In molti ritengono che la sentenza 251/2016 della Corte costituzionale costituisca una battuta d'arresto insuperabile per la riforma della dirigenza.
In sintesi, anche i sindacati ritengono impossibile per il Governo ultimare l'iter di approvazione del decreto legislativo attuativo della legge 124/2015, perchè esso è stato gestito senza ottenere la necessaria "intesa" in Conferenza Stato-regioni, invece del mero "parere" in Conferenza unificata.
Insomma, secondo i più attenti al dato letterale, nè il Governo dovrebbe adottare in via definitiva il decreto, perchè inficiato nella sua produzione, nè il Presidente della Repubblica potrebbe firmarlo, alla luce della pronuncia della Consulta.
Tuttavia, nel suo comunicato di sintesi sulla sentenza, la Corte costituzionale scrive: "Le pronunce di illegittimità
costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti
legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa.
Le eventuali impugnazioni delle norme attuative dovranno tener conto delle concrete lesioni delle
competenze regionali, alla luce delle soluzioni correttive che il Governo, nell’esercizio della sua
discrezionalità, riterrà di apprestare in ossequio al principio di leale collaborazione".
Sembra chiarissimo l'intervento di qualcuno che ha espressamente chiesto di non disturbare il manovratore. E' vero che c'è ora una patata bollentissima in mano al Governo. Altrettanto vero è che si farà di tutto per anestetizzare gli effetti della sentenza, almeno fino al 4 dicembre.
Un primo tentativo è chiaro: depotenziare la sentenza, affermando che essa non ha effetto diretto sul decreto legislativo approvato dal Governo (con testo ignoto) il 24 novembre, perchè, come sostiene la Consulta, sarebbe necessaria l'impugnazione ulteriore proprio del decreto attuativo; ovviamente, perchè si impugni il decreto attuativo occorre che esso sia approvato, ma se la Consulta afferma che va impugnato, significa che è legittimo approvarlo in via definitiva.
Un'interpretazione, questa, utilissima per alzare polvere e "buttare in là". E' evidente che, alla luce della sentenza 251/12016, il decreto legislativo sulla dirigenza non potrebbe che essere considerato incostituzionale almeno per la parte che concerne la dirigenza regionale, perchè indiscutibilmente adottando avendo pretermesso l'intesa in Conferenza Stato-regioni. Sul piano fattuale (prima ancora che su quello giuridico) l'indicazione della Corte costituzionale nel comunicato di accompagnamento alla sentenza pare essere priva di senso. Ma, il senso improvvisamente si comprende esservi se appunto si inquadri la questione nell'ambito più generale: a pochissimi giorni dal voto referendario non può farsi apparire il Governo come sconfitto (per altro per un cavillo da azzeccagarbugli) su una delle riforme più acclamate e "popolari". Possiamo stare certi che la prudente considerazione della Consulta farà da base per interpretazioni ad usum delfini, utili a privare di significato la sentenza stessa, tacciare la Corte di ingerirsi in maniera scorretta nella campagna referendaria e, al contempo, per spingere il Governo ad "andare avanti", nonostante le forze della "palude" che in qualsiasi modo vogliano ostacolare le mirabilie delle "riforme". Dandosi il tempo per far entrare lo stesso in vigore la norma ed avviare una gara contro il tempo (meglio: contro la regione Veneto) per vedere se arriva prima qualche correttivo, per quanto rabberciato, al vizio di legittimità costituzionale rilevato, o la futura sentenza al secondo ricorso sul decreto, quando sarà in vigore.
Un unico dubbio. La Consulta, nella sua prudente analisi delle conseguenze della sentenza, di fatto afferma che occorreranno due impugnazioni, per ottenere l'effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale della mancata previsione dell'intesa in Conferenza Stato-regioni: ma, non sarebbe un caso di denegata giustizia?
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