sabato 27 giugno 2015

Dirigenza pubblica: la politica rivendica le mani libere sugli incarichi

Mani libere sulla dirigenza pubblica. Questo è quello che gli organi di governo vogliono e che nei fatti molte volte fanno e, soprattutto, questo sarà l’esito della riforma della dirigenza prevista dal disegno di legge delega di riforma della PA all’attenzione della Camera.

L’obiettivo è sempre più chiaro e semplice: liberare scelte solo fiduciarie o, comunque, connesse ad interessi esterni che poco hanno a che vedere con le competenze dei dirigenti, ma molto con i loro “agganci” con politica e lobby, così da rendere ancor più semplice di quanto non sia oggi, per la politica, cooptare i dirigenti più vicini possibile alla politica ed alle logiche partitiche.

Nelle scorse settimane sono emerse due vicende, completamente diverse tra loro, tuttavia sintomatiche di come la politica interviene nella delicatissima questione dell’attribuzione degli incarichi e delle revoche dirigenziali.

Le protagoniste sono due donne: Gabriella Acerbi, dirigente del comune di Roma, e Rosa De Pasquale, neo capo dipartimento al Miur.

La vicenda della dottoressa Acerbi è perfettamente sintomatica di come gli incarichi dirigenziali e le loro revoche siano gestiti in modo completamente contrastante con quanto “predica” al vento la normativa vigente.

L’ingenuo redattore dell’articolo 19, commi 1 e 1-bis, del d.lgs 165/2001 prevede che gli incarichi dirigenziali si debbano assegnare tenendo conto “in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all'estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell'incarico”. Allo scopo di confrontare i requisiti posseduti, il comma 1-bis stabilisce che “L'amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta”.

Bellissime parole, ancor più belle se accompagnate, poi, nell’ambito di ciascun ente da complessi sistemi di pesatura delle posizioni dirigenziali e valutazione numerica dei criteri di assegnazione degli incarichi e della connessa retribuzione; meglio ancora se, poi, risultino estremamente dettagliati ed analitici gli strumenti di valutazione della “performance” dirigenziale, con tabelle, formule, ponderazioni, grafici, algoritmi e quanto serva per formare un quadro di scientificità matematica e logica.

Peccato che nella gran parte dei casi le norme viste sopra siano totalmente ignorate e, quando siano attuate, gli strumenti di selezione e valutazione risultino essere per lo più fumo, una complessità estrema operativa che nasconde, tuttavia, la possibilità di indirizzare scelte ed incarichi in maniera totalmente arbitraria, da parte di chi ha il potere vero di decidere quale dirigente debba fare che cosa in quale struttura.

E’, appunto, il caso di Gabriella Acerbi. Nell’ambito del comune di Roma, la dirigente erra stata messa a capo del V Dipartimento Politiche Sociali, competente per le convenzioni per i centri immigrati, esattamente l’ambito di interesse delle cooperative coinvolte in Mafia Capitale.

La d.ssa Acerbi era, però, un dirigente scomodo. Le intercettazioni rivelano che i capi dell’organizzazione criminale che inquinava l’attività del comune la tolleravano poco, perché la d.ssa Acerbi non li riceveva, non parlava con loro. Insomma, non era collegata al sistema, anzi si frapponeva come ostacolo. Come avrebbe dovuto fare qualsiasi dirigente intento a svolgere il proprio dovere.

Così, l’organizzazione ha brigato e fatto di tutto perché la Acerbi fosse sostituita. L’obiettivo vero consisteva nel rimpiazzarla con un uomo “de Coratti” (il presidente del consiglio comunale, finito nell’inchiesta), Italo Politano.

La macchina politica all’interno del comune si mette in moto e, in effetti, anche se non sarà Politano a prendere il posto della Acerbi, ella viene rimossa dall’incarico, assegnato alla d.ssa Isabella Cozza. Il che fa comunque esultare Salvatore Buzzi, stando alle intercettazioni pubblicate dai media: “Comunque meglio della Acerbi … la Acerbi semo riusciti a farla fuori, vai a fare in culo, c’avemo la dottoressa Cozza, Cozzaaaa”.

