domenica 15 marzo 2015

#PA #spoilsystem Illegittimi incarichi oltre i limiti percentuali

regione lazio

Le due sentenze del Tar Lazione, Sezione I ter, 3 marzo 2015, nn. 3658 e 3670, sono state salutate come un importante chiarimento sulla disciplina della dirigenza e, comunque, una sorta di stop giurisdizionale al progetto di riforma della dirigenza, contenuto nel disegno di legge di riforma della PA, all’attenzione del Senato.

L’esame approfondito delle due sentenze ne rivela, piuttosto, una portata molto più modesta e svela molta confusione proprio sulla procedura di conferimento degli incarichi esterni.

Inoltre, è da evidenziare che gli arresti giurisprudenziali ovviamente si riferiscono al diritto attualmente vigente. Certo, confermano i mali del ricorso senza controllo agli incarichi dirigenziali esterni, causa di uno spoil system all’italiana sostanzialmente illegittimo, ma non possono, da soli, impedire al Parlamento di approvare una riforma improntata esattamente alla volontà di estendere lo spoil system, per altro in modo estremamente surrettizio. Infatti, nel disegno di legge il tema non è tanto il limite numerico ai dirigenti esterni, quanto, invece, la possibilità di lasciare i dirigenti di ruolo privi di incarico senza nessuna specifica motivazione. Il che consente agli organi di governo di non dover nemmeno affrontare il problema di ricorsi legati all’illegittimità delle decisioni, le quali a loro volta dovrebbero basarsi sulla valutazione dei risultati. Ovviamente, la possibilità di lasciare a casa senza particolari forme i dirigenti di ruolo apre le porte agli incarichi esterni: sarà molto facile, infatti, evidenziare l’assenza nei ruoli delle professionalità necessarie, per quanto tali assenze si riveleranno cagionate esattamente dall’intento attuato di disfarsi dei dirigenti di ruolo.

Detto questo, andiamo con ordine. Le due sentenze del Tar Lazio hanno avuto molto risalto anche sulla stampa generalista, perché dipinte, appunto, come uno stop allo spoil system attuato dalla Regione Lazio (per altro, per nulla nuova ad applicazioni degli incarichi dirigenziali a dir poco disinvolte).

Oggettivamente, se si va al contenuto delle decisioni, c’è da restare meravigliati che in Italia possa destare meraviglia ed essere considerata “notizia” clamorosa sui giornali la semplice, banalissima, applicazione delle leggi.

Andiamo alla sentenza 3658/2015. La questione affrontata concerne (come per l’altra decisione del Tar) l’affidamento di incarichi esterni senza il rispetto delle procedure normative e, soprattutto, al di là dei limiti percentuali stabiliti dalle norme e, segnatamente, dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 nonché dalle leggi regionali assunte come violate, in gran parte ripetitive della norma nazionale citata e contenenti, inoltre, particolari iter per assicurare la selezione dei destinatari degli incarichi.

La sentenza 3658/2015 ritiene “fondata la censura con la quale è stato dedotto il superamento dei limiti previsti dalla legge per il conferimento degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’Amministrazione”. La cosa è semplicissima. Osservano i giudici:

  1.  “a disciplina relativa all’attribuzione degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’Amministrazione è contenuta nell’art. 19 comma 6 del D.Lgs. 165/01 in base al quale per la prima fascia dirigenziale è possibile disporre il conferimento dell’incarico a soggetti esterni nei limiti del 10% della relativa dotazione organica; identica previsione è contenuta nell’art. 20 comma 7 della L.R. n. 6/2002 secondo cui gli incarichi dirigenziali possono essere conferiti “entro il limite del 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia”. Le norme sono chiarissime e non si prestano ad interpretazioni diverse da quella letterale”;

  2. dunque occorre applicare separatamente le percentuali in modo che il 10% valga per la dirigenza di prima fascia e l’8% per la dirigenza di seconda fascia;

  3. i dirigenti di prima fascia, nella Regione Lazio, al momento dell’avvio della selezione dei dirigenti esterni, erano 17; il 10%, il che significa che al massimo potessero esserne assunti 2 dall’esterno; invece risultavano attribuiti ben 6 incarichi di dirigenti apicali, il triplo di quanto consentito dalla legge;

