La delibera 26/2017
della Sezione Autonomie della Corte dei conti produce altra confusione
Non bastando le tante difficoltà
operative ed interpretative su temi rilevantissimi come gli appalti, la gestione
del personale e l’ormai impossibile gestione della finanza e dei tributi, la Sezione delle Autonomie
contribuisce al caos con l’ennesima discutibile pronuncia, questa volta in tema
di volontariato.
Si tratta della deliberazione 24
novembre 2017, n. 26, che contraddicendo a 180 gradi le pronunce maggioritarie
delle sezioni regionali di controllo, afferma che gli enti locali possono
assicurare i singoli cittadini come volontari, inserendoli in specifici
registri del volontariato da istituire con propri regolamenti.
Il principio di diritto affermato
dalla Sezione è il seguente: “Gli enti
locali possono stipulare, con oneri a loro carico, contratti di assicurazione
per infortunio, malattia e responsabilità civile verso terzi a favore di
singoli volontari coinvolti in attività di utilità sociale, a condizione che,
con apposita disciplina regolamentare, siano salvaguardate la libertà di scelta
e di collaborazione dei volontari, l’assoluta gratuità della loro attività,
l’assenza di qualunque vincolo di subordinazione e la loro incolumità personale”.
Si tratta di una decisione che
apre rischi di attivazione di vero e proprio lavoro nero. La magistratura
contabile mostra di avere poca contezza pratica e concreta del modo col quale
gli enti locali gestiscono le forme di regolazione delle attività dei cittadini
che non costituiscono rapporti di lavoro e, comunque, possono essere rivolte
all’utilità sociale. Ne è stato prova recente il sistema totalmente illecito
sul piano lavoristico di utilizzo dell’ex lavoro accessorio (noto come sistema
dei voucher), sulla base del quale tantissimi comuni hanno di fatto coperto
fabbisogni ordinari della propria dotazione organica.
Le indicazioni della Sezione
Autonomie vanno in diretto contrasto con la recente e più aderente ai rischi
insiti nella realtà concreta deliberazione della Sezione Lombardia 24 ottobre
2017, n. 281. Detta Sezione parte dalla consapevolezza dei problemi che possono
discendere da un utilizzo disinvolto del volontariato: “Non bisogna dimenticare, che anche al fine di evitare la costituzione
di rapporti di lavoro impropri (precari o occasionali) alle dipendenze della
Pubblica Amministrazione (e in assenza di una disciplina legislativa),
l’accesso al lavoro negli enti pubblici è presidiato da norme costituzionali
(art. 97 Costituzione)”. E giunge alla conclusione diametralmente opposta a
quella indicata dalla Sezione Autonomie: “Nella
nuova disciplina, pertanto, non è rinvenibile alcuna disposizione che potrebbe
rendere legittimo l’onere assicurativo a carico del comune per la prestazione
resa dal singolo volontario, in assenza di una convenzione tra l’ente e il
Terzo Settore ed in mancanza di una deroga legislativa che contempli la
suddetta possibilità. Pertanto è ancora valida la proposizione, anche dopo
l’entrata in vigore del nuovo decreto legislativo sulla disciplina del così
detto Terzo Settore, contenuta nel parere della Corte dei conti Sez. Toscana
(PAR 141/2016), che, con una sintesi efficace di una molteplicità di
disposizioni sul punto, afferma che deve: “ritenersi escluso in
radice un autonomo ricorso delle PP.AA. a prestazioni da parte di volontari 'a
titolo individuale', perché la
necessaria 'interposizione' dell'organizzazione di volontariato, ben lungi
da inutili e barocchi formalismi, vale a
salvaguardia di interessi che sono di 'ordine pubblico’ e che, come tali,
non ammettono deroghe od eccezioni di sorta, ad assicurare, da un lato, che lo svolgimento dell'attività dei volontari
si mantenga nei rigorosi limiti della spontaneità, dell'assenza anche indiretta
di fini di lucro, della esclusiva finalità solidaristica, dell'assoluta e
completa gratuità; e, dall'altro, che resti
ferma e aliena da ogni possibile commistione la rigida distinzione tra attività
di volontariato e a attività “altre””.
