Sul Corriere della sera del 20
marzo 2016, Sergio Rizzo si occupa di una disfunzione emblematica, nell’articolo
“Ferrovie del Sud Est, l’ad con il
contratto co.co.co da 2,4 milioni”.
La storia è molto semplice.
Ferrovie del Sud Est è l’ente che gestisce i più che disastrati servizi di
trasporto su ferro e gomma per i pendolari della Puglia. Ritardi continui,
macchinari, specie i locomotori, risalenti agli anni ’50 dello scorso secolo,
locomotori acquistati da pochi anni fermi da sempre, quasi un terzo del
materiale rotabile danneggiato e inutilizzabile.
Ma, nonostante un disastro ovviamente
visibile a chiunque, l’amministratore unico negli anni tra il 2006 e il 2012,
oltre a percepire la retribuzione diciamo “ordinaria” di 48.000 euro l’anno, ha
“integrato”, con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa,
assegnato a se stesso, per un totale – nel periodo – di 13 milioni e 750 mila
euro.
E poi, i co.co.co. si lamentano delle loro retribuzioni…
I quasi 14 milioni di “consulenze”
che la società ha pagato al suo stesso amministratore unico (vai a capire perché)
sono solo una goccia nel mare delle consulenze che complessivamente in un
decennio la Ferrovie del Sud Est ha generosamente elargito: 132 milioni circa,
su un incasso annuo di circa 150 milioni. Non stupisce, dunque, se il debito
accumulato superi i 300 milioni.
Fin qui la cronaca. Rizzo, pur
essendosi proclamato paladino contro la mala pubblica amministrazione, non va
oltre.
Eppure, di argomentazioni per
partire dal dato di cronaca e andare sui problemi complessivi della PA ve ne sarebbero
moltissimi.
Per esempio, forse sarebbe il
caso di interrogarsi su come in questi anni le campagne di stampa, prima, e l’azione
di Governo e Parlamento, poi, hanno agito per ottenere la spending review.
Come si nota, un solo ente
regionale disastrato è stato capace di accumulare oltre 300 milioni di debiti
in 10 anni, spendendo per consulenze 132 milioni di euro.
Una cifra persino superiore al “risparmio”
annuo che il Governo ha inteso ottenere dai “costi della politica” di 107 enti,
le province, mandati al dissesto a causa di una riforma sciagurata e dannosa, perché
coinvolte nel ciclone populistico delle campagne di stampa, come “bersaglio
grosso”.
Il caso delle Ferrovie Sud Est è
la dimostrazione che la revisione della spesa e la riforma della PA non
dovrebbe passare attraverso riforme “epocali” e interventi a largo raggio, che
finiscono per colpire alla cieca e trasversalmente.
Al contrario occorrerebbe lo
sforzo di individuare, punto per punto, ente per ente, dove la spesa è fuori
controllo, incidendo, ovviamente, anche sulla qualità della spesa stessa.
Basti pensare all’esempio del
comune di Roma, capace di creare in circa 20 anni un debito di 22 miliardi (quasi
l’1% del debito pubblico del Paese!), con una spesa annua di 6,5 miliardi ed il
disastro amministrativo ogni giorno agli “onori” delle cronache. Qualcuno si è
mai sognato di intervenire in modo specifico e puntuale nei confronti di questo
ente che da solo movimenta dimensioni enormi di spesa e di mala gestione,
cercando di colpire un bersaglio grosso e significativo? Nemmeno per sogno. Se
non vi fossero state le iniziative della magistratura penale, non sarebbe
emersa nemmeno la cancrena di Mafia Capitale.
Certo, agire in modo puntuale
nei confronti di singoli enti e singole voci di spesa costa fatica.
Occorrerebbe un lavoro di analisi capillare ed una forte autonomia nei
controlli operativi.
Torniamo per un attimo alle
Ferrovie del Sud Est: come si è visto in 10 anni hanno elargito 132 milioni di
spesa per “consulenze”. Non è chiaro che questa voce di spesa, che nel solo
alveo della Pubblica Amministrazione costa oltre 1 miliardo di euro l’anno
circa (vedi dati
del portale http://www.perlapa.gov.it/),
merita necessariamente una riduzione fortissima? Non è chiaro che le misure
prese fini qui, quali l’obbligo di contenere tale spesa entro i limiti del
2009, sono stati sistematicamente violati? Non è chiaro che nessuno ha svolto i
dovuti controlli per evitarlo? Non appare, dunque, altrettanto evidente che
nessuno ha sanzionato nessuno? Non è vero che in qualsiasi altro Paese si
sarebbe tratta la necessaria conclusione di vietare drasticamente le
collaborazioni, sia agli enti della pubblica amministrazione, sia alle società
in mano pubblica, imponendo rigidi controlli preventivi?
