Una Commissione speciale del
Consiglio di stato particolarmente severa con le Linee Guida dell’Anac ha dato
luogo, nel parere 2 agosto 1767 ad un commento lapidario specificamente rivolto
alla struttura di quelle riguardanti l’Offerta economicamente più vantaggiosa:
scontano “un deficit di utilità”.
Considerato il linguaggio di
solito molto prudente e ovattato dei magistrati di Palazzo Spada, l’espressione
utilizzata è sostanzialmente una bocciatura senza appello delle LG sul criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa. E non solo per questioni dello
stile espositivo.
Il Consiglio di stato è chiaro: il criterio dell’Oepv lascia
margini rilevanti alla discrezionalità valutativa delle amministrazioni
appaltanti, dunque “non può che rilevarsi
che, per alcuni aspetti (di seguito segnalati), sarebbe opportuno (se non
necessario) che l’ANAC guidasse, mediante raccomandazioni che resterebbero
comunque non vincolanti, l’esercizio della discrezionalità delle stazioni
appaltanti. Tale esigenza, che si rivela del tutto coerente con la mission
istituzionale assegnata all’ANAC, appare vieppiù urgente per quegli aspetti
della disciplina maggiormente esposti al rischio di distorsioni della
concorrenza o di alterazione della par condicio tra gli operatori economici e
che necessitano, quindi, di istruzioni finalizzate a scongiurare quei pericoli”.
Il “deficit di utilità” delle
LG, tuttavia, non sta solo nella carente indicazione di strumenti operativi e
di indirizzo, come quelli rivolti a specificare meglio le ragioni che conducano
a scegliere il criterio del ribasso rispetto all’Oepv, oppure la ponderazione
dei punteggi o, ancora, modalità più chiare e trasparenti per illustrare le
complesse formile per la valutazione e misurazione dei punteggi.
La scelta compiuta dal d.lgs
50/2016 (e non imposta dalle direttive europee) di fare del criterio dell’Oepv
il fulcro del sistema si accompagna al problema della convivenza di questo criterio
e dei suoi strumenti valutativi con l’esigenza di avere un progetto esecutivo
di minimo dettaglio, anch’essa vista come risultato positivo del medesimo d.lgs
50/2016.
Ora, una guida operativa con LG
precise, puntuali e non affette da “deficit di utilità” sarebbe proprio
necessaria per evitare che la difficile convivenza tra Oepv e progetto
esecutivo si traduca in aporie irrisolvibili al momento della formulazione dei
documenti di gara e di strutturazione dei criteri valutativi.
C’è un problema che pare
ampiamente sottovalutato o, comunque, non preso in adeguata considerazione:
nella quasi totalità dei casi le amministrazioni quando definiscono le griglie
dei criteri di attribuzione dei punteggi, prevedono punteggi crescenti in
relazione a “miglioramenti” esposti con l’offerta rispetto ad una determinata
voce prestazionale, sottoposta al giudizio valutativo.
Ad esempio, spesso si incappa di
criteri come “miglioramento dello standard previsto”, oppure “incremento” delle
ore/quantità/misure di altro genere della prestazione, o “materiali più perforamenti”
e similari.
Nulla di male, si badi. Bene fa
l’amministrazione a puntare per prestazioni di ottima qualità.
Il fatto è, però, che se si
imposta la gara – come impone il codice – sulla base di un progetto che sia
realmente esecutivo, allora dubbi sulla quantità delle prestazioni richieste
(in ore, materiali, periodicità di interventi) non dovrebbero esservi: essendo
il progetto “esecutivo”, la progettazione deve necessariamente presupporre che
quelle quantità sono esattamente quelle corrette, necessarie e sufficienti per
rendere la prestazione richiesta. Il progetto è davvero esecutivo, dunque, se
per il servizio commisura correttamente la quantità di ore, la qualifica dei
prestatori, il livello di organizzazione all’attività da svolgere; o, nel caso
di appalti, se il materiale è composto da quegli elementi, certificato in quel
modo, dotati di quella resistenza ai carichi e previsti in quella quantità.
