Dare troppo rilievo a chi vive di luce riflessa potrebbe non essere del tutto corretto, ma, spesso, chi sta all’ombra del leader esprime molto più chiaramente e cinicamente gli intenti operativi del capo, talvolta portato ad essere più mellifluo e allusivo.
Così, l’intervista a Dario Nardella, sindaco di Firenze, di domenica 3 agosto sul Corriere, passa dall’irrilevanza all’interesse, per le argomentazioni che il sindaco e scudiero del premier esprime, rispetto all’annoso problema del rapporto tra politica e tecnici.
L’intervista rivendica l’ovvietà del cosiddetto “primato” della politica. E’ perfettamente chiaro, noto a tutti e previsto normativamente, a partire dalla Costituzione, che il potere decisionale spetti agli organi politici, per effetto del potere loro conferito dal popolo sovrano con le elezioni.
Parlare di “primato della politica”, dunque, semplicemente limitandosi a guardare i principi generali della Costituzione sarebbe come parlare del nulla o come sottolineare, quasi fosse una scoperta, che l’acqua molto riscaldata passa allo stato gassoso.
Ma, se si sottolinea il “primato della politica” non lo si fa, in realtà, a casaccio. L’intervista è molto ben contestualizzata rispetto ad una questione che si pone da quando il leader di Nardella ha ottenuto l’altro primato, quello sul partito, prima, e sul governo, dopo: la cosiddetta “rottamazione”. Si tratta di un termine tanto brutto quanto, ormai, abusato, che al fondo vuol dire: metodo risoluto, se non sbrigativo, per disfarsi di chi non risulti allineato con le idee del leader. Attenzione: rottamare non significa, dunque, “cambiare” una classe politica o dirigente in relazione a determinati criteri (età, appartenenza politica pregressa), ma tendenzialmente sostituire chi non è di fede comprovata, tanto della prima ora, quanto successivamente (anche se magari opportunisticamente) professata, con chi si mostra integralmente servitore della causa.
La presenza, allora, di cosiddetti “tecnici” che, per loro natura, guardando a leggi, regole, numeri, conti, insomma “strumenti” per loro natura neutrali, pone un problema, in quanto questi “tecnici” si fanno guidare non solo dalle doverose direttive politiche, che ne orientano necessariamente l’attività, ma anche dalle regole e dagli strumenti, gli attrezzi del mestiere necessari per svolgere appunto il lavoro di tecnici.
Così, Nardella, specificamente invitato a commentare la questione Cottarelli, divenuto in questi giorni il “tecnico” per eccellenza, sentenzia: “Cottarelli non può fare la foglia di fico di una classe politica che non sa deddere. Condivido le parole del premier: le scelte di spending review sono scelte politiche; i politici che si nascondono dietro i supercommissari non sono convincenti. Da sindaco, dovendo tagliare la spesa e migliorare i servizi, non mi sono rivolto ai tecnici. I tecnici devono eseguire. Su stipendi, abolizione delle Province, costo del lavoro, pensioni decide la politica”.
I tecnici “devono eseguire”. Amen. Nardella pone degli esempi sul ruolo decisionale della politica che, nella realtà, dimostrano come se a decidere è la politica in modo autoreferenziale, senza tenere conto degli aspetti tecnici, le decisioni si rivelano un disastro. Pensare che sugli “stipendi” come sul “costo del lavoro” decida la politica è, ovviamente, un’affermazione totalmente inaccettabile e sbagliata. La politica può e deve incidere sulle condizioni di mercato, sul debito pubblico, sul sistema giudiziario, sulle infrastrutture, sulle imposte, su ciò, in altre parole, che possa consentire alle imprese di svilupparsi e ridurre il carico fiscale a carico del lavoro: ma il costo del lavoro e gli stipendi sono affare che riguardano impresa e lavoratori, associazioni datoriali e sindacati, a meno di non pensare ad un dirigismo statale del così tanto, a parole, deprecato ‘900. L’abolizione delle province, poi, è un conclamato disastro, perché è stato un omaggio dei politici alla demagogia, politici che si sono attorniati dal “tecnici” e “consiglieri” apprendisti stregoni, molto fedeli e, soprattutto, assertivi (attenzione agli anagrammi), che hanno “eseguito” la volontà politica, creando una delle peggiori e assurde riforme mai viste.
