A un anno di distanza dalla
bocciatura sonora della riforma della Costituzione decisa dagli italiani nel
referendum del 4 dicembre 2016, la riforma delle province è ancora lì a
perpetuare il suo sfacelo.
Nessuno ha tratto le conseguenze
di un tentativo di sfigurare la
Costituzione , del quale l’abolizione delle province era uno
specchietto per le allodole molto propagandato. Le conseguenze erano e sono
evidenti: la legge Delrio, la legge 56/2014, alla luce del tonfo referendario
del “governo dei 1000 giorni” doveva e deve essere eliminata dall’ordinamento
giuridico.
La riforma delle province,
infatti, si regge su un gravissimo vulnus, contenuto in due commi del
lunghissimo articolo 1 che la compone: il 5 e il 51, i quali fanno da preambolo
agli altri commi che dettano la rovinosa riforma, premettendo che essa è
disposta “In attesa della riforma del
titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di
attuazione”.
Abbiamo, quindi, nel nostro
ordinamento una legge che in maniera aperta vìola la Costituzione ,
intendendo anticipare effetti di una sua riforma, così da dettare una modifica
dell’assetto istituzionale di un ente che compone la Repubblica con pari
dignità istituzionale con gli altri (comuni, regioni e Stato, ai sensi dell’articolo
114 della Costituzione) e che è ancora in piedi, nonostante la riforma della
Costituzione, sulla quale si fonda, non sia mai entrata in vigore.
Ad un anno dal no al referendum,
resta ancora in tutta la sua rudezza l’offesa all’ordinamento giuridico arrecata
da una legge ordinaria che ha inteso anticipare gli effetti di una riforma
della Costituzione, dando la stura ad una potenziale prassi pericolosissima:
immaginare futuribili riforme costituzionali e radicare in esse modifiche di
fatto della Costituzione mediante leggi ordinarie “in attesa della riforma della
Costituzione e delle relative norme di attuazione”.
I giornali dello scorso venerdì 1
novembre hanno messo in rilievo (con molto ritardo rispetto a chi
per tempo ha indicato le storture degli interventi finanziari sulle province)
che le province sono state molto più “virtuose” di qualsiasi altra
amministrazione. Costrette a farlo, dalle
devastanti manovre finanziarie che dal 2012 hanno accompagnato l’urlo
populistico all’abolizione.
E’ ovvio che ad un anno di
distanza e con le elezioni ormai alle porte non vi sia più il tempo per
correggere queste storture. Anche se, fa storcere il naso la circostanza che il
Governo abbia tuttavia trovato tempo ed energia per proporre ricorso alla Corte
costituzionale contro la legge della regione Sicilia che, facendo un clamoroso
passo indietro sull’ancor più rovinosa riforma-Crocetta anticipatrice della
riforma Delrio, intende ripristinare l’elezione diretta degli organi provinciali.
Lo Stato non ritiene che ciò sia costituzionale, sulla base delle previsioni
della legge 56/2014, il cui comma 145 prevede: “Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
le regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Sardegna e la Regione siciliana adeguano
i propri ordinamenti interni ai principi della medesima legge”. Cioè, lo
Stato intende sollevare la questione di legittimità costituzionale alla luce di
una legge, la 56/2014, che fonda la riforma delle province sull’anticipazione
di una riforma costituzionale immaginaria, mai entrata in vigore, e, per altro,
sulla base di una norma, quel comma 154, chiaramente lesivo dell’autonomia delle
regioni a statuto speciale.
Simili energie e il connesso
tempo meriterebbero oggettivamente, da parte del Governo, una destinazione
migliore. Come, per esempio, una seria attenzione alle politiche del lavoro.
Mentre, infatti, il “governo dei
1000 giorni” devastava le province anticipando una riforma costituzionale mai
giunta, contemporaneamente abbandonava a se stessi i servizi per il lavoro, che
da funzione delle province passarono a funzione “non fondamentale”, figlia di
nessuno, senza un ente indicato come competente a gestirla: non l’Anpal, nata
tra moltissime difficoltà; non i comuni, ovviamente inadeguati a polverizzare i
servizi; non le regioni, inizialmente fuori dalla possibilità di riorganizzare
i servizi per il lavoro.
Solo nel 2018 si troverà, forse,
fine alla devastazione dei servizi per il lavoro, poiché il disegno di legge di
stabilità prevede, finalmente, la conclusione di questa storia, disponendo il
passaggio definitivo di funzioni e personale proprio alle regioni. Ma,
ovviamente, per riorganizzare il tutto occorreranno ancora mesi ed anni. Mentre
il Jobs Act avrebbe dovuto avere nelle politiche attive, cioè nelle azioni di
aiuto alla ricollocazione dei lavoratori nelle fasi di transizione tra un
lavoro e l’altro, il proprio punto di forza.
Invece, anche grazie ad una
riforma delle province rovinosa, ancora lì nonostante il no referendario,
abbiamo un sistema di politiche attive in macerie, da ricostruire totalmente,
sempre con i suoi 6000 dipendenti contro il 100.000 della Germania, sempre con
i suoi finanziamenti che non arrivano a 700 milioni di euro, contro i 9
miliardi della Germania.
Nel frattempo, le province
continuano a languire, mentre Governo e Parlamento cercano di mettere toppe qui
e lì all’insostenibile prelievo forzoso di 3 miliardi annui sulla spesa
corrente, che negli ormai quasi 4 anni di riforma ha reso le strade
provinciali (una rete di 130.000 chilometri) impercorribili, mentre le scuole
superiori (di competenza provinciali) sono rimaste in molti casi prive di
arredi, di manutenzioni e di lavori per la sicurezza.
Il no al referendum ha bloccato
una riforma costituzionale certamente pasticciata e piena di vizi e problemi. Ma,
ad un anno di distanza, nonostante quel no, ancora l’anticipazione di quella
riforma è qui a perpetuare i suoi danni e i suoi problemi, senza che nessuno
provi a porvi rimedio, senza che gli autori di simili danni siano chiamati a
risponderne.
La cosa più incredibile è che con le strade così ridotte, sono all'ordine del giorno gli incidenti e le richieste di risarcimento danni a cui devono provvedere le stesse Province!?!?!?!.
RispondiEliminaMentre i loro dipendenti, spesso, ne rispondono civilmente e penalmente!!!!