Joe Formaggio, sindaco di Albettone “comune de-nomadizzato” e è Alfonso Sabella, ex magistrato, ora assessore a Roma hanno catalizzato l'attenzione in questi giorni.
I due, in comune, non hanno assolutamente nulla. Se non una visione della gestione della pubblica amministrazione, e di quella locale in particolare, piuttosto naif.
Partiamo da Alfonso Sabella. In un’intervista rilasciata a La Stampa lo scorso 7 aprile, l’assessore ha affermato di aver trovato al comune di Roma “una macchina amministrativa totalmente fuori controllo. […] Da tre mesi e passa sto firmando una serie di richieste di annullamento di gare in autotutela. Quando mi sono insediato, ho trovato un paio di decine di gare con procedure a evidenza pubblica, cioè quelle gare che prevedono il bando pubblico, la commissione giudicatrice, la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Un paio di decine a fronte di almeno diecimila procedure negoziate, cottimi fiduciari, affidamenti diretti, somme urgenze”.
E, invitato ad individuare le cause di tutto ciò, l’ex magistrato pare avere le idee molto chiare ed afferma: “la patologia è quella che di fronte a un ceto politico locale scarsamente preparato c’è una burocrazia comunale in grado di amministrare, decidere, scegliere senza che nessuno possa ostacolarla. Aggiungo che anche la politica sana di un’amministrazione come quella Marino ha avuto difficoltà a controllare questa burocrazia”, aggiungendo che “il ceto politico amministrativo potrebbe anche non essere oliato con le tangenti perché in realtà le sue scelte e decisioni si fermano alla politica di indirizzo. Chi decide tutto sono i burocrati, i dirigenti comunali”.
Alfonso Sabella ha una carriera di magistrato che parla da sola. Queste dichiarazioni, tuttavia, mostrano come conosca davvero poco il sistema ordinamentale locale, come anche la disciplina anticorruzione. E spiace molto rilevarlo.
L’ex magistrato utilizza un codice di comunicazione molto semplice ed utile per fare audience, tanto che la sua intervista è stata subito rilanciata da tutti i media. Il codice è semplicissimo: “la responsabilità è dei burocrati”. Dietro questa frase c’è l’autoassoluzione del ceto politico, vittima dei burocrati ed anche la critica ai dirigenti che non solo guadagnano tantissimo, ma fanno anche il bello e cattivo tempo. Ed è un indifeso assessore come lui che si erge a eroe, chiedendo gli annullamenti in autotutela.
Ora, indubbiamente Sabella pone in rilievo problemi estremamente concreti, per altro senza averli generalizzati troppo, perché si riferisce all’amministrazione comunale di Roma che, certamente, come si è visto, problemi amministrativi ne ha a bizzeffe.
Tuttavia, non si può fare a meno di osservare che sia la diagnosi, sia la cura proposte da Sabella non possono essere condivise, perché frutto di un travisamento clamoroso della normativa.
Partiamo dalla diagnosi. E’ proprio sicuro, Sabella, che tutto dipenda dai dirigenti? E’ una domanda retorica. L’inchiesta Mafia Capitale ha coinvolto, come è noto, anche vertici politici. E quali dirigenti, in particolare, sono emersi come strettamente funzionali al sistema criminale impiantato? Quelli nominati senza concorso, cooptati, scelti direttamente dagli organi politici. Dirigenti scelti esattamente per collaborare strettamente con i politici, che dipendono da essi e svolgono attività operativa per l’interesse personale di chi li nomina o comunque della corrente di partito di appartenenza o della lobby la cui influenza è stata tale da indurre il politico a nominarlo.
Sabella, da magistrato, non può non sapere queste cose. Non può non sapere che non è affatto vero che sono i dirigenti a decidere tutto. Non se, almeno, si rispettano le regole. I dirigenti non decidono, perché la decisione su “cosa” fare o non fare spetta agli organi politici, in base ai loro programmi. Sulla base di questi, gli organi politici adottano programmi e bilanci, assegnando ai dirigenti le risorse per raggiungere quegli obiettivi. I dirigenti non decidono “cosa”, ma “come”, nel rispetto delle direttive, degli obiettivi, delle risorse e delle leggi.
L’autoassoluzione degli organi di governo, dipinti come prigionieri della burocrazia presi dalla sindrome di Stoccolma, è un sistema facile per ottenere consenso, spesso rivelatore proprio dell’assenza di capacità di programmare, dare direttive, indicare risultati, assegnare risorse, valutare i risultati. Cosa tipica, per altro, di sistemi nei quali non conta, in effetti, la capacità gestionale e la leale funzione servente per l’interesse pubblico, quanto la cooptazione e la “fedeltà” ad una persona o a una lobby o a una cerchia chiusa.
