Il Governo ha approvato nei giorni scorsi il disegno
di legge per la modifica delle regole di finanza pubblica, da seguire a regime
dal 2017 in poi, così da stabilizzare quanto già previsto dalla legge 208/2015
per l’anno 2016.
L’intenzione è di abbandonare una volta e per sempre
la micidiale “competenza mista” che caratterizzava il patto di stabilità,
nonché i suoi numerosi ed articolati saldi, passati prima da 8 a 4 e, con la
riforma, finalmente azzerati.
Dunque, nel rispetto di banalissime regole
finanziarie, la regola nuova sarà il semplicissimo pareggio di bilancio per la
sola parte di competenza e non di cassa, in modo che entrate finali e spese
finali siano in pareggio, sia in fase di previsione, sia in fase di rendiconto.
Ci sono voluti 10 anni per rendersi conto che il
patto di stabilità a competenza mista era una regola al limite della follia e
dagli effetti devastanti per l’economia. Infatti, per un verso ha contribuito
al rallentamento dei pagamenti di 8100 enti locali nei confronti delle imprese,
dal momento che la cassa entrava nel gioco dei pareggi mischiata alla
competenza; per altro verso, ha bloccato gli investimenti, dal momento che anche
le previsioni di spesa in conto capitale incidevano negativamente sui saldi.
Occorre dare atto al premier di aver, in questo
caso, dimostrato coerenza. Sin da quando era presidente della provincia e poi
sindaco a Firenze chiamava le regole che ingabbiavano i comuni “patto di
stupidità”, impegnandosi a modificarlo radicalmente. Bene, benissimo, dunque,
che si vada realmente verso questa riforma.
Tuttavia, non appare il caso di farsi prendere
dall’entusiasmo, come hanno fatto in coro praticamente tutti i quotidiani del
26 marzo scorso, imbeccati in particolare dall’Anci.
In primo luogo, occorre essere consapevoli che la
riforma è solo nella sua primissima fase: l’approvazione dell’iniziativa
legislativa da parte del Governo. Non si tratta di un decreto, ma di un disegno
di legge ordinaria, che per altro richiede la maggioranza qualificata del
Parlamento della metà più uno. Si tratta di uno scoglio non da poco,
considerando quanto raccogliticcia sia la maggioranza in Senato. I tempi,
dunque, non saranno brevi. Il traguardo probabilmente sarà raggiunto, ma
occorrerà vedere a che condizioni.
In secondo luogo, la buona notizia dell’abbandono
dell’assurdo previgente sistema del patto non può che essere limitata e
mitigata dalla concomitante attuazione di un’altra follia
finanziario-contabile: l’armonizzazione contabile, meglio nota come competenza
finanziaria potenziata.
Il d.lgs 118/2011, contenente la riforma della
contabilità armonizzata, è figlio esattamente del medesimo clima che aveva
ispirato la riforma del pareggio di bilancio plurisaldo: la terribile crisi del
2011, che portò al Governo Monti, autore proprio delle regole sul pareggio che
il Governo intende modificare.
Non c’è, allora, da stupirsi se la riforma della
contabilità del 2011, analizzata con l’applicazione concreta, si stia rivelando
ogni giorno di più un incredibile carico burocratico di complicazioni davvero
inutili. Basti pensare al caos assoluto scatenato dalle regole sugli impegni di
spesa riguardanti il fondo delle risorse contrattuali decentrate, oppure
l’assurda regola che non consente la conservazione delle prenotazioni degli
impegni di spesa per gare finalizzate all’acquisto di beni e servizi, destinate
all’avanzo di amministrazione.
La contabilità armonizzata prevede la costituzione
di una serie di fondi, il principale quello pluriennale vincolato, posti a
finanziare le spese imputate in anni successivi a quello in cui le si assume,
come se si trattasse di riserve di pronta cassa. E’ fino troppo facile
immaginare che dopo pochi anni questi fondi saranno un’accozzaglia
complicatissima di risorse, che non si comprenderà più da cosa siano finanziate
e a quali destinazioni rivolte.
Infatti, il principale dei problemi è costituito in
questi mesi dall’adempimento burocraticissimo del riaccertamento dei residui,
attività che sta prosciugando tempo e pazienza degli operatori.
