venerdì 31 luglio 2015
Incostituzionali i tagli alle province piemontesi. Consulta boccia la riforma Delrio?
La sentenza della Corte costituzionale 24 luglio 2015, n. 188 in apparenza riguarda esclusivamente una vicenda istituzionale del territorio della regione Piemonte.
La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di due leggi di bilancio della regione Piemonte, la 9/2013 e la 16/2013,nelle parti che “non consentono di attribuire adeguate risorse per l’esercizio delle funzioni conferite dalla legge reg. Piemonte n. 34 del 1998 e dalle altre leggi regionali che ad essa si richiamano”.
La vicenda si può sintetizzare con le parole della pronuncia: “l’entità degli stanziamenti contenuti nei bilanci della Regione stessa mostra al riguardo una sostanziale continuità – solo negli ultimi due esercizi interrotta – delle assegnazioni riguardanti il capitolo 149827R nell’ambito della posta contabile Unità previsionale di base 05011, costantemente identificativo dell’allocazione delle risorse oggetto del presente contenzioso, a partire dal momento dell’effettivo conferimento delle funzioni alle Province piemontesi. In particolare, a partire dall’esercizio 2010 si presenta la seguente situazione: 2010 UPB 05011, capitolo 149827R, stanziamento euro 60.000.000,00; 2011 UPB 05011, capitolo 149827R, stanziamento euro 59.000.000,00; 2012 UPB 05011, capitolo 149827R, stanziamento euro 40.000.000,00; 2013 UPB 05011, capitolo 149827R, stanziamento euro 20.000.000,00 (euro 21.065.336,47 a seguito di assestamento). Nel breve volgere di due anni i trasferimenti in questione si sono dunque ridotti del sessantasette per cento senza che dette funzioni risultino ridimensionate in misura proporzionata alla drastica riduzione evidenziata”.
Ancora più in sintesi, la regione Piemonte ha ridotto i finanziamenti alle province, per l’esercizio delle funzioni ad esse conferite in applicazione del decentramento amministrativo imposto dal d.lgs 112/1998, di oltre due terzi, lasciando, tuttavia, intatti gli oneri operativi per portare avanti le funzioni medesime, compresi i costi di gestione: utenze, servizi, appalti, costi generali, patrimoniali e del personale.
Insomma, mentre fino al 2010 la regione Piemonte aveva garantito una simmetria tra funzioni conferite e risorse finanziarie necessarie per la loro gestione, dal 2011 tale simmetria è stata apertamente violata, a discapito delle province, che hanno dovuto coprire con risorse dei propri bilanci i mancati trasferimenti regionali.
Non si tratta di una storia solo della regione Piemonte. In Veneto è accaduto lo stesso fenomeno, con tagli ancora più marcati in particolare nei settori della formazione professionale e del turismo, che la regione ha conferito alle province con legge regionale 11/2001. In ogni caso, l’Upi ha da tempo evidenziato come dal 2010 al 2014 i trasferimenti che complessivamente le regioni hanno versato alle province sono passati da euro 3.767.789.587 - a euro 2.839.913.100, il 24,6 % in meno, una perdita secca di euro 927.876.487, che si è aggiunta ai tagli e prelievi forzosi operati dallo Stato, tanto da determinare nel 2017, qualcosa come una riduzione delle disponibilità delle province di circa 6 miliardi su un volume di spesa al 2014 di circa 10 miliardi. Un salasso senza precedenti e senza paragoni nell’ambito dell’ordinamento pubblico.
Perché, tornando alla sentenza 188/2015, la Consulta ha ritenuto costituzionalmente illegittime le leggi regionali di bilancio che hanno inciso così negativamente i conti delle province piemontesi?
Non che allo Stato o alle regioni o, comunque, ad un ente che sia titolare del potere di delegare o conferire ad altri enti sia vietato di rivedere la portata delle risorse da trasferire, per la loro gestione. La sentenza 188/2015 lo spiega molto chiaramente: “Questa Corte ha già avuto modo di precisare, seppur con riferimento alle Regioni a statuto speciale, che ad esse non può essere assicurata «una garanzia quantitativa di entrate, cosicché il legislatore statale può sempre modificare, diminuire o persino sopprimere i tributi erariali, senza che ciò comporti [automaticamente] una violazione dell’autonomia finanziaria regionale» (sentenza n. 97 del 2013). Ciò vale a maggior ragione per le Province, che hanno un grado di autonomia inferiore alle autonomie speciali”.
Tuttavia, come dicevano i latini, est modus in rebus. La Consulta prosegue affermando, dunque, che “Le possibilità di ridimensionamento incontrano tuttavia dei limiti. Vale in proposito il costante orientamento di questa Corte, secondo cui «possono aversi, senza violazione costituzionale, anche riduzioni di risorse per la Regione [nel caso in esame della Provincia], purché non tali da rendere impossibile lo svolgimento delle sue funzioni. Ciò vale tanto più in presenza di un sistema di finanziamento [che dovrebbe essere] coordinato con il riparto delle funzioni, così da far corrispondere il più possibile […] esercizio di funzioni e relativi oneri finanziari da un lato, disponibilità di risorse […] dall’altro» (sentenza n. 138 del 1999 e, più di recente, sentenza n. 241 del 2012)”.
