domenica 5 aprile 2015

#province Il #caos tra frottole governative e menefreghismo

Prosegue senza soste lo show di esponenti del Governo e della maggioranza, che fanno a gara a sparare le frottole più grosse a proposito delle province.

La parte del leone, ovviamente, la recita il neo ministro alle infrastrutture Graziano Delrio. Il Corriere della sera ha anticipato parte dell’intervista che ha rilasciato a Report, nella quale l’autore della devastante riforma delle province afferma che, nonostante il prelievo forzoso dello Stato dai bilanci provinciali (1,576 miliardi nel 2015, 2,576  miliardi nel 2016 e 3,576 miliardi nel 2017, oltre ad altri 2 miliardi circa provenienti precedenti manovre), le province hanno le risorse per poter funzionare e che la legge di stabilità impone alle regioni di accollarsi le spese.

Delrio smentisce se stesso. La legge 56/2014, la “sua” legge, infatti, non prevedeva affatto che le regioni si addossassero i costi dello svolgimento delle funzioni provinciali da riordinare. L’articolo 1, commi 92 e 96, lettera a), della “sua” legge prevedono, infatti, che le risorse per gestire queste funzioni non fondamentali, da passare agli enti subentranti alle province, siano finanziate dalle stesse province, mediante lo spostamento dai loro bilanci a quelli degli enti di destinazione, come si trattasse di una cessione di ramo d’azienda.

La legge 190/2014, la legge di stabilità, sottraendo alle province le risorse col prelievo forzoso di cui si è detto prima, impedisce che le funzioni non fondamentali delle province siano finanziate. E accolla impropriamente ed indirettamente agli enti di destinazione oneri per non meno di 1,5 miliardi, determinando un buco per le province di simile portata, a regime. Lo abbiamo dimostrato noi sul piano finanziario qui. Lo ha confermato il Dipartimento della Funzione Pubblica nella recente nota esplicativa alla legge 190/2014: “La riduzione della spesa corrente, disposta per effetto dei commi 418 e 419 della legge 190/2014, determina che, per gli enti di area vasta, la mobilità del personale dipendente degli stessi enti non comporta trasferimento di risorse finanziarie”.

Il Ministro Delrio afferma con estrema sicumera che la sua riforma funzioni, nonostante sia stata di fatto abolita, perché basa le sue valutazioni su studi del Sose. E’ la stessa società tristemente nota a professionisti, artigiani, imprenditori e commercialisti, per il lavoro sugli studi di settore. Le sorti di una riforma ordina mentale difficilissima e di 20.000 dipendenti sono sostanzialmente state affidate alle mani di un soggetto noto per compiere attività molto criticabili, quando non del tutto inaffidabili, sul campo della finanza e della spesa!

Fa eco al Ministro il Sottosegretario agli affari regionali Giancarlo Bressa, in un’intervista pubblicata dal Corriere del Veneto i 5 aprile.

Alla domanda sul perché lo Stato non finanzia l’operazione province, Bressa non fa una piega, confermando, dunque, che le funzioni verranno trasferite senza finanziamenti, appunto come attestato già ufficialmente dalla Funzione Pubblica. Ma, afferma, rispondendo al quesito: “Perché la legge dice che dal primo gennaio 2015 è una competenza delle Regioni, tanto è vero che l'Emilia ha già stanziato 28 milioni per pagare gli stipendi ai dipendenti delle Province, per le funzioni non fondamentali”.

Sfidiamo chiunque, Bressa compreso, a trovare nella “legge” la previsione secondo la quale il finanziamento della spesa connessa alle funzioni provinciali da trasferire ad altri enti sia delle regioni. A parte che, per la riforma delle province, in ballo non c’è una “legge”, ma due: la 56/2014 e la 190/2014. In nessuna delle 2, comunque, esiste la previsione di cui parla Bressa.

Semmai, proprio perché la legge 190/2014, smentendo la 56/2014, impedisce che le funzioni siano trasferite come cessione di ramo d’azienda, si crea un buco di bilancio, che solo indirettamente viene accollato alle regioni, non in via espressa. Non è possibile per nessuna legge obbligare le regioni espressamente ad addossarsi la spesa della riforma delle province, per la semplicissima ragione che la Costituzione lo impedisce. Ecco perché, dunque, alcune regioni stanno decidendo di finanziare la riforma, mentre altre no. Si tratta di atti di volontarietà, non obbligati da alcuna norma. Chi governa queste cose dovrebbe saperle e non rimanere sorpreso se non tutte le regioni seguono ed attuano riforme sgangherate, basate su conti sbagliati e su inesistenti rapporti giuridici tra Stato e regioni.

Il bravo intervistatore insiste chiedendo: “Ma Palazzo Chigi non dovrebbe fare la sua parte indirizzando il personale dei Centri per l'impiego a un'agenzia nazionale?”. Come è noto, dei 20.000 dipendenti provinciali posti ex lege in sovrannumero, circa 7.500 sono addetti ai servizi per il lavoro. Il loro trasferimento all’Agenzia per l’occupazione, menzionata dalla legge 184/2014 (il “mitico” JobsAct) metà del problema occupazionale sarebbe risolto, perché altri 3.000 dipendenti provinciali (ma, molti sono proprio addetti ai servizi per il lavoro) andranno in pensione entro il 31.12.2016.

