La nuova scadenza per l’approvazione
dei bilanci dei comuni è il 30 aprile (per ora).
Anche nel 2016, come era
inevitabile, si innesca la solita tragicommedia della fissazione delle scadenze
per l’approvazione del bilancio di previsione e di tutto quello che viene
dietro.
E’ l’ennesima conferma di come
si sia totalmente perso, ormai il senso dell’orientamento.
Il 2016 è (dovrebbe essere) il
primo anno della completa applicazione della riforma della contabilità locale,
approvata con lo sciagurato d.lgs 118/2011, norma che si sta rivelando, come
era facile ipotizzare, solo una complicazione poco utile.
L’esordio della nuova
contabilità è da anni preparato a suon di squilli di tromba e corredato dalla
sostituzione della vecchia relazione previsionale e programmatica col documento
unico di programmazione, cioè la stessa cosa, ma da redigere senza indicazioni,
con molti più dati e con infinte burocratizzazioni.
Il Dup è uno degli emblemi della
riforma della contabilità, come dimostra la circostanza che le norme posto a
regolarlo ed i vari principi contabili e faq (le nuove fonti del diritto
moderno, purtroppo) lo ammantano ad ogni più sospinto dell’aggettivo “strategico”.
Tutto nel Dup è “strategico”, persino asfaltare le buche, sostituire le
maniglie rotte ed acquistare le gomme per cancellare.
Tanto è “strategico” tutto, con
la nuova contabilità, che il bilancio intanto si approva essendo andato via il
primo quadrimestre. Ma, ovviamente, la scadenza slitterà ancora.
E, a proposito di scadenze e di
Dup: la scadenza per l’approvazione del Dup quale sarebbe? Mesi e mesi ad
approfondire il tema, data la valenza ovviamente “strategica” del Dup, da molti
qualificato come il documento di economia e finanza (Def; ma quanti ridicoli
acronimi utilizziamo?) locale, e a dire e spergiurare che il Dup, vista la sua
valenza programmatoria, deve essere approvato ben prima del bilancio, così da
condizionarne i contenuti e preparare la strada poi alla programmazione
gestionale. E, poi, qual è il risultato? In Conferenza Stato-città si è “giunti
alla conclusione” (sì, perché l’illuminata riforma della contabilità ovviamente
non era stata redatta in modo da chiarire quale fosse la natura della scadenza
di approvazione del Dup) che il Dup può essere approvato insieme col bilancio,
visto che le scadenze previste dalle norme sono solo ordinatorie e non
perentorie.
Per questo, sempre la Conferenza
Stato-città ha stabilito di non modificare la data di scadenza di aggiornamento
del Dup, fissata al 29 febbraio; tanto, può essere violata, che problema c’è?
Sicchè i comuni, potranno
approvare il loro Dup molto “strategico” praticamente un secondo prima di
approvare il bilancio di previsione.
Ma, allora, qualcuno di
malizioso si chiederà: “non si poteva lasciare la relazione previsionale e
programmatica”? No, non si poteva. Tanti consulenti che hanno redatto la
riforma hanno osservato che la Rpp non è “strategica”, mentre il Dup lo è,
dunque, via la Rpp, forza col Dup, anche perché, poi, i convegni, i seminari,
le consulenze ed i prodotti informatici come si vendono?
Questa poco piacevole
contradanza sul Dup e le sue scadenze altro non è che l’anticipazione ad una
serie probabilmente infinita di correttivi alla riforma della contabilità, che
anche ad uno sguardo distratto si rivela un assoluto disastro burocratico.
E per le province? Il grottesco
tragicomico è ancora più pronunciato. Per gli enti capri espiatori del
populismo, il termine per approvare i bilanci nel 2016 (ricordando che si
tratta di bilanci solo annuali e non triennali) è il 31 luglio.
Il motivo di questo termine
ancora più ritardato, semplice nella sua assurdità. Il Mef, la Conferenza Stato-città,
l’Upi e gli altri organismi si prendono tempo per verificare l’impatto che
avranno le sanzioni per la violazione del patto di stabilità a carico della
quasi totalità delle province.
Cioè, in altre parole, nel 2016
la gran parte delle province non si sa come faranno ad approvare il bilancio e,
soprattutto, a gestire i servizi (e anche a pagare gli incentivi al personale),
perché hanno violato il patto, a causa della circostanza che lo Stato, con la
sciagurata legge 190/2014, le ha gravate di una spesa di 3 miliardi mediante il
prelievo forzoso parte corrente loro imposto, che ha fatto saltare ovviamente
tutti gli equilibri di bilancio.
In parole ancora più semplici,
lo Stato strozza un comparto che ha un volume di spesa corrente di circa 6,5
miliardi requisendone 3, ma lasciando per tutto il 2015 tutte le competenze e
relative spese a carico di quel comparto, così indotto dallo Stato a violare il
patto e, ora, nel 2016, si discetta sulle “sanzioni”? Ma, in qualsiasi consesso
civile, non sarebbe chiaro per chiunque l’impossibilità di sanzionare chi non
ha dato corso per sua responsabilità ad inadempimenti? Nell’ordinamento privato
esiste il principio sacrosanto, posto dall’articolo 1218 del codice civile, dell’assenza
di responsabilità del debitore qualora dimostri che la prestazione sia divenuta
impossibile per causa a lui non imputabile. Ci vuol proprio così tanto a capire
che il sistema del patto non può trovare applicazione nel comparto delle
province e delle città metropolitane, a causa dell’intervento a gamba tesa (di
nessuna utilità né per la riduzione delle tasse, né per la qualità dei servizi)
dello Stato sulle province, dovuto solo alla volontà di dare ascolto alle
inchieste di stampa sommarie e populiste?
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