Stando alle intercettazioni ed alle ricostruzioni degli eventi di Mafia Capitale, non sembra affatto che la d.ssa Cozza sia subentrata alla Acerbi a seguito della pubblicazione, da parte del comune, di un “interpello”, per permettere a ciascun dirigente di presentare una candidatura per il proprio incarico e riceverlo in linea con quanto prevede il citato articolo 19, commi 1 e 1-bis, del d.lgs 165/2001.

Allo stesso modo, non pare assolutamente che la rimozione della d.ssa Acerbi sia stata conseguenza di una “valutazione” negativa, o della violazione dolosa di direttive dell’amministrazione, come prevede, pure, l’articolo 21 del d.lgs 165/2001 in tema di mancata conferma, revoca o addirittura licenziamento dei dirigenti pubblici.

Sembra, al contrario, molto chiaro che l’avvicendamento alla direzione del V Dipartimento Politiche Sociali sia stato esclusivamente il frutto di influenze esterne nei confronti della parte politica del comune, la quale ha estromesso la Acerbi perché invisa agli interessi interni e inserito la Cozza, quanto meno dando a vedere che essa non fosse sgradita al sistema: cosa ovviamente non scontata e tutta da verificare.

Certamente, in ogni caso la gestione degli incarichi dirigenziali, nella fattispecie, si è rivelata totalmente lontana dal sistema normativo e completamente in mano a modi arbitrari e contrari a valutazione, competenza e merito nella selezione degli interessati. Il che, è da segnalare, purtroppo avviene in maniera estremamente diffusa anche nelle amministrazioni non colpite come il comune di Roma dall’influenza così rilevante di organizzazioni criminali.

La vicenda della d.ssa De Pasquale è completamente diversa, ma anch’essa rende evidente come il sistema vigente, pur improntato alla selezione dei migliori sulla base di capacità dimostrate dal curriculum e dai risultati, sia tranquillamente bypassato, quando il “merito” che viene considerato è molto diverso dalla capacità operativa e dal cursus honorum.

Rosa De Pasquale è, legittimamente, un’esponente del Pd, ex parlamentare che non ha avuto modo di ottenere la rielezione nel 2013.

Sta di fatto che nel settembre 2014, la De Pasquale venne nominata, con incarico dirigenziale a contratto esterno a tempo determinato, dirigente dell’ufficio scolastico regionale della Toscana, alle dipendenze del Miur.

La cosa, tuttavia, non piacque per nulla alla Corte dei conti, Sezione di controllo sugli atti del Governo, la quale ritenne il 30 dicembre 2014 che la De Pasquale non potesse ricevere l’incarico esterno. I giudici contabili non reperirono nelle esperienze professionali dell’interessata quella particolarissima esperienza e competenza professionale, superiore al livello di competenza dei dirigenti presenti nei ruoli e, dunque, tale da giustificare l’incarico dirigenziale esterno. Nel caso di specie, l’interpello per l’incarico dirigenziale vi fu e parteciparono ben 25 dirigenti all’attribuzione dell’incarico. Parecchio anomala fu l’estensione dell’interpello, che riguarda solo la dirigenza di ruolo, anche ad un soggetto esterno come la De Pasquale.

In sostanza, dunque, la De Pasquale venne incaricata come dirigente esterna, in assenza della verifica e dimostrazione che nei ruoli del Miur non fossero presenti dirigenti dotati della necessaria esperienza e capacità professionale di dirigere l’ufficio scolastico regionale.

Sta di fatto che la Corte dei conti non ha ritenuto di registrare il provvedimento di nomina dell’interessata.

