concordano ancora. Se va bene, forse il contratto sarà definitivamente sottoscritto poco prima della fine dell’anno. Se va male, nel 2023 inoltrato. A triennio 2019-2021 ampiamente scaduto e con le trattative del triennio 2022-2024 nemmeno all’orizzonte.

Chi assume roboanti impegni a sottoscrivere contratti nazionali collettivi in serie in tempi brevi dovrebbe imparare, una volta per tutte che le trattative non sono una formalità e che se l’ente che tratta per la PA è uno solo, non può che agire mettendo in fila i vari contratti. Insomma ci vuole tempo. Poi, vi è tutta quella fittissima serie di controlli da parte della Corte dei conti e del Governo che dalla preintesa alla sottoscrizione definitiva fa passare 4-5 mesi.

Insomma, se davvero si volesse giungere ad una celere sottoscrizione dei Ccnl occorrerebbe modificare radicalmente le regole: rafforzare l’Aran organizzandola per divisioni autonome tante quanti sono i comparti; e bonificare di molto i passaggi amministrativi (i comitati di settore impiegano tempi biblici per esprime le direttive) ed i controlli.

In ogni caso, l’incaglio sul personale educativo-scolastico è paradigmatico dei mali organizzativi della PA e della poca capacità di gestire davvero i rapporti di lavoro, nonostante i paroloni sul “capitale umano”, le “competenze”, le “risorse umane”.

Il problema, come detto, sta nell’inquadramento. La contrattazione mira ad innovare il sistema risalente al 1999 e, infatti, dalle categorie A, B (in realtà B1 e B3), C e D, si passerà alle aree Operatori, Operatori Esperti, Istruttori, Funzionari ed Elevate Qualificazioni.

A guardare nel dettaglio, si tratta di poco più di un’operazione di mera ridenominazione, anche se accompagnata da due razionalizzazioni: l’estinzione della categoria A i cui residui profili transitano nell’area degli Operatori; l’eliminazione del doppio accesso in posizione B1 e B3 proprio nell’area degli Operatori.

Per il resto, si tratta di riproporre, nei fatti, lo stesso ordinamento. Ne è riprova la circostanza che nel Ccnl nella realtà non si introduce la nuova area di alta qualificazione prevista dal d.l. 80/2021: davvero con un espediente solo nominalistico, l’ex Categoria D si trasforma nell’area Funzionari/Alte Qualificazioni, le quali ultime altro non sono se non le vecchie, vecchissime Posizioni Organizzative: non un inquadramento, ma un incarico temporaneo.

Per il personale educativo-scolastico si è pensato ad una sezione autonoma del Ccnl, volta a regolare in modo peculiare le attività dei dipendenti rientranti in questo ambito, vista la specificità delle loro funzioni. E si è pensato di inquadrarli nell’area Funzionari. 

Già, ma negli enti locali c’è un caos totale: il personale educativo-scolastico è inquadrato a macchia di leopardo un po’ nella categoria C, un po’ nella categoria D, senza alcuna razionalità. Non si tratta di differenze di inquadramento tra enti dovute, per esempio, alla dimensione o al bacino d’utenza; nello stesso ente, nella stessa scuola di infanzia o nello stesso centro di formazione professionale convivono docenti di categoria C e categoria D.

Per i sindacati, accettare che i neo assunti siano immediatamente inquadrati nella categoria più elevata, mentre docenti da anni in servizio restino relegati nella categoria C è comprensibilmente duro da accettare. Quindi, propongono che in occasione della modifica dell’ordinamento professionale, tutto il personale docente in servizio in categoria C, confluisca automaticamente nell’area Funzionari e non resti nell’area Istruttori.

L’Aran, per parte sua, osserva che la legge non ammette promozioni automatiche, limitandosi a consentire progressioni verticali nei limiti e vincoli disposti, e che, comunque, non vi sarebbero le risorse.

In mezzo, resta il vulnus alla prima e fondamentale capacità che dovrebbe dimostrare un datore di lavoro: sapere cosa fanno i propri dipendenti, saperlo esprimere e tradurre in una serie di compiti tipici, raggruppabili in mansioni di una certa tipologia, a loro volta riferibili ad un profilo, ancora a sua volta appartenente ad un insieme caratterizzato da alcuni elementi, come autonomia, responsabilità, risultati da rendere, organizzazione individuale, tali da determinarne l’area o categoria di appartenenza.

In poche parole, si tratta della capacità di definire in maniera efficiente e chiara profili professionali ed inserirli nelle aree più appropriate.

La vicenda degli inquadramenti un po’ in categoria C, un po’ in categoria D, del personale educativo-scolastico è la riprova che, invece, le PA e gli enti locali, nello specifico, in tema di profili ed inquadramenti fanno davvero un tanto al chilo. Chi conosce il mondo locale sa perfettamente quale caos caratterizzi l’inquadramento degli operai e degli operatori, reperibili a parità assoluta di mansioni un po’ in categoria B1, un po’ in B3 in modo davvero totalmente casuale.

Il caos è talmente rilevante che è anche in qualche modo codificato nella paradossale disciplina delle Posizioni Organizzative, che sarà ripresa identica a com’è nel nuovo Ccnl a proposito delle Elevate Qualificazioni. Le PO dovrebbero essere attribuite solo a personale in categoria D. Ma, siccome vi sono enti senza nessuna categoria D, allora si possono assegnare, in questi enti, anche a personale di categoria B o C. Ma anche in enti in cui siano presenti categorie D, spesso esse sono previste in modo casuale ed incompleto, specie nei comuni di piccole dimensioni: dunque, può esservi il ragioniere in D, ma il responsabile dell’edilizia assunto a suo tempo, nessuno sa perchè, in C. Allora, anche in questi enti si ammette la convivenza di PO in D e in C. Lo stesso avverrà quando le PO saranno ridenominate “Elevate Qualificazioni”, a riprova che si tratta solo di un’espressione della neolingua, non riflettente realmente ciò che una qualificazione elevata dovrebbe essere.

La questione che da mesi assorbe le energie della contrattazione del comparto Funzioni Locali riguardante il personale docente (nel 1999, simile situazione riguardò il personale della polizia locale: in quel caso si decise di portare tutti gli agenti in categoria C, reinquadrando e promuovendo automaticamente chi fosse stato a suo tempo inquadrato nel livello V e, dunque, ipoteticamente desinato alla categoria B) evidenzia che parlare di contrattualizzazione, privatizzazione, valorizzazione delle competenze, rimane senza senso se leggi e contratti collettivi, mercè anche l’assenza assoluta di un minimo apparato di controlli, non spingono i datori pubblici a saper svolgere il loro ruolo, almeno avendo un’idea chiara di come inquadrare il lavoro dei propri dipendenti.

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