La stampa italiana si conferma
abilissima nell’ampliare la cortina fumogena che, tutto sommato legittimamente,
il Governo sta cercando di creare sulla sentenza della Corte costituzionale
251/2016, che ha azzoppato la riforma Madia.
Il Governo sta cercando, come
lecito aspettarsi, di utilizzare la sentenza come strumento di propaganda per
il sì al referendum, offrendo alcune argomentazioni principali:
1.
se la Costituzione fosse già stata riformata, non vi
sarebbe stata la possibilità di pretendere l’intesa da parte delle regioni
(cosa non vera: la potestà legislativa concorrente delle regioni resta anche
dopo la riforma, così come resta l’operatività della Conferenza Stato-regioni);
2.
la Corte costituzionale è stata poco accorta nel
pubblicare la sentenza un giorno prima che scadessero le deleghe sulla riforma
della dirigenza e dei servizi pubblici locali; avrebbe fatto meglio a
consentire che venissero sottoscritti dal Presidente della Repubblica e
pubblicati i decreti attuativi, così da farli, intanto, entrare in vigore: una
riedizione della “giustizia a orologeria”;
3.
si compromette, ora, la funzionalità di riforme già
adottate e vigenti, come in particolare quella relativa ai “furbetti del
cartellino”. Soffermiamoci su questo punto specifico.
Prendiamo, ad esempio, l’articolo
scritto da Valentina Conte per La Repubblica del 27 novembre 2016, titolato “I furbetti del cartellino salvati da quel no
alla riforma degli statali Rischio pioggia di ricorsi”. Un titolo ad
effetto, che intende far vedere quanto “cattive” siano state regione Veneto e
Corte costituzionale nel pretendere il rispetto della Costituzione, mentre si gestiscono
gli iter legislativi e, dunque, si deve tenere conto dei “pesi e contrappesi”
all’esercizio del potere decisionale.
Lo “scotto” per questa difesa
della Costituzione, ridotta nella narrazione a “burocrazia” è il “liberi tutti”
per i furbetti del cartellino, che, quindi, secondo la propaganda, grazie alla
sentenza ora potranno tranquillamente fare la spesa in orario di lavoro.
Leggiamo l’articolo citato prima: “Sorpresi
a fare shopping per le vie del centro, in visite mediche, dediti a lavoretti di
giardinaggio o semplicemente a casa. Seimila e ottocento ore di pedinamenti e
videoregistrazioni della Guardia di Finanza. Poi per 29 dipendenti assenteisti
del Libero consorzio comunale di Siracusa è scattato il reato di truffa
aggravata. I colleghi passavano il badge per attestarne la presenza, ad inizio
e fine turno. Nessuno controllava. «Assenteismo, 29 dipendenti colti sul fatto
a Siracusa. Si applica la riforma della Pa: licenziamento rapido a tutela di
tutti i dipendenti onesti», twittava la ministra Madia. Era il 7 settembre, la
legge sui furbetti del cartellino fresca di stampa, entrata m vigore il 13
luglio. E ora? Cosa succede dopo che la Consulta venerdì ha bocciato,
dichiarandone l'incostituzionalità, quattro articoli di quella riforma? Il
fùrbetto licenziato può fare ricorso, vincerlo e tornare al suo posto. Perché
lo tsunami della sentenza 251 della Corte Costituzionale ha travolto pure il
decreto legislativo 116 del 2016, diventato legge. Quello che prevede la sospensione
in 48 ore del dipendente pubblico colto m flagrante, il taglio immediato
dell'indennità e il licenziamento sprint entro 30 giorni. Insomma, è
incostituzionale come la legge madre da cui deriva (la legge delega della
riforma Madia )”.
La giornalista, presa dall’impeto
di mostrare gli esiti nefasti della sentenza 251/2016, però, trascura un
piccolissimo particolare: il comune di San Remo, presso il quale si verificò il
caso di estesissimo assenteismo che diede la stura proprio all’approvazione del
d.lgs 116/2016, ha licenziato decine e decine di dipendenti infedeli,
applicando la normativa precedente alla riforma.
Questa è la prova ultima, senza
alcuna necessità di ulteriori valutazioni, che, come sempre sostenuto
da chi scrive, che le disposizioni sul procedimento disciplinare contenute nel
d.lgs 165/2001 prima della novellazione apportata dal d.lgs 116/2016
consentivano, hanno sempre consentito, di licenziare i dipendenti assenteisti.
Non è mai mancato lo strumento per procedere; si può dubitare che sia sempre
stata presente la volontà di farlo.