Il tutto, per “giocare” alla cassa. La Corte dei
conti, Sezione Autonomie, con la deliberazione 9/2016, lo ha evidenziato in
modo chiaro: la competenza finanziaria potenziata avvicina sempre di più la
gestione ad un bilancio di cassa.
Sarebbe, allora, da chiedersi come mai il disegno di
legge di riforma del pareggio di bilancio, nell’intento di semplificare le
regole, prevede solo il pareggio di parte corrente e non della cassa. Sarebbe,
inoltre, da chiedersi che coerenza vi sia, allora, tra l’armonizzazione così
come oggi impostata e la riforma a regime del patto di stabilità.
Si tratta di una domanda ovviamente retorica. Non vi
è alcuna coerenza tra le due riforme, così come non vi è utilità alcuna
nell’iperburocrazia imposta dal d.lgs 118/2011, norma che, solo per fare un
altro esempio, ha sostituito la relazione revisionale e programmatica col
documento unico di programmazione, senza nemmeno indicare chi sia l’organo
competenze ad approvarlo e facendola gonfiare all’inverosimile di allegati e
relazioni, come scavare buche e poi riempirle.
L’opera di semplificazione della finanza non può che
completarsi col passaggio obbligatorio della rinuncia al progetto fantomatico
della competenza potenziata: altrimenti, i vincoli operativi per gli enti
locali resteranno quasi inalterati, per quanto con maggiore libertà di attivare
la spesa di investimento.
Un’altra conclusione andrebbe tratta, una volta
modificato il pareggio di bilancio: si dovrebbero azzerare davvero e per sempre
tutte le regole che gestiscono voci di spesa particolari, secondo regole
specifiche.
Tali regole sono, purtroppo, figlie della fase di
regolazione del patto di stabilità precedente alla micidiale introduzione della
competenza mista, quando la legge fissava percentuali di contenimento di ben
precise voci di spesa. Come si ricorderà, questo modo di regolare il patto
scatenò le ire della Corte costituzionale, dal momento che si trattava di
ledere in modo palmare l’autonomia degli enti locali.
Tuttavia, questa eredità è rimasta ed è ben
presente. Si pensi, ad esempio, di nuovo al fondo delle risorse contrattuali
decentrate, o alle folli regole di contenimento della spesa del personale: un
tetto (la media del triennio 2011-2013) per la spesa globale; un tetto, la
spesa del 2009, per l’assunzione di personale flessibile; un vincolo, cangiante
ogni anno, per le assunzioni: nel corso degli anni contenute entro la spesa
dell’anno precedente, in percentuali che sono state prima del 20%, poi del 40%,
poi del 60% con possibilità di arrivare al 100% ma solo per l’assunzione dei
provinciali in sovrannumero, poi (nel 2016) dell’80% con possibilità di
arrivare al 100% per l’assunzione dei provinciali in soprannumero, ma, a
regime, del 25% ma non per gli enti che abbiano un rapporto spesa di
personale/spesa corrente pari o inferiore al 25% che potranno comunque contare
su un turn over del 100%, che tornerà ad essere (forse) del 25% nel 2017 e
2018.
Non si vuole certo un genio per capire quanto sia
inutile parlare di “semplificazione”, “managerialità”, “innovazione di prodotto
e processo”, in presenza di regole così. Né ci si può stupire che gli enti
locali, al di là di atti di leggerezza o mala amministrazione, abbiano avuto
tutte le difficoltà riscontrate nell’applicazione delle regole di costituzione
e gestione dei fondi contrattuali, o di rispetto delle norme sul turn over.
La riforma, allora, del pareggio di bilancio
dovrebbe essere accompagnata da due altre conclusioni ovvie: la prima è la
riconduzione della spesa del personale, tutta, entro la spesa corrente globale,
in modo che il limite sia dato solo dal fabbisogno e dalla dotazione organica,
nonché dal pareggio di bilancio, così che siano gli enti a stabilire priorità
di spesa; la seconda è la revisione dell’articolo 4 del d.l. 16/2014,
convertito in legge 68/2014, in modo che si consenta alle amministrazioni di
chiudere ogni pendenza col passato appunto avvalendosi della maggiore autonomia
di bilancio garantita dalla riforma del pareggio, che renderà non più attuali e
solo vessatorie i vincoli al rispetto delle regole di finanza pubblica ivi
previsto.
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