Ma, il “primato della politica” non si afferma sulla base della valutazione della qualità delle scelte appunto sul piano tecnico.
Il “tecnico” deve sostanzialmente lasciare le mani libere al politico, prestandosi solo a condividere acriticamente le scelte, in modo più o meno cortigiano, e soprattutto applicando la scelta ed eseguendola tacendo e, magari, “coprendo” la politica, con l’assunzione diretta di responsabilità amministrative civili (quando non penali, cosa più difficile per il principio di personalità della responsabilità penale), facendo da “scudo” alla politica che “nomina” il tecnico.
Così, allora, si spiega meglio l’altro fondamentale passaggio dell’intervista del sindaco di Firenze: “Secondo me, i ministri lavorano bene. Fossi in lui cambierei quello che c'è sotto i ministri. Partirei dal rivedere l'assetto tecnico; anche perché è proprio tra i tecnici e nelle burocrazie che si annidano le maggiori resistenze. Renzi è andato a toccare punti sensibili: la battaglia sugli stipendi dei dirigenti pubblici, la riforma della pubblica amministrazione, i permessi sindacali, i tagli alla Rai. Tutte cose che sino a qualche mese fa erano tabù. Ora sono usciti allo scoperto non voglio dire i privilegi, ma uno status quo che nessuno aveva osato mettere in discussione. Sarebbe ingenuo pensare che non ci siano contraccolpi. Accanto a una classe politica nuova, occorre una nuova classe di dirigenti: a Palazzo Chigi, nei ministeri, nelle organizzazioni di rappresentanza sodale ed economica, nel privato”.
Insomma, chiunque sul piano tecnico evidenzi debolezze o errori delle decisioni politiche è abbarbicato a tabù e reagisce in quanto toccato nei punti sensibili. Più o meno, si tratta della ridda di insulti ed attacchi riservati per giorni ai “tecnici” del Senato che avevano rilevato la carenza delle coperture al “decreto Irpef”. In questi giorni si sta constatando che quelle coperture, in effetti, mancano davvero e che occorra racimolare in fretta circa 20 miliardi per supplire al pressappochismo di una manovra non coperta e che, con l’elargizione degli 80 euro, non ha dato nemmeno una minima scossa ai consumi.
Nessuno, ovviamente, ora si sogna minimamente di riconoscere che i “tecnici” del Senato avevano doverosamente rilevato lacune e problemi nella legge. Nessuno, ancora, pensa minimamente di chiedere scusa. Ci si limita a dire che gli 80 euro non potranno essere estesi a disoccupati, pensionati e partite Iva (cioè, le categorie che maggiormente ne avrebbero bisogno), come nulla fosse, come se i “tecnici” non ne avessero mai parlato.
Il “tecnico” che vuole questa fase della politica, come indicato dal sindaco di Firenze, deve essere nuovo, come la politica. Ma, in realtà, il tecnico deve essere del tutto conforme ed uniforme alla politica, da essa nominato e controllato, con essa totalmente in sintonia. Il tecnico non deve fare proposte tecniche, tali da evidenziare che il re è nudo, quando lo è davvero. Il tecnico è bravo se, quando in autunno vi sarà la manovra da 20 miliardi, non la chiamerà manovra, ma nel modo che ordinerà la politica.
Il cui primato, dunque, nella condizione attuale, non pare tanto quello di esercitare il legittimo potere di scegliere misure sulla base di analisi fondate, almeno in parte, su ovvi e necessari elementi tecnici, ma piuttosto quello di esercitare “comando” e “propaganda”, senza interferenze. E, mentre fa questo, prova a costruirsi quella “classe dirigente nuova” cui si riferisce Nardella estendendo all’inverosimile il numero dei dirigenti che i sindaci possono incaricare senza concorsi o attribuendo agli organi di governo strumenti di controllo della dirigenza tramite un rinvigorimento dello spoil system che farà dei tecnici non più servitori dello Stato e dell’interesse pubblico, ma serventi della politica che “primeggia”.
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