Il tema dei controlli è uno dei
più delicati. Come è noto, negli enti locali, ma nella gran parte dell’amministrazione,
i controlli preventivi di legittimità sono stati aboliti, perché “troppo
burocratici”. Ma, contestualmente, la pubblica amministrazione è stata inondata
letteralmente di una serie di adempimenti finalizzati al giusto principio della
total disclosure ed alla prevenzione
della corruzione, tali da paralizzarla, sì da indurre l’Anac a suggerire al
Governo una serie di semplificazioni e riduzioni (per altro insufficienti) alla
disciplina della trasparenza, recepiti in effetti nel testo dello schema di
decreto legislativo di riforma appunto della normativa sulla trasparenza.
Per anni ed anni su Ferrovie del
Sud Est i controlli non ci sono stati o non sono stati minimamente efficaci.
Non quelli esterni, giunti a comprendere le storture dell’amministrazione in gravissimo
ritardo. Non quelli interni: revisori dei conti, collegio sindacale ed organi
di vigilanza, ovviamente, hanno guardato da tutt’altra parte o non hanno avuto
forza e capacità di intervenire per provare a rimediare al dissesto
organizzativo ed economico.
Lo stesso vale per moltissime
amministrazioni. Ancora una volta, il comune di Roma ne è l’esempio lampante.
Anche lì, revisori dei conti, direttore generale, responsabile della
prevenzione della corruzione, non sono serviti ad alcunché. Ma, con sfumature
di gravità ed estensione diverse, questo vale per migliaia di comuni ed altre
amministrazioni.
Né sono mai tangibili i
dirigenti incaricati dalla politica. L’amministratore unico di Ferrovie del Sud
Est è rimasto per oltre 20 anni saldamente al suo posto. Eppure, i conti
economici, venuti agli onori delle cronache, stanno a dimostrare impietosamente
che gli effetti della gestione non sono stati propriamente positivi.
Da anni stuoli di consulenti e
formatori, esperti di organizzazione, si sforzano di individuare “indicatori”
per stabilire come misurare la “performance” nell’ambito della PA. La Civit,
oggi assorbita dall’Anac, era nata esattamente a questo scopo, ma ha abdicato,
senza essere riuscita a produrre nemmeno uno straccio di utile e convincente
metodologia per la valutazione della produttività.
Tuttavia, nell’ambito di servizi
di rilevanza economica, non è per nulla difficile reperire i misuratori della
capacità operativa. Una società che sperpera milioni in consulenze ed accumula
oltre 300 milioni di debito ha certamente una “performance” negativa: come si
spiega la permanenza dell’amministratore unico?
Il fatto è che laddove la
dirigenza, sia quella pubblica vera e propria, sia quella di enti e società
partecipate, è di provenienza politica, giudizi e valutazioni relative al
risultato divengono spesso superflui. Se la causa fondante dell’assegnazione di
un incarico è data da ragioni politiche di condivisione e sostegno ad una fede
partitica, è evidente che il risultato e la “meritocrazia” non servono a nulla.
La ragione dell’assegnazione dell’incarico non è il merito. Può anche darsi che
il destinatario della nomina si riveli più che bravo e capace: il rischio nella
scelta non può mai essere escluso, nemmeno se si procede mediante raffinate procedure
concorsuali e selettive. Di certo, tuttavia, al limite il rischio è restare
fermo un giro, per poi tornare ad avere incarichi al di là di competenze e
meriti riconosciuti.
Questo, del resto, è lo schema
che la riforma-Madia intende estendere a tutta la dirigenza pubblica. Una
politicizzazione evidente, che, pure, molti propagandano come “meritocratica”,
posta a valorizzare addirittura l’autonomia della dirigenza dalla politica,
messa da parte perché la valutazione dei dirigenti da incaricare sarà ad opera
di Commissioni appunto indipendenti.
L’operato, tuttavia, delle
commissioni sarà assai simile a quanto da tempo ormai fanno molte amministrazioni,
nel tentativo di selezionare i dirigenti cui conferire incarichi. Si prenda ad
esempio, tra tanti altri, la Regione Emilia Romagna, buon test per comprendere
esattamente dove il Governo intenda arrivare. Si esamini ad esempio l’ “Avviso di selezione per l'assunzione del
Direttore dell'Agenzia regionale per il lavoro istituita ai sensi della L.R. n.
