La sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2015, n. 181, dovrebbe porre la parola fine sul maldestro tentativo di riformare l’ordinamento della Repubblica intervenendo sulle province, per far comprendere che i veri problemi, organizzativi e soprattutto finanziari, risiedono altrove e, segnatamente, presso le regioni.
Il “federalismo fiscale” improvvidamente attivato dalla sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione oggetto della legge costituzionale 3/2001, ha trasformato le regioni in una sorta di “stato nello stato” accrescendo a dismisura il loro potere di spesa e di imposizione. Non è affatto un caso che la spesa delle regioni tra il 2001 e il 2010 – come ha dimostrato la Cgia di Mestre – sia passata da 119 a 208 miliardi, esplodendo di 89 miliardi, un +74,6% semplicemente spaventoso.
Ovviamente, a fronte di tutto ciò, è aumentata di pari passo la pressione fiscale, come è ben noto ad ogni cittadino.
Non contente di questo andamento, le regioni hanno brillato per manifestarsi tra le amministrazioni che hanno presentato tempi di pagamento dei creditori tra i più lunghi, contribuendo ulteriormente alla crisi economica e liquidità dell’Italia.
Ma non si sono fermate qui. La Corte costituzionale, con riferimento specifico alla legge della regione Piemonte 16/2013, di assestamento del bilancio, su sollecitazione della Corte dei conti ha acclarato che detta regione ha utilizzato le somme messe a sua disposizione dal d.l. 35/2013, convertito in legge 64/2013, non per pagare i creditori, ma per altri fini, dando vita, secondo quanto accerta la sentenza 181/2015, ai seguenti comportamenti: “il legislatore regionale, manipolando lo schema legislativo che si fonda sul parallelismo di tali delicati processi, ha contemporaneamente: a) alterato il futuro risultato di amministrazione, nella misura in cui ha considerato tra le risorse destinate alla copertura di nuove spese una mera anticipazione di liquidità (sulla incostituzionalità di norme creatrici di pratiche contabili finalizzate a consentire capacità apparente di spesa, si vedano le sentenze n. 266 e n. 138 del 2013 e n. 309 del 2012); b) omesso di impiegare le somme per l’adempimento degli obblighi pregressi, siano essi quelli previsti dall’art. 2 o dall’art. 3 del d.l. n. 35 del 2013 (in tema di squilibrio di bilancio originato da situazioni debitorie provocate dall’inerzia e dai ritardi del legislatore regionale, si veda la sentenza 250 del 2013); c) utilizzato per spese di competenza dell’esercizio 2013 l’anticipazione dello Stato, gestendola come un contratto di mutuo in patente contrasto con la “regola aurea” di cui all’art. 119, sesto comma, Cost. (sentenze n. 188 del 2014 e n. 425 del 2004)”.
Il tutto ha creato, secondo la Corte dei conti, un buco di oltre 2 miliardi nel bilancio della regione Piemonte. Ma, come hanno avuto modo di sottolineare (con ritardo) i giornali a partire dalla metà di agosto, moltissime altre sono le regioni che hanno dato un’interpretazione disinvolta del d.l. 35/2013, utilizzando gli spazi concessi ai fini del pagamento dei debiti, per incrementare la spesa corrente, utilizzando le anticipazioni messe a disposizione dallo Stato come se fossero mutui.
Complessivamente, il buco di bilancio delle regioni, consistente in realtà in un incremento del deficit e dell’indebitamento, viene stimato in circa 20 miliardi, se, come appare normale, vengono estesi a tutte loro i principi enunciati dalla sentenza 181/2015.
Per il Governo, che cerca di minimizzare e tranquillizzare, sorge un ulteriore grattacapo finanziario pesantissimo. Staremo a vedere come si porrà rimedio.
Per il giudizio sulle riforme sin qui effettuate, basti pensare che l’intera spesa annua delle province, precedente alle riforme che dal 2010 hanno continuato ad inferire tagli pensantissini ai loro bilanci, non arrivava a 12 miliardi l’anno, poco più della metà del buco di bilancio causato dalle regioni.
Secondo le rilevazioni tratte dalla nota di aggiornamento al Def 2014 e del Siope da parte dell’Unione province italiane, le regioni spendono complessivamente 159 miliardi, a fronte degli 8,9 ai quali si è ridotta la spesa delle province, che nel 2015 sarà inferiore di un altro miliardo e mezzo circa. Le province risultano essere gli enti tra i più puntuali nei pagamenti.
Era certamente possibile riformare le province, nel tentativo di migliorare l’assetto ordinamentale del Paese.
Sta di fatto che la riforma messa in atto non ha comportato alcun risparmio vero e proprio, perché le risorse sottratte alla disponibilità di spesa delle province dalla legge 190/2014 (1 miliardo nel 2015, 2 nel 2016 e 3 nel 2017) vengono “requisite” dallo Stato, che le spenderà al posto delle province. Dunque, la riforma non produrrà alcun beneficio ai fini di una riduzione della spesa pubblica nel suo complesso e della conseguente riduzione delle imposte.
In ogni caso, anche se vi fosse stato il risparmio (invece mancato) di 3 miliardi a regime, per ripianare il buco da 20 miliardi sul 2013 causato dalle regioni (che probabilmente si ribadirà anche nel 2014) occorrerebbero circa 7 anni di operatività della legge 190/2014 e del prelievo forzoso alle province. La cui incidenza complessiva sulla spesa pubblica è di circa, al 2014, l’1,08%, contro il 19,34% delle regioni, il 7,95% dei comuni (che nel 2014 hanno speso 65,7 miliardi) e il 71,63 dello Stato, che spende 592,5 miliardi.
Alla luce del volume di spesa delle amministrazioni pubbliche e dell’ennesimo clamoroso e gravissimo caso di mala gestio da parte delle regioni, sembra assolutamente chiaro che, al netto – si ribadisce – della legittima opportunità di valutare una riforma istituzionale locale intervenendo sulle province, la riforma di questi enti, anche se possibile e opportuna, non solo si è rivelata sbagliata nei modi e nei termini con i quali è stata impostata: soprattutto, si è rivelata fuori bersaglio. Gli enti che pesano, eccome, sulla spesa e che gestiscono in malissimo modo le loro funzioni, così da creare emergenze finanziarie devastanti, come appurato dalla Corte costituzionale, erano e sono altri.
[…] 3.2 commenta benissimo la fondamentale sentenza della Corte Costituzionale sul bilancio della Regione Piemonte, da me ricordata ieri questo post, assolutamente da non perdere: Pagamenti ai creditori della PA: lo scandalo delle regioni […]
RispondiEliminaC'è un refuso nell'ultima parte: l'incidenza sulla spesa pubblica del 19,34% è delle regioni, non delle province.
RispondiElimina[…] abbiamo avuto modo di apprendere, le regioni hanno causato un buco di bilancio stimato nel massimo in 20 miliardi, grazie ad un […]
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