Dunque, l’eventuale
dichiarazione di incostituzionalità del d.lgs 116/2016, perché adottato senza
la preventiva intesa con le regioni, non determinerebbe per nulla l’effetto di “salvare”
i furbetti del cartellino. Essi potrebbero tranquillamente continuare ad essere
perseguiti e licenziati, applicando la normativa precedente alla riforma,
appunto come avvenuto nel caso di San remo.
Del resto, si deve ricordare che
il d.lgs 116/2016, pur avendo meglio precisato il caso dell’assenteismo, è una
disposizione che si limita a regolare il procedimento disciplinare, accorciando
drasticamente i termini procedurali: così tanto, oltre tutto, da mettere a
serio rischio la possibilità di licenziare lecitamente i dipendenti infedeli.
Proprio nel caso di San Remo, tanti erano i furbetti del cartellino che nel
brevissimo termine di 30 giorni disponibile, non sarebbe stato possibile
garantire a tutti l’audizione preventiva all’adozione del licenziamento, né istruire
in modo completo le pratiche, così da avere chance di successo nei ricorsi
proposti al giudice del lavoro.
La situazione, dunque, è
totalmente diversa da quella raccontata dalla stampa: l’illegittimità
costituzionale del d.lgs 116/2016 è sostanzialmente ininfluente.
Il problema consisterà nella
circostanza che finchè tale norma non sia eliminata dalla Consulta, con una
nuova sentenza, le amministrazioni dovranno comunque attivare la sospensione
dal lavoro entro 48 ore e rispettare gli strettissimi tempi procedurali. Così
stretti, c’è oltre tutto da notare, che mettono a repentaglio in modo
evidentissimo il diritto alla difesa. Tanto che il d.lgs 116/2016 era comunque
esposto a rischi di incostituzionalità, anche senza la sentenza 251/2016 della
Consulta, per il “merito” del suo contenuto, cioè l’eccessiva compressione dei
tempi, tale da non consentire la piena garanzia del contraddittorio. E’ da
ricordare che il Governo col decreto sui furbetti del cartellino ha inteso
accelerare una procedura, quella disciplinare per il licenziamento, già
brevissima, in sé e soprattutto per i tempi medi dei procedimenti amministrativi
complessi: 120 giorni soltanto, che si è voluto abbreviare a 30, più per
immagine che per necessità reali di celerità.
Vi sarebbe, inoltre, da
osservare che tra i decreti legislativi attuativi della riforma Madia, proprio
il d.lgs 116/2016 appare uno tra quelli meno a rischio di illegittimità
costituzionale.
Come ha spiegato la stessa
Consulta, per i decreti già entrati in vigore, la sentenza 251/2016 non
dispiega immediatamente i propri effetti: occorrerebbe un’impugnazione
specifica relativa al singolo decreto, per attivare un giudizio sulla
legittimità costituzionale specifica del decreto.
Non si deve, tuttavia,
dimenticare su cosa poggia la sentenza 251/2016. Non si tratta della difesa
circa di un potere di interdizione delle regioni derivante dal Titolo V della
Costituzione, come in molti stanno raccontando per portare acqua alla campagna
referendaria. La Consulta ha considerato illegittime alcune disposizioni della
legge 124/2016 perché le materie trattate connettono inestricabilmente la
potestà legislativa esclusiva dello Stato con quella concorrente delle regioni;
sicchè, in questi casi, non è possibile chiedere un mero parere non vincolante
alle regioni, ma occorre una vera e propria intesa.
Ora, nel caso della materia del
licenziamento disciplinare dei dipendenti pubblici infedeli, si può lecitamente
dubitare che le regioni dispongano di una potestà legislativa concorrente. Non
si tratta, infatti, in questo caso di regolamentare l’organizzazione del
lavoro. La materia del licenziamento disciplinare rientra pienamente e
totalmente nella regolamentazione del rapporto di lavoro, sorretta dal diritto
civile: del resto, la sanzione disciplinare è tipicamente conseguenza di un
inadempimento ad obbligazioni contrattuali, quelle in capo al lavoratore.
Pertanto, non è affatto così
scontato come molti stanno raccontando in queste ore che il d.lgs 116/2016
possa davvero andare incontro ad un giudizio di illegittimità costituzionale
conseguente alla sentenza 251/2016 della Consulta. I rischi di illegittimità
costituzionale del d.lgs 116/2016, come visto sopra, sono altri: quelli legati
all’eccessiva compressione del diritto alla difesa.
La conclusione corretta da
trarre, allora, è che la sentenza 251/2016 della Consulta non produce alcuno
sconquasso, né tanto meno “salva” i furbetti del cartellino. Purtroppo, c’è da
scommettere che la stampa generalista continuerà a cavalcare l’onda emotiva
della propaganda.
Ma certi giornalisti sono corrotti, nel senso che ricevono denaro o altre utilità anche insirette per dire falsità, o sono solo incompetenti?
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