Tutto, dunque, è stato messo a posto? Dipende dai punti di vista. Sta di fatto che il premier ed il Ministro dell’istruzione sono tornati alla carica, sicchè alla De Pasquale è stato conferito l’incarico, sempre come dirigente esterno, e per via fiduciaria di Capo dipartimento del Ministero, dunque persino un incarico dirigenziale più elevato rispetto a quello per il quale la Corte dei conti non aveva rilevato particolari competenze professionali, tali da giustificare la maggiore spesa per un’assunzione a tempo determinato.

Sfugge, a questo punto, quale sia oggettivamente il “merito” dell’interessata: quello professionale appare messo in discussione dalla valutazione (certamente fallibile) della Corte dei conti. L’impressione che il “merito” consista prevalentemente, allora, nella militanza politica è parecchio forte e proprio l’insistenza nell’assegnazione dell’incarico, in particolare del secondo, ancora una volta al di fuori dei binari procedurali stabiliti dalla legge lo corrobora.

Questi presupposti, queste vicende di fatto, che sono solo due tra le tantissime meno eclatanti quotidianamente presenti nelle amministrazioni, dimostrano quanto il vero intento della riforma della PA sia proprio eliminare nella sostanza qualsiasi ostacolo ad una gestione sostanzialmente arbitraria della dirigenza.

Il disegno di legge delega prevede ai fini dell’assegnazione degli incarichi la “preselezione di un numero predeterminato di candidati in possesso dei requisiti richiesti, sulla base dei suddetti requisiti e criteri, per gli incarichi relativi ad uffici di vertice e per gli incarichi corrispondenti ad uffici di livello dirigenziale generale, da parte delle Commissioni di cui alla lettera b), e successiva scelta da parte del soggetto nominante”. E’ assolutamente evidente che in tal modo il “merito” non sarà la guida per la scelta finale. La preselezione, con “scelta” del soggetto nominante attribuisce alle Commissioni solo il compito di indicare una “rosa” di candidati: ben difficilmente tra le rose saranno assenti proprio quei candidati notoriamente particolarmente graditi alla politica per varie ragioni; altrettanto difficile sarà che la politica, totalmente libera di scegliere tra i componenti della rosa, non indirizzi la propria decisione verso il dirigente più “consonante”.

L’effetto di tutto ciò sarebbe paradossale: infatti, il ben strano avvicendamento del comune di Roma, oggi oggetto di indagini approfondite, applicando il sistema previsto dalla legge delega non apparirebbe per nulla strano. La riforma, insomma, darebbe modo di coprire una gestione disinvolta degli incarichi dirigenziali, finalizzata anche all’attribuzione della direzione di importanti strutture amministrative a soggetti “graditi”, non necessariamente competenti.

Allo stesso modo, l’assegnazione di incarichi dirigenziali ad ex parlamentari o, comunque, componenti radicati dei partiti, risulterebbe estremamente più agevole: la Corte dei conti, come qualsiasi altro giudice, avrebbe serie difficoltà a sindacare la scelta nell’ambito di una rosa, preselezionata tra dirigenti evidentemente considerati di pari livello da apposite Commissioni (che dovrebbero essere indipendenti, ma di nomina politica).

E’ vero certamente che già oggi, nonostante la disciplina normativa rigorosa, moltissime volte gli incarichi dirigenziali e le loro revoche sono guidati da modalità tutt’altro che improntate al rigore, alla selezione ed al merito: si veda anche il caso recente della rimozione di Nicoletta Faraldi dalla gestione della Valutazione di impatto ambientale presso la regione Liguria, per aver espresso parere negativo alla realizzazione di un centro commerciale in area soggetta ad alluvione.

Appare altrettanto chiaro, tuttavia, che la riforma della PA invece di incidere in modo tale da assicurare una maggiore competenza tecnica della dirigenza, finisce per rendere più semplici incarichi di natura politica, quando non clientelare o addirittura funzionali ad inquinamenti molto gravi dell’attività amministrativa.

Ce ne sarebbe abbastanza per comprendere quanto sia necessario modificare radicalmente l’impianto della riforma. Ma c’è da stare certi che occorreranno lustri per capire ciò che è chiaro sin da ora e tentare di porre rimedio, quando sarà troppo tardi.

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