  4. si evince dalla sentenza che l’organico dei dirigenti della Regione Lazio sia di 320 unità; dunque, la dirigenza di seconda fascia sarebbe composta da 317 dirigenti, per cui applicando la percentuale di assunzione dell’8% potevano essere acquisiti al massimo 25 dirigenti esterni, per un totale, tra dirigenti di prima e seconda fascia, di non oltre 27 dirigenti esterni;

  5. anche se si accogliesse la tesi sostenuta dalla Regione Lazio, secondo cui, per effetto di modifiche al proprio assetto normativo, tali da escludere la divisione della dirigenza in due fasce, si debba applicare la percentuale dell’8% all’intera dotazione, il risultato non cambierebbe di molto: al massimo la Regione avrebbe potuto acquisire 26 dirigenti esterni;

  6. notano i giudici del Tar Lazio che, invece, “sono attualmente in servizio presso la Regione Lazio 68 dirigenti esterni, di cui 6 apicali, 42 dirigenti sub-apicali e 20 dirigenti di strutture di diretta collaborazione”.


In conclusione, i dirigenti esterni in servizio presso la Regione Lazio sono 68 invece di 27 o 26: 2,5 volte quanto permesso, al massimo, dalla legge.

Appare uno strano Paese quello nel quale, allora, desta scalpore una decisione giudiziale con la quale il Tar si sia sostanzialmente limitato a mettersi a far di conto, per constatare che determinate percentuali numeriche siano state violate.

C’è da chiedersi seriamente a cosa servano le strutture di controllo interno, se lasciano passare violazioni così marchiane a semplicissime regole aritmetiche. O, forse, occorre prendere atto che le strutture di controllo interno servono, molto spesso, proprio a non controllare certe vicende.

L’ultimo dato disponibile del rapporto tra dirigenti di ruolo e dirigenti a tempo indeterminato ci è dato dalla Corte dei conti, Sezioni Riunite, Relazione 2012 sul costo del lavoro, secondo il quale al 2010 erano in servizio nel comparto regioni enti locali 6884 dirigenti a tempo indeterminato e 2199 dirigenti a termine, con un rapporto del 24% sul totale dei 9083 dirigenti in servizio. Nel 2012 il numero totale si è ridotto a 8.249, ma non risultano dati certi sul numero dei dirigenti a tempo determinato, che, comunque, è piuttosto stabile, negli anni, intorno a 2.200.

L’intero comparto, insomma, denuncia una presenza di circa il 25%, un quarto, di dirigenti a tempo determinato, nonostante l’articolo 19, comma 6, del d.lgd 165/2001 preveda soglie estremamente più basse.

Si capisce, allora, il perché dell’innalzamento, riguardante però i soli enti locali e non le regioni, al 30% del personale dirigente di ruolo, disposto dal d.l. 90/2014: si è trattato di una vera e propria sanatoria di fatto alla persistente violazione dei limiti alla quantità di dirigenti, per altro nonostante numerosissime sentenze della Consulta che hanno dichiarato l’incostituzionalità di altrettante leggi regionali, per aver esse leggi fissato appunto la soglia dei dirigenti a tempo determinato nel 30%.

In ogni caso, comunque, la Regione Lazio ha dato corso a procedure di conferimento di incarichi dirigenziali esterni illegittime, per aperta violazione dei limiti numerici posti in maniera inequivocabile dalla legge.

Più controverse le indicazioni traibili dalla sentenza 3670/2015, fonte di notevole confusione.

In primo luogo, non merita condivisione la decisione del Tar Lazio di accogliere l’eccezione di giurisdizione in merito ai provvedimenti concreti di attribuzione degli incarichi dirigenziali, fondata sulla circostanza che essi hanno natura privatistica. Il Tar continua nella confusione, troppo presente nella magistratura amministrativa, tra procedimento di assunzione e conferimento dell’incarico. E’ vero che nel caso del conferimento di “incarichi” esterni le due fattispecie paiono coincidere. Ma, in realtà l’assunzione a tempo determinato è atto distinto, logicamente e temporalmente precedente all’assegnazione dell’incarico. La prima è sottratta alla giurisdizione amministrativa. L’incarico, quale atto di organizzazione espressione, per altro, di discrezionalità, è un provvedimento amministrativo vero e proprio. Tanto è vero che l’articolo 19, comma 2, del d.lgs qualifica senza alcuna possibilità di equivoco l’incarico come “provvedimento”.