Chiarissimo, no? Se l’ente che trasferisce ad altri funzioni e compiti istituzionali può nel tempo rimodulare la portata delle risorse finanziarie necessarie a sostenere i costi di gestione, per altro verso tale rimodulazione, specie se in riduzione, deve assicurare comunque una certa simmetria tra risorse e modalità operative della gestione. Quindi, in linea teorica vi deve essere una rispondenza tra livello delle prestazioni richieste con lo svolgimento delle funzioni e livello delle risorse necessarie.
Se questa simmetria viene scardinata, in modo tale che l’ente destinatario del conferimento delle funzioni continui ad essere chiamato a svolgerlo con i medesimi requisiti quantitativi e qualitativi, ma il finanziamento da parte dell’ente trasferente si riduca in modo drastico, tale “da rendere impossibile lo svolgimento delle sue funzioni”, la decisione dell’ente trasferente vìola in modo indubitabile l’ordinamento giuridico e costituzionale.
Sul punto, le conclusioni che trae la Consulta sono assolutamente trancianti: “In particolare, appare evidente che una riduzione del cinquanta per cento rispetto all’anno precedente e del sessantasette per cento rispetto al biennio anteriore, ad invarianza di funzioni e senza un progetto di riorganizzazione, si pone in contrasto con i più elementari canoni della ragionevolezza. Per quel che riguarda più specificamente il contesto della pubblica amministrazione, ogni stanziamento di risorse deve essere accompagnato da scopi appropriati e proporzionati alla sua misura.
5.2.– Le norme impugnate collidono anche con il principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., che, nel caso in esame, costituisce uno sviluppo del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
Il principio di buon andamento implica, da un lato, che le risorse stanziate siano idonee ad assicurare la copertura della spesa, a cominciare da quella relativa al personale dell’amministrazione, e, dall’altro, che dette risorse siano spese proficuamente in relazione agli obiettivi correttamente delineati già in sede di approvazione del bilancio di previsione.
Una dotazione finanziaria così radicalmente ridotta, non accompagnata da proposte di riorganizzazione dei servizi o da eventuale riallocazione delle funzioni a suo tempo trasferite, comporta dunque una lesione del principio in considerazione. Ciò proprio in ragione del fatto che a determinarla non è la riduzione delle risorse in sé, bensì la sua irragionevole percentuale, in c”.
La Consulta chiude inevitabilmente affermando: “L’entità della riduzione delle risorse necessarie per le funzioni trasferite o delegate alle Province piemontesi si riverbera necessariamente anche sull’autonomia di queste ultime, entrando in contrasto con l’art. 119, primo e quinto comma, Cost., nella misura in cui non consente di finanziare le funzioni a loro attribuite”.
Chiunque legga la sentenza 188/2015 della Corte costituzionale non può fare a meno di astrarsi dal caso concreto da essa affrontato e paragonarlo alla situazione innescata dalla legge 190/2014. E rendersi conto che i due casi sono totalmente sovrapponibili.
La Consulta, infatti:
a) boccia due leggi di bilancio della regione Piemonte; la legge 190/2014, in quanto legge di stabilità per il 2015, ha la medesima natura di quelle piemontesi;
b) considera “irragionevole” la percentuale di riduzione dei trasferimenti della regione Piemonte, prima del 50% e poi del 67%; la legge 190/2014 apporta alle province, sommandosi alle misure finanziarie degli anni precedenti (d.l. 78/2010 per 500 milioni, d.l. 201/2011 per 415 milioni, d.l. 92/2012 per 1,25 miliardi, d.l. 66/2014 per 576 milioni) un abbassamento del volume di spesa che si traduce in un taglio (misto tra tagli veri e propri e prelievi forzosi ai bilanci provinciali) di 3,741 miliardi nel 2015, che diverrà di 5,741 miliardi a regime nel 2017, oltre al miliardo circa sottratto alle province dalle regioni. Un totale di tagli di circa il 65% per cento;
c) considera le leggi della regione Piemonte ulteriormente irragionevoli perché non accompagnate da correlate misure che ne possano giustificare il ridimensionamento con il recupero di efficienza o una riallocazione di parte delle funzioni a suo tempo conferite; mentre la legge 56/2014 ha previsto un meccanismo di riallocazione delle funzioni provinciali non fondamentali tale per cui agli enti destinatari delle stesse fossero attribuiti personale, patrimonio, strumentazioni e risorse delle province in assoluta simmetria, la legge 190/2014 sconvolge questo processo di riallocazione:
1. apportando un taglio lineare al costo del personale delle province, pari al 50% delle dotazioni organiche, ridotto al 30% per le città metropolitane e per le province con prevalente territorio di montagna;
2. scindendo completamente la riallocazione delle funzioni non fondamentali delle province dal loro finanziamento, sicchè gli oneri gestionali di tali funzioni, pari a circa 2 miliardi, vengono di fatto accollate a regioni ed enti locali, come dimostra, per altro, la legge di conversione del d.l. 78/2015.