Il problema non trascurabile, però, è proprio che l’Agenzia per l’Occupazione non esiste. Non c’è e non vedrà la luce prima di diversi anni, come spiega proprio nella stessa giornata, il 5 aprile, Repubblica (giornale schieratissimo a favore del Governo) nell’articolo di Valentina Conte “Il caos province blocca il motore del Jobs Act. Agenzia per l’impiego ancora ferma al palo”.

Bressa, tuttavia, è tetragono. Nonostante perfino la stampa amica si sia resa conto che l’operazione dell’Agenzia sia un fallimento prima ancora di iniziare, risponde all’intervistatore così: “Il governo si fa carico del personale dei Centri per l'impiego in parte con fondi statali e in parte con fondi comunitari in accordo con le Regioni, che incontreremo dopo Pasqua”. Peccato che il Governo non si faccia carico in alcun modo di tale personale. La legge 190/2014, che Bressa dovrebbe conoscere a menadito, ma pare, invece, aver leggiucchiato con molta distrazione, all’articolo 1, comma 429, prevede solo che il Ministero del lavoro consenta alle regioni di anticipare 60 milioni dal Fondo sociale europeo, per pagare gli stipendi dei dipendenti provinciali addetti alle politiche del lavoro. Peccato che, però, complessivamente gli stipendi da pagare ammontino a circa 300 milioni. E, soprattutto, peccato che un simile impiego delle risorse del fondo sociale europeo porterebbe ad una sicura infrazione a carico delle regioni che si arrischiassero davvero ad utilizzare l’anticipazione. E siccome ci rimetterebbero di tasca propria i presidenti delle regioni, l’assessore competente e la dirigenza addetta, nessuno ha voglia di sostenere l’azzardo inserito nella legge 190/2014.

L’intervista prosegue con questa corretta considerazione: “Intanto le Province, per versare il 30% del bilancio alla legge di stabilità e continuare a pagare il personale, si dicono costrette a togliere i servizi al cittadino”.

In effetti, il prelievo forzoso paradossalmente previsto dalla legge di stabilità impone alle province di versare allo Stato le somme descritte prima. Questo non comporta alcun taglio alla spesa pubblica, che, come dimostrato in questi giorni dall’Istat, continua ad aumentare. Né alcun taglio alla pressione fiscale, che aumenta come la spesa. Il perché è semplice: i soldi che le province versano al bilancio dello Stato e raccolti, ovviamente, attraverso le imposte provinciali, invece di essere spesi dalle province per svolgere i loro servizi, saranno spesi dallo Stato. Dunque, i livelli di spesa ed entrata restano gli stessi, ma con una distrazione delle risorse provinciali verso lo Stato, che le utilizza per propri fini, sottraendoli alla destinazione ai territori.

Ovviamente, di questa banale verità Bressa non fa minimo cenno e risponde con una serie di affermazioni una meno fondata dell’altra: “Per compensare i tagli, per la prima volta non lineari, è stato deciso che nel 2015 le Province non pagheranno i mutui nella quota capitale. E quindi un recupero di risorse per loro c'è, benché le difficoltà in cui versano siano indubbie. Ma noi abbiamo concesso due anni e tré mesi di tempo per sistemare la mobilità e poi, ripeto, una parte del personale verrà assorbita dallo Stato. Finora nessuno ha compilato i nuovi bilanci tenendo conto di tagli e mutui, che le Province hanno tempo fino a maggio per rinegoziare”.

Bressa parla di “tagli”. Ed è la prima affermazione sbagliata: come visto prima, non sono tagli, ma versamenti obbligatori di risorse a carico delle province a beneficio dello Stato. Poi, afferma che “per la prima volta” i tagli (che non sono tagli) sarebbero “non lineari”. Ah, no? Guardiamo cosa dispone la prima parte dell’articolo 1, comma 418, della legge 190/2014: “Le province e le città metropolitane concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. In considerazione delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente, ripartite nelle misure del 90 per cento fra gli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario e del restante 10 per cento fra gli enti della Regione siciliana e della regione Sardegna, ciascuna provincia e città metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa”.

E questo non sarebbe un intervento lineare? Ma, Bressa pensa davvero che non sia possibile verificare alla prova dei fatti le sue affermazioni? E che dire del comma 422? “la dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario è stabilita, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta rispettivamente, tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, in misura pari al 30 e al 50 per cento e in misura pari al 30 per cento per le province, con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri, di cui all'articolo 1, comma 3, secondo periodo, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i predetti enti possono deliberare una riduzione superiore”. Un intervento percentuale di taglio del valore economico delle dotazioni organiche non è un taglio lineare? Oppure esiste, oltre all’aritmetica cartesiana, un nuovo sistema di calcolo inventato da Bressa?