In ogni caso, il Tar considera, invece, sussistente la posizione di interesse legittimo dei dirigenti, ma anche dei funzionari di categoria D (qui stanno il vizio e la confusione della sentenza) rispetto alla scelta discrezionale dell’amministrazione regionale, attuata mediante atti di macro organizzazione, di non conferire gli incarichi dirigenziali a personale interno. Pertanto, questo è un dato da accogliere favorevolmente, non esiste un terreno nel quale l’amministrazione possa decidere se e come acquisire dirigenti esterni, senza che la propria decisione non sia sottoponibile al vaglio di legittimità.

La sentenza ripercorre i passi di quella commentata in precedenza, rilevando l’illegittimità dell’azione della Regione Lazio, per il superamento dei limiti numerici al reclutamento di dirigenti esterni. Il Tar afferma: “Non è contestato in giudizio che l a dotazione organica del l a Regione Lazio prevede 240 posizioni dirigenziali di seconda fasci a e, quindi , il numero massimo di incarichi conferibili a soggetti esterni avrebbe dovuto considerarsi pari a 19 unità (8% di 240 = 19,2), mentre, l a Regione Lazio ha adottato 38 avvisi di ricerca di professionalità esterne (che si vanno a sommare ai 4 incarichi dirigenziali conferiti prima della proposizione del ricorso introduttivo del giudizio)”.

Pazienza se i numeri riportati in questa decisione non collimino con quelli evinti dalla precedente. Conta la riaffermazione dell’illegittimità del superamento dei limiti percentuali fissati dalla legge.

Clamoroso, poi, è il vizio di legittimità rilevato dalla sentenza 3670 relativo all’assenza della programmazione triennale delle assunzioni, altra causa (imperdonabile) di irrimediabile illegittimità delle assunzioni.

Il Tar Lazio, tuttavia, accoglie un ulteriore motivo di ricorso, che assume la procedura viziata per la mancata escussione dei funzionari di categoria D, considerata come obbligatoriamente preventiva all’avvio della ricerca di dirigenti esterni.

La decisione del Tar Lazio appare francamente contraddittoria e confusionaria laddove sostiene la sussistenza del diritto dei funzionari ad essere coinvolti nella procedura interna ai fini dell’attribuzione degli incarichi dirigenziali “anche in considerazione del loro interesse alla progressione di carriera”. Questo inciso della sentenza è un gravissimo errore, che ammette indirettamente come incarichi “esterni” ai funzionari siano, a ben vedere, appunto “progressioni verticali”. Ma, le progressioni verticali sono istituto abolito e sostituito, dal d.lgs 150/2009, appunto con le progressioni di carriera, che consistono esclusivamente in concorsi pubblici con limitata riserva di posti.

Ciò conferma che l’unico modo legittimo per i funzionari di accedere alla dirigenza è partecipare ai concorsi pubblici, ai sensi dell’articolo 28 del d.lgs 165/2001. L’assegnazione di “incarichi” è solo evento straordinario e remoto, non potendo mai configurarsi come normale evento di progressione di carriera, posto che tra la carriera di funzionari e quella dirigenziale per altro esiste una rilevante e piena cesura.

Risulta, di conseguenza, ulteriormente erronea la sentenza del Tar laddove ritiene che occorra cercare “tra il personale di cat. D (quali i ricorrenti) le professionalità cui conferire gli incarichi dirigenziali”.

Il Tar commette l’errore di non considerare che la procedura prevista dall’articolo 10, commi da 1 a 2, per l’attribuzione degli incarichi dirigenziali è riservata in via esclusiva al personale di qualifica dirigenziale e non si estende affatto ai funzionari di categoria D. I quali, come detto, possono solo accedere, in ipotesi assolutamente eccezionali, all’eventuale selezione di personale esterno.

La sentenza esplicita questa erronea posizione nella parte in cui evidenzia il “mancato rispetto della procedura volta alla ricognizione delle professionalità interne, nella parte in cui tale ricognizione non è stata rivolta anche ad individuare la sussistenza di funzionari direttivi” aggiungendo “la procedura deve ritenersi viziata in quanto rivolta in via esclusiva nei confronti del personale dirigenziale, e non anche di quello direttivo”.

