Sul Corriere della sera del 28 agosto 2015 è pubblicato uno degli esempi migliori di giornalismo che dà di gomito al potere, mostra di essere in confidenza, suggerisce e, sotto sotto, ambisce ad essere ancora più “embedded” con incarichi ufficiali.
Si tratta dell’articolo di Federico Fubini che già dal titolo rivela il programma: “Superconsulenti a Palazzo Chigi: su lavoro e ripresa un’unità di crisi”.
I temi dell’esemplare topos di giornalismo di propaganda e di governo sono moltissimi. Il primo è quello dell’autoreferenziale “confidenza” che l’Autore ha con le stanze del potere. L’articolista dimostra di saperla lunga, di conoscere dettagli agli altri negati, di avere modo, insomma, di entrare fin là dove agli altri è precluso. Dunque, l’inizio dell’articolo: “Matteo Renzi ha sette consiglieri per le riforme economiche, e al rientro a settembre cercherà di capire se è il caso di reclutarne altri o addirittura riorganizzare il loro lavoro in una struttura che ricalchi quella della Casa Bianca”. Sappiamo, dunque, che il giornalista sa che i consulenti sono 7, ma che forse la compagine sarà da modificare e che il modello, ovviamente, non può che essere quello americano; non del Cansas City di Alberto Sordi, ma una struttura che ricalchi quella della Casa Bianca, in attesa, ovviamente, che sia poi la Casa Bianca a copiare il modello italiano.
Intanto, a copiare siamo noi, perché, informa l’articolo “il punto di forza del Council of Economie Advisor del presidente Usa è mettere a fattor comune le competenze, con un forte impatto sulla burocrazia”. E, dunque, non si discute: “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”.
Ma, la autocelebrazione del giornalista che sa molto viene dopo, nella descrizione accurata dei luoghi dove i 7 “superconsulenti” operano e forse lavoreranno a breve con una squadra rinforzata. Dunque, ci informa che “Il corridoio del primo piano di Palazzo Chigi, quello dal lato di Piazza Colonna che porta all'ufficio del primo ministro, con il tempo è cambiato”. Il corridoio, dunque, è esattamente quello. Su google map non c’è, ma grazie al Corriere sappiamo con estrema precisione che addirittura è quello dal lato di Piazza Colonna. Non si poteva stare senza, ovviamente.
Ma, come è cambiato il corridoio? Niente paura: l’articolo ci informa: “Durante governi ormai distanti, si potevano sentire i fattorini discutere a lungo tra loro di ferie e turni, in livrea e scarpe da tennis”. Insomma, prima della “nuova era” quel corridoio dal lato di Piazza Colonna era una sorta di nido di fannulloni, in livrea sì, ma pronti a scappare con le scarpe da tennis ai piedi. Poi, il nuovo corso: “All'inizio dell'esecutivo di Matteo Renzi molte stanze erano vuote, e si respirava la disorganizzazione che arriva con l'inesperienza e la voglia di fare”. Ecco che qui l’articolo gira per un attimo dal tono didascalico dimostrativo della conoscenza dei dettagli a quello più propriamente celebrativo, che verrà meglio sviluppato dopo. E, dunque, un apprezzamento caloroso e sentito per quell’inesperienza che giustifica la disorganizzazione, a sua volta comprensibile vista la “voglia di fare”. Ma, continuiamo. Il dopo Renzi è una rivoluzione: “Ora è diverso”. C’è la rottamazione, non si scherza. Il cambio di passo è evidente e l’articolo lo racconta con precisione da computer: “C'è ordine nell'attitudine dei fattorini, e le stanze lungo il corridoio non sono più vuote. Renzi si è dato una struttura di consiglieri economici che con i mesi è cresciuta fino a diventare la più robusta mai vista a Palazzo Chigi”.