13/2015” ed i criteri di selezione:
“Valutazione dei titoli
La
valutazione dei titoli, che avviene in trentesimi e sulla base di criteri da
dettagliare nel verbale della prima seduta della Commissione, terrà conto dei
seguenti elementi/criteri:
comprovata
esperienza pluriennale nell'esercizio di funzioni dirigenziali e/o direttive,
caratterizzata da autonomia e responsabilità nell'esercizio delle funzioni
svolte in strutture o posizioni analoghe a quella pubblicizzata quanto a
competenza e complessità in ruoli direttivi di unità organizzative complesse,
con particolare considerazione del servizio eventualmente prestato/svolto
presso l'Amministrazione regionale (punteggio max 13 punti);
risultati
conseguiti in precedenti esperienze dirigenziali o direttive con particolare
riferimento alla gestione e realizzazione di obiettivi complessi attestati
anche facendo riferimento alla valutazione conseguita negli ultimi 3 anni
dall'amministrazione/ente/azienda di provenienza (punteggio max 5 punti);
esperienze
formative specifiche rispetto all'incarico da conferire, di livello
universitario e post-universitario (punteggio max 5 punti);
titoli
ulteriori, non valutati nell'ambito delle precedenti categorie, ivi comprese le
idoneità conseguite in procedure selettive relative ad analoghe posizioni, le
pubblicazioni scientifiche, utili a comprovare la qualificazione professionale,
la specializzazione culturale e scientifica nonché la capacità manageriale
riferita all'incarico da conferire (punteggio max 7 punti).
Il
punteggio conseguito nella valutazione dei titoli è finalizzato unicamente
all'individuazione dei candidati da avviare alla prova successiva e non
concorre alla formulazione del giudizio finale.
Colloquio
Tutti
i candidati che nella fase di valutazione titoli si sono classificati in ordine
di punteggio entro la decima posizion e, compresi i parimerito, oltre i
parimerito con l'ultimo, vengono avviati ad un colloquio, che è finalizzato a
completare il quadro conoscitivo relativamente alle qualità e capacità
possedute dal candidato e a valutare la concreta idoneità del medesimo ad
assumere l'incarico dirigenziale con adeguata capacità manageriale, in
relazione alle:
a)
attitudini e capacità professionali in relazione alla natura ed alle
caratteristiche della posizione ed alla complessità della struttura
interessata;
b)
competenze organizzative relazionali e personali relative alla funzione
dirigenziale;
c)
competenze relative alla posizione dirigenziale specifica cui afferisce la
pubblicizzazione;
d)
motivazioni alla copertura della posizione.
La
valutazione avviene in trentesimi ed i relativi criteri, da precisare a verbale
a cura della Commissione prima dell’avvio della prova, sono così stabiliti:
punto
a): max 10 punti
punto
b): max 10 punti
punto
c): max 5 punti
punto
d): max 5 punti.
I
candidati che nell'ambito della presente prova non abbiano ottenuto un
punteggio pari o superiore a 21/30 sono esclusi.
In esito al colloquio, la Commissione
formula una rosa di massimo cinque candidati da sottoporre alla Giunta
Regionale che individuerà tra questi il candidato più idoneo cui conferire
l'incarico di Direttore”.
Come si nota, in apparenza si
attiva una procedura selettiva basata su valutazione di titoli, per altro
piuttosto sganciata dall’accertamento concreto di competenze e conoscenze.
In ogni caso, sembra evidente
come alla fine si tratti solo di un “vestito”, per consentire poi all’organo di
governo di scegliere chi meglio creda: l’importante è che nella “rosa” finale
sia presente quel candidato che si ha intenzione da prima di incaricare.
Il sistema della riforma-Madia
non assicura nessuna meritocrazia e nessuna autonomia della dirigenza dalla
politica e punta persino all’estinzione di una dirigenza di ruolo, non
proveniente o non connessa alla politica. Infatti, il sistema del licenziamento
automatico dei dirigenti privi di incarico, quelli, cioè, che si ritroveranno
sistematicamente magari dentro le “rose”, ma casualmente mai individuati dagli
organi di governo di turno, farà sì che quelli individuati mediante sistemi
concorsuali ai quali la politica non ha potuto partecipare, saranno nel tempo
soppiantati da coloro che dimostrano “consonanza” e che tra i petali delle rose
saranno molto probabilmente i prescelti.
Perché, è evidente che nessuna
commissione di valutazione potrà a sua volta essere realmente indipendente, se
nominata dalla politica. Il sistema si trasformerà in un’immensa mediazione tra
politica e componenti delle commissioni, per orientare l’unico risultato
davvero utile: la presenza nella rosa del candidato “di fiducia”. Il resto
verrà da sé.
Non è così, evidentemente, che
si perseguono “spending review” e “merito”. Non stupisce quindi se l’Italia
risulti agli ultimissimi posti della ricerca dell’European Quality of
Government Index (Eqi[1]) in
fatto di efficienza e lotta alla corruzione, come ha informato di recente la
Cgia di Mestre.
Le mitiche consulenze...in questo Paese funziona così, ad esempio: si chiudono I commissariati di p.s. o le caserme di carabinieri, e subito dopo si stipula un contratto di "collaborazione\consulenza" con un'agenzia di polizia privata...il tutto pubblicizzato come un aumento della sicurezza dei cittadini.
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