lunedì 27 novembre 2023

Coppa Davis "italiana" per la seconda volta: lo slancio per Sinner


 

Il tennis non è certamente mai stato uno sport propriamente “italico”. Troppo anglosassone, troppa necessità di silenzio sugli spalti, troppa difficoltà a trovare la giusta miscela tra “testa”, preparazione fisica, tattica, talento, velocità e resistenza.

OItre tutto è uno sport individuale, nel quale creare un clima da “squadra” non è semplice, né automatico.

Però, esiste dal decine e decine di anni la Coppa Davis, una manifestazione a squadre e per Nazioni, che veste il tennis di un fascino e un clima anomalo e diverso: lo rende più “popolano”, aperto al “tifo” (pur sempre composto) anche di chi reputa questo sport un po’ troppo lungo, noioso, ripetitivo e di difficile comprensione (tutti i non tennisti…).

L’Italia è stata la terza Nazione, in ordine di tempo, ad interrompere il dominio assoluto che negli anni precedenti aveva visto vincere sempre e solo Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna e Francia, ove del resto il tennis è divenuto subito sport diffusissimo e dove si crearono scuole e metodi di elevato livello.

Ad interrompere quella serie fu nel 1974 il Sud Africa (a spese, in semifinale, dell’Italia e perché l’India rifiutò di giocare la finale a causa del regime di apartheid); nel 1975 fu, poi, la Svezia di Bjorn Borg (in finale con la Cecoslovacchia di Jan Kodes) a riscrivere l’albo d’oro; nel 1976 venne il turno dell’Italia, che battè in finale, come noto il Cile, ma soprattutto fermò lo squadrone australiano (Newcombe, Roche, Dent, Alexander) in semifinale, battendo i “canguri” per la prima volta anche perché per la prima volta li potè affrontare lontano dall’erba di casa loro (infatti, l’anno seguente l’Australia vinse a Sidney).

Quell’albo d’oro, ormai, da anni non conta più. La Davis ha cambiato più volte formula e adesso si gioca con tempi e modalità diversissime rispetto a quei tempi.

Però, l’Italia ha messo il secondo punto esclamativo in questa manifestazione che ci vede come nazione sportiva quasi estranei.

A 47 anni di distanza, di nuovo un gruppo di tennisti riesce a mettere in fila altre Nazioni sfidanti, ottenendo un successo rilevantissimo, nonostante da qualche tempo la formula della Davis sia ritenuta da alcuni una brutta copia dei tempi “eroici”.

Vero, non si gioca più con 5 incontri, 4 singolari e 1 doppio e non si gioca più di volta in volta nelle sede delle Nazioni che si sfidano a seconda dell’alternanza dei tempi. Non si gioca più su 5 set. Tutto si concentra in pochi giorni, con partite 2 su 3, due soli singolari e un doppio e tutto in un campo “neutro” (che resta tale solo se non c’è la Spagna, visto che per ora si gioca a Malaga).

Tuttavia, questa vittoria dell’Italia vale e vale tantissimo. Non solo perché sofferta e giunta dopo aver rischiato ben due volte l’estromissione, prima da parte dell’Olanda, poi da parte della Serbia: ricordiamoci che sul 4-5, 0-40 Sinner contro Djokovic ha ripreso per i capelli una partita che chiunque altro col servo avrebbe perso.

E’ una vittoria formidabile proprio per come è maturata. Giganteggia, ovviamente, la figura di Sinner, decisivo in tutte le sfide, ma straordinario contro la Serbia. Probabilmente è l’unico al mondo ad aver sconfitto Djokovic 2 volte in 12 giorni in singolo, e nello stesso giorno in singolo e doppio e, ancora, ad aver vinto nonostante 3 match ball di seguito in favore del serbo.

Sinner ha giganteggiato non solo nel gioco, ma nel terreno principale del serbo: annullando quei match ball è “entrato nella testa” del n. 1, lo ha scoraggiato, gli ha fatto perdere efficacia. Una cosa praticamente mai vista.