A leggere la sentenza della Consulta 188/2015, dunque, non pare vi possano essere molti dubbi sull’assoluta incostituzionalità della riforma Delrio, come manipolata e peggiorata dalla legge 190/2014.
Ma, al di là dei giudizi di costituzionalità o meno, che restano di competenza esclusiva della Consulta, la specularità tra l’azione posta in essere dalla regione Piemonte, conclamata come incostituzionale, e quella del Governo è impressionante.
Affermare, pertanto, che la riforma delle province risulti irragionevole, priva di un progetto di riallocazione delle funzioni, penalizzante sul piano finanziario per le province, tale da non consentire lo svolgimento delle funzioni, non è per assumere un atteggiamento a priori “pro province”. Le province possono anche essere riformate o abolite. Il fatto gravissimo è che il modo con cui Governo e Parlamento hanno proceduto verso questa scelta è, alla luce della giurisprudenza costituzionale, platealmente irrazionale, erroneo, inefficace, vessatorio e ai limiti del dilettantesco.
In coda, merita menzione la sentenza del Tar Veneto 21 maggio 2015, n. 553. E’ oltre i confini del singolare e della razionalità giuridica che mentre il Tar Piemonte abbia considerato manifestamente non infondata e rilevante la questione di legittimità costituzionale rilevata dalle province piemontesi ricorrenti, tanto da sollevarla e spingere la Consulta alla pronuncia fin qui commentata, il Tar Veneto, per fatti assolutamente identici abbia adottato la decisione opposta.
Il fatto riguarda i finanziamenti per la funzione del turismo e così il Tar Veneto sintetizza: “Alla provincia ricorrente è stata attribuita una quota percentuale pari al 14, 82 per cento della somma stanziata, per un ammontare complessivo di euro 518.700, inferiore a quello assegnato alla medesima provincia per il precedente anno, pari a euro 592 1800 e pari a meno della metà di quello assegnato nell'anno 2011 pari a euro 1.318.239, che aveva già operato una decurtazione delle risorse assegnate alle province del 22% rispetto all'assegnazione dell'anno precedente”.
La provincia ricorrente aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale per violazione dell’articolo 119 della Costituzione: esattamente quel tipo di violazione che è stato rilevato dalla Consulta, con la sentenza 118/2015.
Completamente all’opposto rispetto alle valutazioni del Tar Piemonte e, soprattutto, della Consulta, il Tar Veneto ritiene che “la previsione operata a livello regionale con la legge di bilancio assume valenza imprescindibile in quanto la fissazione dei limiti di spesa rappresenta l'adempimento di un preciso obbligo di risanamento del bilancio nazionale, con assoggettamento al patto di stabilità, al pari della provincia stessa, e riguarda il merito dell’azione amministrativa, insindacabile se non sotto i profili di illogicità e irragionevolezza”. Insomma, per il Tar Veneto appare ragionevole che la regione Veneto abbia scaricato sulla funzionalità (meglio dire, disfunzionalità) delle province e sui loro bilanci le proprie scelte finanziarie. E non pago, il Tar Veneto, nel respingere il ricorso e rigettare la questione di legittimità costituzionale conclude che “correttamente la difesa della regione fa presente come oltre alle risorse trasferite dalla Regione, la Provincia si possa giovare anche delle risorse proprie e anche di quelle aggiuntive dello Stato”.
Non fa di certo onore al Tar Veneto, rigorosissimo nell’applicare le norme, aver adottato una sentenza di questo tenore, clamorosamente annichilita dalla decisione opposta della Corte costituzionale. Soprattutto, appare davvero fuori dalla realtà l’affermazione finale, una sorta di alzata di spalle rispetto alle questioni epocali poste da una riforma delle province della quale, forse, al Tar Veneto non sono edotti fino in fondo. Non è davvero possibile accettare che secondo il Tar Veneto il problema delle insopportabili riduzioni finanziarie alle province si possa risolvere chiedendo alle province stesse, in plateale violazione di qualsiasi principio di ragionevolezza e delle previsioni dell’articolo 119 della Costituzione, esse debbano fare fronte con proprie risorse e, soprattutto, con “quelle aggiuntive dello Stato”. Quali “risorse aggiuntive dello Stato” vi sono, secondo il Tar Veneto? Ma, la ridda di norme citata prima, o quanto meno la legge 190/2014, già vigente al momento della pronuncia dello scorso 21 maggio, era nota al Giudice? Ma, seriamente: di che parliamo?
L.O.
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