La questione del caro affitti posta dagli studenti
universitari non può essere trattata riducendola ad una grottesca
rivendicazione del diritto alla casetta in centro per stare vicini ai luoghi
dell’apericena. Né la circostanza che nel passato qualcuno si sia laureato
affrontando costi e logistiche molto complicati giustifica che si debba
continuare in questo modo.
Meglio, allora, partire dai fatti e un’analisi della
quantità di laureati in confronto ad altre Nazioni aiuta (fonte: https://italiaindati.com/laureati-in-italia/):
Non è da dubitare sulla circostanza che la stagnazione, anzi
per molti versi il declino dell’Italia sia legato a gravissimi problemi
connessi all’istruzione ed alla formazione. Il livello degli apprendimenti e
delle competenze a scuola si è abbassato, la formazione professionale non è
adeguata ai cambiamenti delle esigenze delle imprese (che però si guardano bene
dal pensare a strumenti di cofinanziamento e coprogettazione), il numero di
laureati molto inferiore a quello dei Paesi competitori.
Il sistema è rimasto fermo ad alcune decine di anni fa,
quando lo studio universitario era ancora di èlite e non si è sbloccato. Lo si
ritiene non un investimento che il Paese fa in innovazione, ricerca,
evoluzione, ma, appunto, un qualcosa di elitario, che sostanzialmente è bene
resti tale.
Si è compiuta una scelta abbastanza precisa: tra la rendita
di posizione e la crescita delle capacità e competenze, si è privilegiata la
prima.
Dunque, si è lasciato spazio alle rendite di posizione vere e
proprie, quelle degli immobili e dei pochi servizi nelle loro vicinanze. E’ lo
stesso tema dello smart working: sindaci presunti “illuminati” lo hanno
avversato, perché si è scoperto che le città potrebbero vivere lo stesso, anzi
meglio, riducendo la pressione spaventosa che hanno sui poli gravitazionali dei
centri ove sono ubicati i servizi e nei quali si sono riversati gli
investimenti immobiliari.
Non vi sono da anni ed anni politiche abitative pubbliche, né
adeguati investimenti nelle infrastrutture necessarie per i trasporti pubblici.
Per i “fuori sede” spessissimo è impossibile affrontare viaggi con mezzi
pubblici decenti, efficienti e puntuali. Quindi, hanno poca scelta rispetto a quella
di provare a trasferirsi nelle vicinane delle sedi universitarie.
Anni fa c’era un mercato, invero indegno, di “posti letto”,
carissimi in abitazioni al limite della fatiscenza, sempre a causa dell’assenza
totale di alloggi come case dello studente.
Nel corso degli anni, la rendita è stata ulteriormente
premiata da politiche dell’accoglienza turistica abbastanza bizzarre, che hanno
permesso il dilagare senza controllo dei B&B e delle locazioni di
appartamenti turistici, ben più lucrose delle locazioni abitative, comprese
quelle universitarie.
Così, il mercato ha visto sottrarsi quantità enormi di
appartamenti, destinati quasi in via esclusiva al turismo. Gli spazi per abitazione
di studenti fuori sede, ma anche per lavoratori e famiglie, si sono ridotti al lumicino
e i prezzi sono schizzati alle stelle.
Si è scelta, dunque, la rendita di posizione, l’investimento
immobiliare, l’accoglienza turistica, a tutto svantaggio dell’istruzione universitaria.
Del resto l’èlite di chi possiede mezzi economici e magari
proprio gli immobili da locare sottratti al mercato, è ben contenta di mandare
in via esclusiva i propri figli all’università, contando sulla possibilità di
permettere loro in via esclusiva l’accesso a professioni e lavori preclusi a
chi non riesca a frequentare gli atenei.
Il numero dei laureati si striminzisce, dunque, con effetti
esiziali su nuove tecnologie, nuovi processi, ricerca e innovazione tanto
pubblica, quanto privata.
D’altra parte, in un Paese nel quale il lavoro che in
apparenza in grandissima maggioranza si cerca è quello del bagnino, del
cameriere, del barista, del portiere d’albergo e del lavapiatti, l’interesse
per la crescita delle competenze, per le nuove tecnologie, per gli investimenti
in innovazione, non può che essere basso e distratto.
Non è un caso che l’insieme di questi fattori ha portato all’assurdo
di non aver nemmeno saputo programmare in modo adeguato l’accesso alla
professione dei medici. Il Covid ha dimostrato in tutta la sua gravità non solo
quanto problematico sia, per un Paese avanzato, disporre di così pochi
laureati, ma quanto siano state sbagliate le politiche di accesso ai pur pochi
corsi universitari, in particolari in medicina, tra lunari selezioni per i
numeri chiusi e veri e propri blocchi all’accesso alle specializzazioni. Col
risultato di non aver saputo garantire adeguati ricambi per il turn over,
giungendo al paradosso della chiamata dei medici pensionati per evitare il
collasso.
Affrontare il tema delle abitazioni per gli studenti universitari,
ma in generale degli affitti, della rendita immobiliare, dello smart working,
dei trasporti pubblici, non significa pretendere la casa in centro accanto al
locale chic, ma pensare allo sviluppo del Paese e scegliere definitivamente di
cambiare la strada e passare da quella che porta ad una Nazione di camerieri
destinata al declino sempre maggiore dell’economia, a quella che porta alla
crescita ed alla rinuncia alle rendite di posizione e al non ascoltare più le
voci che quelle rendite e le connesse èlite tutelano, a danno di molti, per il
privilegio di pochi.
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