Con l’Australia, in finale, l’opera è stata completata in un modo tipico “da Davis”. La sfida era molto più delicata di quanto non si pensasse e di quanto, ora, non dica il 2-0 inflitto agli aussie.

Infatti, gli australiani potevano vantare un punto sicuro: il doppio, che con questa formula non vale un punto su 5, ma uno su tre, dunque tantissimo.

Non si poteva sbagliare: occorreva vincere entrambi i singolari. Ora, l’Italia si presentava con un gruppo di giocatori di alta classifica; a parte Sinner, anche Musetti è un top player e l’insieme è fatto da giocatori meritatamente ampiamente nei 100 del mondo. Senza poter contare su Berrettini, che ha vissuto un’annata terribile.

Eppure, Musetti ha confermato a Malaga un’annata storta, una di quelle che si spera essere tipiche dei giovani promettenti, caratterizzate da improvvise involuzioni dovute a tantissimi fattori. Sonego non era al meglio. Arnaldi era davvero il jolly.

Ma, quando gli astri si combinano, Arnaldi è riuscito appunto nell’impresa “da Davis”: ha vinto giocando male, forse anche molto male, su Popyrin. Una vittoria dovuta proprio a quello strano clima da Davis, quell’insieme di fattori che spingono i giocatori, dotati comunque evidentemente già di un certo caratterino, a continuare a lottare in partite che probabilmente in tornei individuali perderebbero 10 volte su 10.

C’è la firma di Sinner, ma c’è anche la firma di Arnaldi e davvero del particolare clima “da squadra”, che trasforma ogni tanto uno sport individuale in qualcosa di diverso.

Non era, quindi, scontato battere l’Australia, perché il loro n. 2 era più adatto al gioco su una superficie veloce di quanto non lo fosse il nostro.

In quanto a Sinner, la vittoria perentoria e oggettivamente devastante sul n. 12 del mondo (non uno qualsiasi) per 6-3; 6-0, dimostra che ormai ha fatto lo step: si è issato in quella categoria superiore nella quale adesso le cose cambiano.

Lo si è visto con la vittoria clamorosa con Djokovic. Sinner ha giocato con un atteggiamento diverso. Mentre ancora pochi giorni fa con Medvedev ed il serbo giocava come se dovesse scoprirsi “degno” di questi avversari e sorprendersi un po’ nello sconfiggerli, sabato ha giocato in altro modo: sembrava essere consapevole che dovesse essere Djokovic a dimostrare di essere capace di batterlo e non viceversa.

Lo sguardo di Sinner al cambio di campo per il suo ultimo turno di servizio era quello di un Nadal, di un Federer, di un tennista perfettamente consapevole di avere in pugno la situazione, nonostante dall’altro lato della rete vi fosse Djokovic.

La Davis del 2023 pare un punto di svolta decisivo, sicuramente per Sinner, perché ha capito dove si colloca e la distanza che ormai lo separa dagli altri: adesso lui non è un terzo incomodo.

L’entusiasmo che potrebbe dargli questa vittoria, potrebbe essere simile a quello del 2010 per Djokovic, che proprio dalla vittoria in Davis quell’anno iniziò la fenomenale carriera che conosciamo (nel 2008 aveva già vinto uno Slam in Australia, ma ancora non era maturato del tutto).

Dove arriverà Sinner? Improvvisamente Djokovic, Alcaraz e Medvedev, coloro che attualmente appaiono al suo livello, non è che nel 2024 spariranno. Nulla è, dunque, scontato e quindi l’altoatesino avrà certamente pane per i suoi denti. Ma, ormai è chiaro: potrà ancora perdere, tuttavia potrà anche vincere. L’aver giocato in pochi giorni così tante ore, comprendendo singolo e doppio, restando tutto sommato lucido anche con De Minaur lascia intuire che forse Sinner ha nelle gambe anche il 3 su 5 proprio degli Slam. E, allora, può guardare lontano.

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