Naturalmente, la pronuncia della
Sezione Autonomie ha valore nomofilattico, cioè indica il principio di diritto
che deve essere rispettato dalle altre Sezioni. Ma, come rilevato, apre
problemi enormi, perché mostra di non tenere conto esattamente della necessità di
scongiurare il pericolo che l’attività di volontariato vada di molto oltre i
limiti della spontaneità, per ricadere in vere e proprie utilizzazioni come
lavoratori subordinati senza titolo.
Il contrasto tra la Sezione Autonomie
e l’interpretazione maggiormente prudente delle sezioni regionali deriva dalla
chiave di lettura offerta dal d.lgs 117/2017, nuovo testo unico sul Terzo
Settore, rispetto alla libertà di esercizio dell’attività di volontariato.
Oggetto di contrasto è l’articolo
17, comma 2, del d.lgs 117/2017, ai sensi del quale “Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività
in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo
a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte
ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in
modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti,
ed esclusivamente per fini di solidarietà”. La congiunzione “anche” cagiona
due possibili linee interpretative.
La prima è quella seguita dalla
Sezione Autonomie, secondo la quale la congiunzione “anche” va letta nel senso
che ai cittadini è data piena libertà di scegliere se svolgere le attività di
volontariato attraverso l’associazione ad enti del Terzo Settore, oppure
appunto “anche” individualmente, ritenendo di vedere nell’ente locale il
soggetto aggregativo al quale riferirsi. Scrive la Sezione Autonomie :
“Non sussistono, infatti, preclusioni di
principio a che singoli volontari scelgano di porre “il proprio tempo e le
proprie capacità” al servizio di un’organizzazione più strutturata, quale
quella di un ente locale, capace di indirizzare in modo più proficuo la loro
attività alla realizzazione di precisi obiettivi di solidarietà sociale. Tale
assunto trova riscontro nell’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 117/2017, il quale
recita: «Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge
attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il
tramite di un ente del Terzo settore…»”. E poco prima la delibera
evidenzia: “Non può non trascurarsi di
richiamare, infine, l’art. 1 della legge n. 106/2016, recante delega al Governo
per la riforma del Terzo settore,che nell’esplicitare le finalità dell’intervento
legislativo ha egualmente voluto sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini
che concorrono a perseguire il bene comune “anche in forma associata”,
con ciò rendendo evidente l’assenza di qualsiasi preclusione di principio ad un
ricorso all’attività dei singoli cittadini volontari”.
La seconda interpretazione è
quella fornita dalla Sezione Lombardia, decisamente contrastante: “Il fatto che nella definizione di
volontario, di cui all’art. 17, venga affermato che Il volontario è una persona
che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene
comune, anche per il tramite di un
ente del Terzo settore, e che quindi il volontario possa svolgere liberamente
la propria attività, anche se non appartenga ad un ente del Terzo Settore, non
consente alla P.A., per il principio di legalità che governala la sua azione,
di rimborsare l’onere per le spese assicurative sostenute eventualmente dal
volontario, o sostenute direttamente dalla pubblica amministrazione. La norma prevede, infatti, tale onere (rimborso)
a carico della P.A. solo per le convenzioni stipulate con le organizzazioni del
Terzo Settore, in possesso dei requisiti previsti dalla legge, che hanno
l’obbligo di assicurare i volontari della cui opera si avvalgono”.
Come si nota, la Sezione Lombardia
non radica la sua lettura sulla valutazione del contenuto letterale
dell’articolo 17, comma 2, del d.lgs 117/2017 e sulla congiunzione “anche”, ma
suggerisce un’interpretazione sistematica, riferendosi alle previsioni del
successivo articolo 18 del medesimo decreto legislativo, che riportiamo
integralmente di seguito:
“1. Gli enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari devono
assicurarli contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento
dell'attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i
terzi.
2. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi di
concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore del presente Codice, sono individuati meccanismi
assicurativi semplificati, con polizze anche numeriche, e sono disciplinati i
relativi controlli.
3. La copertura assicurativa è elemento essenziale delle convenzioni
tra gli enti del Terzo settore e le amministrazioni pubbliche, e i relativi oneri sono a carico
dell'amministrazione pubblica con la quale viene stipulata la convenzione”.
Cone nota la Sezione Lombardia ,
“solo in tale contesto, ovvero
nell’ambito di una convenzione stipulata con un’organizzazione di volontariato
(ente del Terzo Settore), individuata tramite una procedura comparativa, la P.A. può (anzi deve)
rimborsare il costo assicurativo sostenuto dall’organizzazione, che deve
obbligatoriamente provvedere ad assicurare i propri iscritti (art. 18)”.
