Ammettiamo anche che l'indicazione fornita dal premier sul risparmio di 500 milioni annui scaturente dalla riforma del Senato sia corretta (anche se la Ragioneria generale quantifica il risparmio in 57 milioni...) e che ancor più opportuno sia l'intento di utilizzare queste risorse nella lotta alla povertà.
Ammettiamo, ancora, che effettivamente questo si traduca in realtà, sebbene precedenti esempi analoghi lascino scettici: per esempio, si era detto che a seguito della riforma delle province si sarebbero risparmiati 100 milioni anni dai costi della politica, da poter reinvestire nella costruzione di asili nido. Alzi la mano chi ha visto costruito un solo nuovo asilo, finanziato in questo modo.
Comunque, ammettiamo che tutto funzioni e sia fondato.
Resta una domanda da porsi: ma, uno Stato che ha una spesa pubblica di 830 miliardi è costretto a reperire il finanziamento di 500 milioni (pari allo 0,06% di tale spesa), da una riforma della Costituzione?
Detto in altri termini: occorre un evento straordinario ed epocale, come una riforma della carta fondamentale dell'ordinamento, per reperire lo 0,06% della spesa da destinare alla lotta contro la povertà? Non dovrebbe essere, invece, compito ordinario e normale dello Stato reperire le risorse necessarie per garantire il benessere anche a chi è svantaggiato?
La risposta è ovvia: la lotta alla povertà non può e non deve essere sostenuta con misure iper straordinarie come una riforma della Costituzione.
Lo Stato, quando vuole, sa perfettamente reperire risorse ingenti da destinare a voci spesa particolari. Ricordiamo che di recente sono stati individuati un miliardo da destinare a misure di contrasto alla povertà, cosa condivisibile e corretta. Ma, all'epoca delle elezioni europee, di miliardi ne sono stati reperiti 10, finanziati a regime (cioè in via duratura) in deficit, e destinati non a chi è povero o non ha redditi, ma a chi disponeva già di un lavoro e delle connesse entrate: certo, non persone ricche, ma sicuramente non sotto la soglia della povertà.
Come sempre, al di là della comunicazione "a effetto" normale in una campagna elettorale, per altro molto dura, come quella referendaria, i fatti concreti danno il segno vero delle cose. E' possibile e doveroso per uno Stato scegliere tra vari indirizzi politici e fissare le priorità. In questo caso, è sembrato prioritario spendere 10 miliardi per 80 euro al mese da assegnare a chi lavora, mentre per reperire 500 milioni per i poveri si è scelto di condizionare il tutto alla riforma del Senato.
Ma se proprio voleva destinare centinaia di milioni di euro per combattere la povertà, perchè non ha accorpato il referendum sulle trivelle di aprile con le elezioni amministrative di giugno, che avrebbe risparmiato 350 milioni di euro di spese elettorali?
RispondiElimina