La visione dell’assessore romano è, purtroppo, quella stessa del legislatore anticorruzione, che nella legge 190/2014 non ha speso una virgola per contrastare comportamenti potenzialmente corruttivi degli organi politici. A leggere la legge 190/2012, il d.lgs 33/2013 e il dpr 62/2013 (il codice “etico”) sembra che a farsi corrompere siano solo i dipendenti pubblici (tra cui ovviamente i dirigenti): gli organi politici sono coinvolti solo per l’obbligo di pubblicare la propria situazione patrimoniale. Ma i “comportamenti” corruttivi anche non penali, che per i dipendenti possono portare a gravi sanzioni fino al licenziamento, per gli organi di governo semplicemente non sono previsti. Così, il dipendente – giustamente – non può accettare per sé e per altri regali di valore superiore alla cifra di 150 euro (invero stratosferica, infatti molte amministrazioni l’hanno abbassata), mentre paradossalmente nessun tipo di sanzione opera nei confronti di un politico che accettasse per sé o per altri, oppure non si opponesse, regali di posti di lavoro, oppure orologi, oppure appalti.
L’ex magistrato nell’intervista enuncia anche rimedi totalmente sbagliati, sia nell’affermare che chiede ai dirigenti di agire in autotutela, sia nel riferire che “Con una direttiva di giunta, ho azzerato la possibilità di attivare le somme urgenze e gli affidamenti diretti. E ho dettato le regole per le procedure negoziate per ridurle all’osso e in ogni caso renderle trasparenti come una casa di vetro”.
Sabella dimentica che per il principio di separazione della funzione politica da quella gestionale, un assessore non può avere alcun potere di chiedere alla dirigenza di agire in autotutela sui provvedimenti di propria competenza. Certamente l’ex magistrato lo dice e fa in buona fede. Ma, dimentica che se questo potere fosse dato ad assessori o politici dalle intenzioni molto diverse, allora potrebbero utilizzarlo esattamente per il fine opposto di bloccare decisioni perfettamente legittime, ma non gradite, chiedendo magari al dirigente cooptato di turno di adottarle per “avocazione”, rompendo totalmente il sistema di separazione.
Allo stesso modo, la giunta comunale non possiede alcun potere di direttiva sul “come” procedere rispetto agli affidamenti degli appalti.
Sabella dà mostra, ed è questo il punto più grave e debole dei suoi ragionamenti, di sminuire totalmente funzioni, strumenti ed organi preposti all’anticorruzione.
Per controllare le attività della dirigenza, non vi deve e non può esservi una direttiva di giunta: esiste il piano triennale di prevenzione della corruzione. Quella è la sede per agire. Per attivare i controlli, non ha alcun senso che provveda un assessore con improponibili richieste di autotutela: basta attivare i controlli, anche preventivi, col piano di cui sopra e, comunque, fare sì che il segretario comunale adotti davvero i poteri di controllo previsti dall’articolo 147-bis, del d.lgs 267/2000. Esattamente quel segretario comunale che, per legge (e non, come si ostina ancora a ritenere l’Anac, a seguito di nomina) è automaticamente responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, come tale responsabile della formulazione del piano anticorruzione e del suo presidio.
La politica, programmando, fornendo risorse, stabilendo risultati e strumenti per la loro misurazione, ha poi la possibilità di verificare punto per punto come la dirigenza agisce, rendendosi, così, conto che i dirigenti – a meno che non siano intenzionalmente lasciati a briglie sciolte – eseguono, ma non decidono. E Sabella dovrebbe sapere che proprio il rispetto delle disposizioni del piano anticorruzione dovrebbe essere uno degli elementi principali del sistema di valutazione della dirigenza, come dell’intero personale.
Le dichiarazioni dell’ex magistrato rivelano una visione totalmente distorta delle norme e degli strumenti (sia pure insufficienti) esistenti ed anticipano di fatto l’abolizione del segretario comunale, che, stando alle dichiarazioni dell’assessore, è come non esistesse, come fosse già stato abolito.
Sabella, in fondo, in questo modo alimenta la “legittimità a la carte” come un qualsiasi sindaco di provincia, come quel Joe Formaggio, autore dell’ordinanza contro i nomadi, che ora, dopo l’intervento di prefetto, questore e procuratore della Repubblica, deve revocare.
Qualcuno, nel comune in cui primo cittadino è Formaggio, quell’ordinanza gliel’ha elaborata, scritta e sottoposta alla firma. Era ed è un atto totalmente illegittimo, privo di fondamento oltre che di senso e, per altro, forse anche fonte di reato.
Agli occhi del sindaco, l’autore dell’ordinanza sarà probabilmente un bravissimo elemento, da valorizzare e promuovere, perché ha condiviso con lui, fiduciariamente, un sentire politico. Poco importa, allora, che l’ordinanza sia illegittima, fonte forse di responsabilità penali e, magari anche amministrative, dal momento che il comune ha speso soli per l’acquisto e la posa di inutili cartelli stradali anti-nomadi.
Una legittimità non “a la carte”, la presenza di una dirigenza di ruolo, non selezionata per fiducia politica, la possibilità di estendere controlli preventivi su ogni atto, compresi quelli del sindaco, specie se poi sfociano in appalti per acquisti e lavori assurdi, prima ancora che inutili (ricordiamo tutti la scuola col simbolo della Lega di Adro), sono i veri antidoti contro la corruzione e la mala gestione.
In questo senso, l’abolizione dei segretari comunali, la precarizzazione della dirigenza di ruolo, l’esaltazione dello spoil system, sono tutti strumenti che vanno nella direzione esattamente opposta a quella necessaria per razionalizzare spese, fini ed attività della pubblica amministrazione. Non ci vorrebbe poi molto a prenderne atto.
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