Ma, è esattamente corretto il contrario; l’indagine sulla presenza delle professionalità meritevoli di ottenere l’incarico non può che essere rivolta in via esclusiva ai dirigenti di ruolo. Solo la motivata rilevazione dell’assenza, può far scattare il meccanismo dell’articolo 19, comma 6, a sua volta possibile fonte di destinazione degli incarichi ai funzionari.

Ritiene il Tar: “a parere del Collegio, l’impossibilità di rinvenire professionalità nei ruoli dell’Amministrazione deve intendersi nel senso che la ricerca all’esterno deve seguire l’accertamento del possesso dei requisiti richiesti in capo a soggetti già appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione e, quindi, anche tra i funzionari direttivi di cat. D in caso di vacanza in organico di personale dirigenziale”. La necessità di estendere la ricerca anche ai funzionari, secondo il tar, è dimostrata dall’utilizzo al plurale della parola “ruolo”.

Si tratta di una posizione per nulla condivisibile. E’, infatti, evidente che l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, parla di “ruoli” perché si riferisce ai molteplici ruoli dirigenziali esistenti nella PA. Tanto ciò è vero, che intento della riforma attualmente al Senato ha come oggetto proprio la creazione del “ruolo unico” della dirigenza. L’articolo 19, comma 6, dunque, parla di una pluralità di ruoli dirigenziali, dovendo riferirsi ai tanti ruoli dei vari comparti; non può essere letta la visione molteplice dei ruoli come promiscuità tra ruoli dirigenziali e non dirigenziali.

Il personale dotato delle competenze necessarie all’incarico dirigenziale da conferire non può che essere esclusivamente dirigenziale. Infatti, laddove motivatamente la professionalità non fosse rinvenibile nelle fila dei dirigenti di ruolo, l’articolo 19, comma 6, consente di ricorrere ai funzionari di categoria D come soggetti tra i quali è astrattamente possibile coloro che dall’esterno dell’amministrazione (sia pure per mera fictio iuris) posseggano i requisiti non reperiti tra i dirigenti.

Questo significa, allora, che i funzionari di categoria D non possono essere escussi ai fini dell’attribuzione dell’incarico dirigenziale come se fossero dirigenti, sebbene – come suggerisce il Tar – dopo aver verificato che innanzitutto la professionalità risulti carente tra la dirigenza. Se così fosse, i funzionari di categoria D potrebbero vantare una posizione differenziata e tutelabile dal diritto, per aspirare ad ottenere incarichi dirigenziali. Ma, proprio questo è l’errore in cui cade il Tar.

I dirigenti possono accedere agli incarichi dirigenziali in razione della corrispondenza tra qualifica posseduta ed oggetto dell’incarico stesso. L’eventuale cesura tra qualifica e incarico scatta solo laddove si dimostri che occorra una professionalità particolare, non rinvenuta in nessuno dei soggetti che, dotati, della qualifica dirigenziale, coprano i ruoli.

E’ un’ipotesti, questa, oggettivamente da considerare recessiva e straordinaria. Non si vede come, infatti, una pubblica amministrazione possa avere una provvista di dipendenti costruita in modo che siano normalmente privi della necessaria professionalità.

Solo laddove possa accedere un evento che per forza di cose non potrebbe che essere se non raro ed eccezionale, allora può attivarsi il meccanismo di cui all’articolo 19, comma 6, che permette alle amministrazioni di non coprire una vacanza d’organico attraverso un’assunzione a tempo indeterminato e, quindi, con l’immissione in ruolo, bensì di coprire temporaneamente un’assenza di professionalità, che potrebbe ipoteticamente anche riferirsi ad un incarico considerato rilevante per un limitato periodo di tempo in relazione ad un certo programma politico, ma non destinato a durare nel tempo oltre la fine del mandato politico.

In questo caso, allora, l’articolo 19, comma 6, permette di non ricorrere al sistema ordinario del reclutamento tramite concorso pubblico in ragione di una spiccatissima e peculiare professionalità riconosciuta in capo ai soggetti che possono essere incaricati a contratto: si tratta proprio di quel tasso di professionalità, così spiccata e particolare, che non si è riusciti a reperire tra soggetti, i dirigenti di ruolo, che per natura sono comunque dotati di una professionalità di per sé elevata.