Dunque, possiamo stare tranquilli. Palazzo Chigi vigila su di noi, grazie ai consulenti. Anzi, scusate, “superconsulenti”. Sì, perché un secondo tema dell’articolo agiografico è quello dell’infallibilità delle scelte del premier, specie se esse sono riferite a puntellare le esangui, vecchie, incapaci strutture burocratiche interne. Mai che la struttura amministrativa di un premier o di un ministro si componga dei dirigenti ed esperti di ruolo. Occorrono consulenti, che dico, “superconsulenti” esterni, che alla Casa Bianca nemmeno se li sognano. Così da costituire, pensate, la struttura più robusta “mai vista” a Palazzo Chigi. Roba grossa.
E siccome Renzi è il rottamatore di D’Alema, ecco il paragone con l’esperienza precedente che più si avvicina a quella magnificata dall’articolo: “Massimo D'Alema aveva il primato, perché quando divenne premier nel 1998 chiamò Pier Carlo Padoan, Marcello Messori, Nicola Rossi, Massimo De Vincenti e, per la politica estera, Marta Dassù”. Ma, il primato di D’Alema, come ogni record, è destinato ad essere superato. E solo un recordman poteva: “deciso a guidare direttamente dai suoi uffici tutto il programma di governo, Renzi è andato oltre. Ha sette consiglieri per le riforme economiche, e al rientro a settembre il premier cercherà di capire se è il caso di reclutarne altri ancora o addirittura riorganizzare il loro lavoro”. L’affare si ingrossa, il record è da migliorare, il Guinnes dei primati non attende: c’è tanta concorrenza in giro.
Intanto, il gruppo dei 7 “superconsulenti” è ovviamente stellare: “Renzi è riuscito ad attrarre alcuni dei migliori economisti e dei massimi specialisti d’Italia”. Non si scherza: le migliori menti passano da Palazzo Chigi, chi è fuori è fuori. E nell’elogio della straordinaria ed irraggiungibile competenza il giornalista cala l’asso di spade, l’arma finale, la prova inconfutabile del valore assoluto, elevatissimo dei “superconsulenti”: “spesso sotto o attorno ai 40 anni”! Siamo in una botte di ferro.
L’elogio prosegue col racconto della vita sacrificata che molti di questi “superconsulenti” fanno, pur di adempiere indomiti. “Per esempio il giurista Maurizio Del Conte ha lasciato per mesi l’università e il suo studio di avvocato per scrivere i testi dei decreti del jobs act in cambio di un rimborso spese: treno da Milano, taxi da Termini a Piazza Colonna e hotel, secondo regolamento non oltre tre stelle”. Una vita monastica dell’autore di una delle riforme meno efficaci, come nei giorni scorsi ha attestato la clamorosa gaffe del Ministero del lavoro sui dati. Una vita presentata come fosse un sacrificio, mentre sono milioni ogni giorno i lavoratori che il treno veloce, il taxi e l’hotel se lo sognano, ammassati dentro trenacci locali sempre in ritardo.
L’articolo qui propone indirettamente, ma con evidenza, la dedizione alla Nazione ed al sacrificio di questi superconsulenti, che nonostante abbiano intorno ai quarant’anni, non ricevono un compenso. Però l’ha spiegato benissimo Michele Ainis proprio sulle pagine del Corriere della sera dello scorso 22 agosto dove nell’articolo “Lavorare gratis? Ho i miei dubbi” scrive: “come verrà ricompensato il consulente? Con favori, protezioni, «entrature». Insomma col biglietto d'ingresso in un circuito dove non conta il merito, bensì le conoscenze”.
