La Corte dei conti, Sezione Autonomie, illustra il disastro della riforma Delrio con l'Audizione della resa presso la Commissione Parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale il 23 febbraio scorso.
Le conclusioni della Sezione Autonomie, per quanto sufficientemente chiare nel dimostrare che lo Stato ha imposto alle province sacrifici economici e finanziari inaccettabili soprattutto una volta naufragato il disegno di riforma costituzionale a seguito del referendum del 4 dicembre 2016, sono però in parte insufficienti, in parte non condivisibili.
Non appare assolutamente persuasiva la prima parte dell'audizione, nella quale la Sezione considera cristallizzati gli effetti della legge 56/2014, cioè da considerare come duraturo il riassetto delle funzioni, delle competenze e degli organi di governo, come definiti dalla riforma Delrio.
Non si può concordare. La formula secondo la quale la legge Delrio interviene "in attesa della riforma della parte II del Titolo V della Costituzione" pur non costituendo un "termine" di durata degli effetti della legge, ne è, tuttavia, una "condizione". La riforma, ovvero, è stata concepita come anticipatrice di una riforma, che ne costituiva, quindi, condizione di legittimità costituzionale.
Non può sfuggire la pericolosità inaccettabile di clausole di riforma come quella contenuta nella legge Delrio. Estendendo simili clausole a tutte le leggi, per qualsiasi Governo e Parlamento risulterebbe facilissimo modificare di fatto la Costituzione, mediante semplici leggi ordinarie, tutte approvate "in attesa di riforme della Costituzione", che magari non entreranno mai in vigore.
Appare abbastanza sorprendente, ma soprattutto irritante, che la Sezione Autonomie non abbia fatto queste semplicissime considerazioni ed abbia avallato la legittimità costituzionale di una riforma sommamente incostituzionale, perchè condizionata ad una riforma della Costituzione mai entrata in vigore.
In secondo luogo, l'esame della spesa delle province svolto dalla Sezione non mette mai in evidenza che oltre un quarto della spesa corrente rilevata nelle tabelle è stata destinata ad applicare il disposto dell'articolo 1, comma 418, della legge 190/2014: "Le province e le città metropolitane concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. In considerazione delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente, ripartite nelle misure del 90 per cento fra gli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario e del restante 10 per cento fra gli enti della Regione siciliana e della regione Sardegna, ciascuna provincia e città metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa". Si tratta, quindi, di spesa pubblica sottratta alle funzioni ed ai servizi di spettanza delle province e destinata ad impinguare le casse dello Stato, per finanziare spesa dello Stato, sostenuta, quindi, da imposte provinciali, la cui destinazione è stata distratta da quella principale: finanziare i servizi gestiti dalle province.
Talmente incompleta ed equivoca è la relazione della Sezione, che ha indotto il quotidiano Libero nell'edizione del 25 febbraio 2017 ad un'inchiesta sulle province completamente fuorviante e sbagliata, ma fondata proprio sull'incompleta rappresentazione della realtà dei fatti, da parte della Sezione Autonomie. Che farebbe bene a spiegare meglio anche a Libero ed al resto della stampa generalista esattamente gli effetti devastanti della riforma Delrio, riportando tutti i dati completi, in modo che possano essere compresi da chi non ha conoscenza piena del diritto amministrativo e della finanza locale.
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