La posizione espressa dalla Sezione
Lombardia appare certamente più corretta, oltre che più prudente. Essa,
infatti, oltre che fondarsi su una lettura sistematica di coordinamento delle
varie norme del d.lgs 117/2017, si basa anche sul principio di legalità dei
titoli di spesa. E’ facile osservare che il d.lgs 117/2017 ammette
espressamente l’obbligo a carico degli enti locali di rifondere le spese per
assicurazioni agli enti del volontariato esclusivamente nell’ambito delle
convenzioni, ma non dispone assolutamente nulla nei riguardi dei singoli
cittadini volontari.
D’altra parte, l’articolo 56 del
d.lgs 117/2017 consente alle amministrazioni pubbliche di attuare i principi di
sussidiarietà mediante il sistema delle convenzioni stipulabili esclusivamente
con gli enti del Terzo Settore, da individuare a seguito di procedure
comparative; ai sensi del comma 4 del citato articolo 56 solo nell’ambito delle
convenzioni con gli enti vanno regolati “i
rapporti finanziari riguardanti le spese da ammettere a rimborso fra le quali
devono figurare necessariamente gli oneri relativi alla copertura assicurativa”.
Nulla di analogo o simile è specificato per la disciplina dei rapporti tra
amministrazioni pubbliche e singole persone fisiche volontarie.
E’, anzi, possibile sostenere che
ai sensi dell’articolo 56 del d.lgs 117/2017 la forma tipica legale di
relazione tra amministrazioni pubbliche e soggetti che operano nel volontariato
è esclusivamente quella della convenzione con gli enti del Terzo Settore. Tanto
è vero che le PA, sulla base del disposto del comma 1 dell’articolo 56, possono
sottoscrivere le convenzioni con le organizzazioni di volontariato e le
associazioni di promozione sociale, solo se iscritte da almeno sei mesi nel registro
unico nazionale del Terzo settore.
L’iscrizione nei registri è requisito
di legittimità delle convenzioni. Non si vede come questo requisito possa
essere esteso a singoli cittadini volontari.
L’iscrizione degli enti nel
registro unico nazionale avrà lo scopo di garantire che essi abbiano le
capacità di assicurare adeguata organizzazione, formazione ed aggiornamento ai
volontari. In assenza di simile organizzazione, dovrebbe essere lo stesso ente
locale che si convenziona col singolo volontario ad assicurare quei requisiti
minimi di efficienza organizzativa che il legislatore pretende nei confronti
degli enti del Terzo Settore.
E’ probabilmente per questo che la Sezione Autonomie
subordina la possibilità da essa riconosciuta (praeter legem, se non contra
legem) agli enti locali di assicurare direttamente singoli volontari alla loro
iscrizione in un registro adottato con apposito regolamento. Il parere 26/2017
indica: “dovrà essere prevista
l’istituzione di un apposito registro dei volontari, le cui risultanze, se
conformi ai criteri previsti per la
tenuta dei registri in materia di volontariato, faranno fede ai fini della
individuazione dei soggetti aventi diritto alla copertura assicurativa contro
gli infortuni e le malattie nonché per la responsabilità civile per i danni cagionati
a terzi conseguenti allo svolgimento dell’attività, con oneri a carico dell’ente
locale in quanto beneficiario finale delle attività
dei singoli volontari dallo stesso coordinate. Il regolamento dell’ente
dovrà assicurare, altresì, che i requisiti
soggettivi previsti per l’iscrizione nel registro dei volontari non abbiano
carattere discriminatorio e che i requisiti psico-fisici e attitudinali eventualmente richiesti siano finalizzati
esclusivamente a garantire agli aspiranti volontari attività compatibili con le
condizioni soggettive di ciascuno di essi”.
Come si nota, in sostanza la
deliberazione fraintende del tutto le disposizioni del d.lgs 117/2017 e di
fatto finisce per consentire la trasformazione delle amministrazioni in enti
che addirittura coordinino direttamente le attività dei volontari, sicchè allo
scopo li iscrivono nel registro secondo modalità e criteri di fatto identici a
quelli che dovrebbero seguire gli enti del Terzo Settore. Dunque, le
amministrazioni dovrebbero al proprio interno creare delle strutture operative
di coordinamento delle attività del volontariato dei singoli cittadini.