Ma sarà poi vero o Ainis si è mostrato molto cattivo? Torniamo un attimo indietro, alla squadra di superconsulenti di D’Alema, superata in bellezza dall’attuale premier. Rileggiamo i nomi dei suoi componenti, come citati dall’articolo di Fubini. Troviamo Pier Carlo Padoan: vi ricorda qualcuno? Sta, adesso, al Governo per caso? Poi, Marcello Messori, che dal gruppo di superconsulenti di Palazzo Chigi è passato direttamente ai consigli di amministrazione di diverse società in mano pubblica. Segue Nicola Rossi, uscito da Palazzo Chigi ed entrato per oltre 10 anni in Parlamento. Poi, Massimo De Vincenti, installatosi in modo fisso al Governo dai tempi di Monti ed ora sottosegretario alla Presidenza del consiglio. Infine, Marta Dassù, prima sottosegretaria e poi vice ministro agli esteri e adesso incaricata da Renzi nel cda di Finmeccanica. Che Ainis abbia ragione? Lo sapremo osservando su quali poltrone siederanno in futuro i quarantenni oggi reclutati dal premier nella sua task force.
Ma, torniamo all’articolo. Segnatamente nella parte nella quale il giornalista passa al dare consigli. Perché un analista non si limita a descrivere ed elogiare, ma deve contribuire al miglioramento, anche se il gruppo dei 7 superconsulenti è una bomba, un esempio perfettissimo di strepitosa efficienza e competenza. Però, a guardare bene c’è sempre un però. Infatti: “La decisione più importante da prendere, quanto a questo, è applicare il metodo americano: la Casa Bianca ha il Council of Economics Advisors, con procedure, lavoro di squadra, ruoli ben definiti ed un capo che coordina l’attività e i rapporti col presidente”. E, oggettivamente, chi siamo noi per non fare come gli americani (Carosone aveva visto lungo…)? Ecco, occorre un passo in avanti, perché, nota l’articolo il premier dei 7 superconsulenti “non ne ha fatto mai una squadra. Ciascuno dei consiglieri parla con il premier da solo e a sua volta ciascuno si dota di un gruppo di persone, spesso informale”.
Attenzione! Non è una critica, sia chiaro: “in realtà il metodo di Renzi finora si è dimostrato utile” (sospiro di sollievo). Infatti, “incontrando i suoi consiglieri uno ad uno, tenendo le sue carte coperte, il premier è riuscito a muovere di sorpresa ed evitare che il fuoco di fila contro le riforme partisse troppo presto”. Dunque, tutto bene, fin qui tutto a posto. I superconsulenti si dimostrano fin da subito degli eredi dello straordinario gruppo di D’Alema, anche se non è facile reperire nei ricordi leggi, norme e riforme a firma di uno dei consulenti dell’allora premier che abbiano avuto efficacia ed abbiano rilanciato l’Italia, né risulta che l’operato dei 7 superconsulenti di oggi abbia sortito particolari benefici su debito, Pil, deficit, lavoro, imposizione fiscale. Ma, sono giovani, occorre dare tempo, chiaro.
Allora, il suggerimento finale. Che parte, ovviamente, ancora una volta dall’esempio americano. Il ragionamento non fa una piega: “il punto di forza del Council of Economics Advisors è proprio far leva sulle competenze per metterle a fattore comune e moltiplicarle”. E anche qui, nulla quaestio.
Per fortuna, uno dei 7 superconsulenti, anche se forse è in uscita, ci sta lavorando: “Lo stesso Andrea Guerra per mesi ha lavorato per formare un secondo gruppo (esterno) di poche personalità su cui il premier potesse contare. Non è chiaro che Guerra sia riuscito, anche perché è difficile convincere professionisti affermati ad abbandonare le proprie attività”.
Che dite, riuscirà Guerra a ridefinire la compagine, trasformarla in una squadra ed ampliarla reclutando professionisti affermati? E magari, pensate che tra i professionisti affermati l’autore dell’articolo, con l’articolo, si sia candidato? Siete maliziosi. Perché non tenete conto, come invece l’Autore nella chiusura dell’articolo, che “quale che sia l'esito di questo dibattito in corso, anche la disciplina dei fattorini in corridoio nasconde sempre qualche indizio sulla natura di una leadership”.
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