In quanto, poi, alla rinegoziazione dei mutui, essa ha un valore di circa 500 milioni solo per il 2015, dunque, non compensa integralmente il versamento coattivo imposto nel 2015 stesso e non serve a nulla per gli anni successivi: Bressa dovrebbe sapere che i bilanci sono pluriennali e che l’equilibrio va garantito per tutto il triennio, altrimenti si dichiara il dissesto. E dovrebbe sapere anche che proprio quei 500 milioni sicuramente non sono trasversali, cioè ripartiti in modo uguale tra province; non beneficeranno affatto di questa misura le province poco indebitate o che abbiano fatto ricorso a fonti di finanziamento diverse rispetto ai mutui con la Cdp.

L’intervista chiude con una sollecitazione relativa al Veneto, ma valevole per tutta l’Italia: “In Veneto ci sono 1356 lavoratori in bilico”. La risposta di Bressa è un altro inno alla mistificazione: “Il problema del loro futuro non c'è, i dipendenti sono garantiti. Se poi le Regioni non stanno facendo il loro dovere, accampando scuse di fantasia e presentando ricorsi assurdi alla Corte costituzionale, non è colpa del governo. Veneto, Lombardia, Campania e Puglia hanno già perso quello contro la legge Delrio e adesso hanno impugnato la legge di stabilità. Risultato: sono con l'acqua alla gola”.

Secondo il sottosegretario, il futuro dei dipendenti non costituisce un problema. Dal punto di vista del Governo sarà proprio così: non lo considerano un problema, dunque non se ne curano. E addossano alle regioni la responsabilità in un gioco di scaricabarile. Che, però, finisce quando si applica l’articolo 1, comma 428, della legge di stabilità: “Al 31 dicembre 2016, nel caso in cui il personale interessato ai processi di mobilità di cui ai commi da 421 a 425 non sia completamente ricollocato, presso ogni ente di area vasta, ivi comprese le città metropolitane, si procede, previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali che deve comunque concludersi entro trenta giorni dalla relativa comunicazione, a definire criteri e tempi di utilizzo di forme contrattuali a tempo parziale del personale non dirigenziale con maggiore anzianità contributiva. Esclusivamente in caso di mancato completo assorbimento del personale in soprannumero e a conclusione del processo di mobilità tra gli enti di cui ai commi da 421 a 425, si applicano le disposizioni dell'articolo 33, commi 7 e 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.

La legge 190/2014, dunque, prevede molto chiaramente che alla fine dei giochi e degli scherzi, il personale provinciale che non sia trasferito in altre amministrazioni vada in lista di disponibilità, con stipendio decurtato, per poi finire licenziato. Per Bressa ed il Governo, questo non costituisce un problema. Per la maggioranza dei cittadini, probabilmente nemmeno, vista la campagna di odio contro i dipendenti pubblici. Per un liberale come Vittorio Feltri, poco interessato ai destini dei dipendenti pubblici e molto interessato alla corretta amministrazione della cosa pubblica, invece, è un problema. Ci piace chiudere con le parole del Feltri, tratte dall’articolo pubblicato su Il Giornale sempre del 5 aprile 2014, dal titolo “Province e altri problemi risolti solo a parole”: “Dulcís in fundo, sed in cauda venenum: la cancellazione delle Province. Siete sicuri di averle soppresse sul serio? Non risulta. I ventimila dipendenti dell'ente «fucilato» per finta sono sparirti o alla ricerca di una collocazione dignitosa? Non c'è anima che risponda all'angoscioso interrogativo. Il sospetto è che Matteo Renzi, colto da furore della rottamazione, abbia decimato non soltanto i politici che gli erano antipatici o che lo disturbavano mentre concionava, ma anche i poveri impiegati provinciali indaffarati a girarsi i pollici.Ventimila desaparecidos sono troppi, non si possono dimenticare ne continuare a retribuire ogni fine mese. Come mai non vengono riciclati negli enti sotto organico? Posto che per pagarli immaginiamo si usino denari degli italiani, sarebbe interessante che la grana della loro mobilità fosse dibattuta apertamente. I tribunali sono in cerca di personale cosiddetto ausiliario? Prelevatelo dai forzati (remunerati) della disoccupazione causata dalla stupenda riforma firmata dal Rottamatore. Perché il governo, specialmente il suo capo, non cessa una mezz'ora di blaterare allo scopo di dedicarsi al problema? Dica la verità. Non gliene frega niente. Ce ne ricorderemo alle urne, speriamo”.

Un’ultima cosa. I 20.000 non sono a girarsi i pollici, ma continuano a svolgere il loro lavoro, per altro a costo delle province, rimaste col cerino in mano e destinate tutte al default entro il 2016. I Bressa dovrebbero capire che dichiarazioni semplicistiche del tipo “tutto è risolto, ma è colpa delle regioni”, oppure “nessun dipendente perderà il lavoro”, servono solo a farsi irridere e far irridere anche persone che continuano a svolgere il proprio compito. Noi speriamo che Feltri sbagli e che non sia vero che al Governo del problema non ne frega niente. Tuttavia, interviste come quelle di Bressa lasciano venire il fondatissimo dubbio che Feltri abbia proprio ragione.

 

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