La cosa è semplicemente
impensabile di per sé, posto che va in contrasto aperto esattamente con i
principi di sussidiarietà che pure cita e descrive la Sezione Autonomie ,
ma soprattutto va in contrasto con l’organizzazione della stragrande parte dei
comuni italiani, per nulla in grado di attivare una funzione di organizzazione
dei servizi di volontariato.
E’ esattamente da questo che
scaturiscono i rischi di impiego erroneo dei volontari, tali da poter giungere
al lavoro nero. La Sezione Autonomie
è consapevole dell’esistenza di questa incognita e si dilunga, dunque, sulla
distinzione tra attività di volontariato e di lavoro subordinato:
1. l’attività di volontariato esuli da qualunque vincolo di natura obbligatoria
che non sia il dovere di rispetto discendente dal principio del “neminem laedere”.
Essa è, pertanto, intrinsecamente incompatibile
con l’instaurazione di un rapporto di lavoro, stabile o precario, autonomo o subordinato,
come espressamente sancito dall’art. 17, comma 5, del d.lgs. n. 117/2017 e ribadito
dal comma 3, che vieta l’erogazione di compensi a carattere retributivo o in
forma di rimborsi spese di tipo forfetario;
2. È da ritenersi, altresì, che l’attività di volontariato
sia incompatibile con qualsiasi forma di “riconoscimento”
dell’attività svolta, compresa la precostituzione di titoli di merito ai fini
dell’accesso a posizioni di pubblico impiego di qualunque natura;
3. Lo stesso è a dirsi per quelle forme di pseudo-volontariato che dissimulano
l'esistenza di un vincolo di subordinazione, inteso come assoggettamento del volontario ad un
penetrante potere direttivo, disciplinare e di controllo dell’ente in
ordine alle modalità e ai tempi della
prestazione, o che, comunque, risultano intrinsecamente caratterizzate
dall’onerosità della prestazione, tipica della causa di scambio tra lavoro e
retribuzione o della causa associativa;
4. occorre
sottolineare il carattere necessariamente
“occasionale” dell’attività di volontariato, in quanto attività spontanea e gratuita, libera da vincoli temporali e da
condizionamenti esterni derivanti dall’affidamento di terzi.
L’occasionalità è sinonimo di attività eventuale, straordinaria e incoercibile,
che sussiste anche se l’attività sia
svolta in modo non discontinuo e saltuario, conforme a prestabiliti orari di
lavoro e secondo modalità coordinate con l’attività di altri lavoratori;
5. Per chi utilizza l’attività di volontariato,
la prestazione è da ritenersi, dunque, occasionale nonché “accessoria”, nel senso di aggiuntiva e complementare alle
ordinarie attività dell’apparato organizzativo all’interno del quale si
inserisce quale strumento mai
“sostitutivo” delle risorse umane normalmente destinate al servizio di
utilità sociale prescelto dal volontario.
Nella pratica, tuttavia, si
assiste esattamente ad utilizzi dei volontari singole che violano totalmente le
indicazioni date dalla Sezione Autonomie come prudenti indicatori per definire
il volontariato “genuino”.
Si pensi, ad esempio, ai
diffusissimi “servizi di utilità sociale”, da qualche tempo molto utilizzati
dai comuni. Tali servizi nascono da una considerazione assolutamente distorta
ed erronea del cosiddetto principio di “condizionalità” che condiziona una
certa prestazione (finanziaria o di servizi) che la PA rivolge ad una persona, a
determinati impegni da questa assunta.
La condizionalità è operante, ad
esempio, nell’ambito della normativa sulle politiche attive per il lavoro: i
lavoratori percettori di Naspi possono subire decurtazioni o anche la revoca
dell’indennità se non svolgono atti di ricerca attiva di lavoro, o rifiutino
opportunità di formazione e proposte di lavoro, così come indicato nel patto di
servizio che sono obbligati a stipulare con i servizi per l’impiego.
Emulando questa impostazione,
molti servizi sociali dei comuni subordinano la concessione di contributi e
aiuti di varia natura a specifiche azioni richieste ai destinatari. Tra queste
azioni, vi sono proprio, sempre più spesso, i “servizi di utilità sociale”,
variamente qualificati: come lavoro meramente occasionale, oppure come lavoro
autonomo e talvolta anche come attività di volontariato.