L’articolo 19, comma 6, è pensato per consentire alle amministrazioni di supplire a possibili carenze non di professionalità “ordinaria”, connessa, cioè, alle normali (elevate) competenze che si richiedono in capo alla dirigenza, bensì per acquisire livelli o tipi di professionalità peculiari, che non risulta facile individuare nei ruoli.

Dunque, i destinatari dell’articolo 19, comma 6, debbono dimostrare di avere un curriculum tale da evidenziare di per sé il possesso di quelle peculiari e particolarissime competenze aggiuntive rispetto all’ordinario.

Infatti, le categorie di soggetti ai quali è possibile conferire incarichi esterni sono per loro natura caratterizzate da evidenze di elevatissima professionalità, poiché si tratta:

a) che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali;


b) che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza:


c) che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.


Nel caso della lettera a) gli interessati debbono aver già svolto funzioni dirigenziali, non bastando aver svolto attività in funzioni per l’accesso alla dirigenza. Nel caso della lettera c) occorre che i destinatari siano ricercatori universitari, oppure docenti universitari, oppure ancora magistrati o avvocati o procuratori dello Stato.

I funzionari di categoria D potrebbero rientrare, allora, esclusivamente nell’ambito della seconda delle catalogazioni previste dall’articolo 19, comma 6, ed aspirare – da esterni – ad incarichi dirigenziali, laddove dal loro curriculum la spiccatissima professionalità sia dimostrata dal possesso di formazione post-universitaria (titoli ulteriori e successivi alla laurea), oppure (ma meglio sarebbe in aggiunta) da pubblicazioni scientifiche, quindi riconosciute dalla comunità operante nel ramo specifico della professionalità richiesta e che, in aggiunta, abbiano anche svolto concrete esperienze di lavoro di almeno 5 anni in funzioni per l’accesso alla dirigenza, anche alle dipendenze della medesima amministrazione che conferisce l’incarico.

Dunque, non possono esservi dubbi. Il d.lgs 165/2001 non ammette in alcun modo promiscuità tra dirigenza e funzionari. Gli incarichi in via ordinaria possono essere attribuiti solo ai dirigenti, visto che la qualifica dirigenziale è la ragion d’essere degli incarichi.

Solo una volta dimostrato che tra i dirigenti non vi sono professionalità spiccatissime per un particolare incarico, possono entrare in gioco anche i funzionari, ai sensi dell’articolo 19, comma 6, in quanto si tratta di coloro che lavorano in posizioni funzionali per l’accesso alla dirigenza.

E’, dunque da escludere che:

  1. ai funzionari di categoria D l’amministrazione possa rivolgersi per attribuire incarichi dirigenziali al mero scopo di allargare la platea dei soggetti destinatari: gli incarichi dirigenziali debbono essere assegnati solo ai dirigenti;

  2. acclarato che sussistano le condizioni di cui all’articolo 19, comma 6, perché l’amministrazione possa reclutare dirigenti a contatti i funzionari possano avere una posizione differenziata rispetto a quella di qualsiasi altra categoria di soggetti contemplata dall’articolo 19, comma 6, stesso: debbono concorrere, nelle selezioni, con gli altri;

  3. i funzionari di categoria D possano ottenere l’incarico dirigenziale per la semplice circostanza del possesso della posizione prevista per il successivo accesso (che avverrebbe per concorso) alla dirigenza, in quanto il comma 6 dell’articolo 19 ammette questa eccezione all’assetto normale ed ordinario dell’organizzazione pubblica del lavoro e delle competenze, solo in quanto detti funzionari dimostrino il possesso della spiccatissima professionalità non reperita tra la dirigenza, proprio perché oltre alla prestazione della loro ordinaria attività lavorativa abbiano titoli postuniversitari e pubblicazioni scientifiche tali da dimostrare una competenza verticale molto approfondita e riconosciuta su quella particolare competenza richiesta dal programma politico.


Sbaglia, quindi, il Tar Lazio nel concludere che “i funzionari direttivi di cat. D, in possesso dei requisiti richiesti, avrebbero dovuto essere considerati dall’Amministrazione ai fini del conferimento degli incarichi dirigenziali prima di rivolgersi a personale esterno” in quanto ai sensi dell’articolo 19, comma 6, i funzionari sono personale esterno. Dunque, con gli esterni debbono concorrere nelle selezioni, non esistendo nella norma alcuna riserva o priorità nei loro riguardi.

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