In caso contrario, laddove il
progetto non determinasse le quantità e le caratteristiche del complesso delle
prestazioni e, in definitiva, il computo metrico estimativo fosse ad un livello
di sommarietà tale da consentire appunto “migliorie” quali-quantitative, allora
non saremmo in presenza di un progetto davvero esecutivo.
L’altra ipotesi è che il
progetto sia effettivamente esecutivo, ma che con criteri valutativi come
quelli proposti l’amministrazione indirettamente e, probabilmente in modo non
trasparente e non legittimo, induce ad un’Oepv mediante varianti progettuali.
La cosa è possibile, perché espressamente
prevista dall’articolo 95, comma 14, del d.lgs 50/2016. Solo che occorre
rispettare alcune condizioni poste dalla norma:
1)
possono autorizzare o esigere la presentazione di
varianti da parte degli offerenti, indicandolo chiaramente col bando di gara;
2)
se autorizzano o richiedono le varianti debbono
indicare nei documenti di gara:
a.
i requisiti minimi che le varianti devono rispettare,
b.
le modalità specifiche per la loro presentazione, in
particolare se le varianti possono essere presentate solo ove sia stata
presentata anche un'offerta, che è diversa da una variante.
3)
garantiscono che i criteri di aggiudicazione scelti
possano essere applicati alle varianti che rispettano tali requisiti minimi e
alle offerte conformi che non sono varianti;
4)
possono prendere in considerazione solo le varianti che
rispondono ai requisiti minimi prescritti.
In poche parole: occorre sempre
trasparenza e pubblicità preventiva, indicando chiaramente che sono ammesse o
consentite varianti progettuali, ma delimitando lo spazio di variazione,
prescrivendo quali requisiti le varianti debbono possedere per essere
accettate.
Per esempio, si pensi ad un
appalto di servizi ad alta intensità di manodopera, il cui progetto sia
impostato sulla quantità e periodicità delle ore svolte dall’appaltatore: può
essere, in astratto, utile prevedere un punteggio crescente al crescere delle
ore offerte dall’offerente, ma si corre l’enorme rischio, nel caso di specie,
di dumping sul costo del lavoro, perché
probabilmente si va ad incidere in maniera molto forte sull’elemento salariale
del prezzo finale, che in un appalto ad alta intensità di manodopera è
fortemente incidente. D’altra parte, in un appalto per l’asfaltatura di una
strada il bitume prescelto in sede di progettazione ad un certo prezzo non può
considerarsi nemmeno in via di ipotesi meno efficiente e più costoso di un
bitume offerto dal mercato: ciò testimonierebbe una pessima qualità della
progettazione ed il ricorso all’Oepv non come modalità per coniugare la qualità
al prezzo o la valutazione del ciclo di vita, bensì come un modo equivoco per tornare
all’epoca dell’appalto concorso, svolto in assenza di progetto esecutivo in modo
da far rimediare l’operatore economico alla carenza di capacità progettuale
dell’amministrazione: esattamente, cioè, l’opposto di quello che il d.lgs
50/2016 vorrebbe come risultato.
Potrebbe darsi che simili
modalità di fissazione dei criteri appartengano ad una fascia di “non rilevanza”:
cioè, che siano considerate comunque funzionali ad un criterio che qualche
elemento utile a valutare qualitativamente e quantitativamente la prestazione
deve pur averlo.
E’ qui, allora, che si nota il
deficit di utilità delle LG dell’Anac, nemmeno intente a sollevare un problema
che appare, invece, rilevante perché ne va della qualità della progettazione.
Indicazioni chiare su come ed
entro quali limiti sia concesso con l’Oepv chiedere quelle che potrebbero
definirsi varianti implicite o indirette, attraverso le “migliorie” sarebbero
necessarie, per non trasformare i progetti in meri elenchi prestazionali al
ribasso, privi della capacità di definire in maniera compiuta la prestazione.
Così facendo, l’Oepv sarebbe uno strumento surrettizio per far tornare la
progettazione sostanzialmente nelle mani degli operatori economici, allargando
di molto il rischio di bandi fotografia, orientato su criteri di “miglioria”
specificamente appannaggio di certi operatori e non di altri.
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