E’ un modo molto pericoloso di
gestire. Spesso, infatti, le attività di lavoro presunto autonomo sono
remunerate con costi orari perfino inferiori ai 9 euro netti previsti
dall’articolo 54-bis del d.l. 50/2017, convertito in legge 96/2017 (il sistema
dei cosiddetti “nuovi voucher”). Per altro, le attività lavorative sono rese a
favore dei comuni, ma ovviamente non rispondono mai ai requisiti di alta professionalità
richiesti dall’articolo 7, commi 5-bis e seguenti del d.lgs 165/2001, fonte di
disciplina delle collaborazioni autonome con le pubbliche amministrazioni.
Oltre ai rischi di lavoro nero o comunque di dumping salariale, i comuni si
espongono al rischio di danno erariale per attivazione di collaborazioni non
consentite dalla legge.
Altrettanto erroneo è attivare la
“condizionalità” imponendo ai destinatari di interventi sociali lo svolgimento
di attività di volontariato. In questo modo si pongono in essere proprio quelle
forme di pseudo-volontariato esecrate dalla Corte dei conti, in quanto
mancherebbe del tutto in capo al destinatario del beneficio sociale la
spontaneità dell’attività. Essa non sarebbe per nulla volontaria e al di fuori
di un rapporto sinallagmatico, perché scaturirebbe appunto da una condizione
posta alla percezione dei benefici sociali. Con la conseguenza di trascendere
dal volontariato al lavoro subordinato in nero e sotto pagato. Per altro,
questi “servizi di utilità sociale” prevedono esattamente l’assoggettamento del
volontario ad un penetrante potere direttivo, disciplinare e di controllo che
secondo la delibera della Sezione Autonomie assolutamente non deve esservi.
Sembra chiaro che l’unico modo
per scongiurare questi pericoli estremamente concreti di trasfigurare il
volontariato in rapporti sinallagmatici ed obbligatori simulati, con
predeterminazione di impegni orari ed organizzativi, sarebbe stato quello di
seguire il più prudente e corretto apprezzamento della Sezione Lombardia e di
tutto il filone interpretativo delle sezioni regionali da essa richiamato.
Sul piano tecnico, è da
sottolineare che le indicazioni, qui non condivise, della Sezione Autonomie non
obbligano certo i comuni a relazionarsi direttamente con singoli volontari. La
delibera si limita ad accertare la legittimità di assicurazioni contro
infortuni e per responsabilità per i cittadini, ma la strada maestra,
certamente non impedita dalla Sezione Autonomie, rimane quella della
convenzione con enti del Terzo Settore, sistema idoneo ad escludere qualsiasi
rischio di incorrere nella violazione degli indicatori forniti dalla Sezione,
rivelatori di utilizzi illeciti dei volontari.
Di pregio è, comunque, proprio
l’ultimo di questi “indicatori”, evidenziato quando la Sezione scrive “Per chi utilizza l’attività di volontariato,
la prestazione è da ritenersi, dunque, occasionale nonché “accessoria”, nel
senso di aggiuntiva e complementare alle ordinarie attività dell’apparato
organizzativo all’interno del quale si inserisce quale strumento mai
“sostitutivo” delle risorse umane normalmente destinate al servizio di utilità
sociale prescelto dal volontario”. Il parere, infatti, fornisce una
definizione corretta dell’accessorietà e della sussidiarietà delle attività dei
volontari, le quali non possono mai sostituirsi a quelle che la legge
attribuisce alla sfera delle competenze dei soggetti pubblici. Attività come
quelle dei volontari o dei lavoratori socialmente utili possono solo
affiancarsi, estendere e connettersi ai servizi che ciascun ente deve rendere
per istituto. Qualsiasi strumento “para” organizzativo, come voucher, tirocini,
Lsu, volontariato utilizzato per compensare vuoti di organico ed inserire,
nella sostanza, soggetti esterni nell’attività ordinaria espone gli enti a
numerosi rischi di illeciti civili (anche lavoristici) e di responsabilità
amministrativa. La sezione Autonomie indirettamente evidenzia i pericoli da
evitare e, dunque, le azioni virtuose da intraprendere.
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