Il passaggio diretto tra
dipendenti delle amministrazioni pubbliche continua ad avere aspetti
poco chiari o, quanto meno, ad incontrare dubbi operativi molte volte
discendendo da abitudini e consuetudini che finiscono per opporsi
alle indicazioni del legislatore, per altro non sempre troppo chiare.
Una delle questioni di maggiore
preoccupazione per gli operatori riguarda la competenza ad esprimere
l’assenso al trasferimento del dipendente la cui domanda verso un
altro ente sia stata accolta. Assenso che viene denominato spesso
“nulla osta”.
Un’interpretazione molto
seguita propende per considerare competente al rilascio del nulla
osta, sia del personale del comparto, sia dei dirigenti, la giunta
comunale.
Detta chiave di lettura si fonda
su due elementi. Un primo è di natura letterale e discende
dall’articolo 4, comma 1, del d.l. 90/2014 convertito con
modificazioni dalla legge 114/2014, che ha modificato i commi 1 e 2
dell’articolo 30 del dlgs 165/2001, riscrivendo in particolare il
comma 1 come segue: “Le amministrazioni possono ricoprire posti
vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui
all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente
e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di
trasferimento, previo assenso dell'amministrazione di
appartenenza”.
Tale argomentazione ritiene di
ricondurre il nulla osta alla giunta, perché la norma parla
specificamente della “amministrazione” e per tale deve
intendersi, dunque, l’apparato di governo che la rappresenta.
In secondo luogo, comunque, la
giunta attraverso il regolamento per l’ordinamento degli uffici e
dei servizi può determinare le competenze sul piano organizzativo e,
quindi, indicare a chi spetta esprimere il nulla osta. In assenza di
questa precisazione, di spettanza comunque della giunta, spetta
sempre a questa esercitare la propria competenza “generale e
residuale”, nel caso di specie comprovata dalla circostanza che è
la giunta competente ad approvare ed a modificare la dotazione
organica e la determinazione del fabbisogno del personale.
Entrambe le motivazioni alla base
della teoria secondo la quale il nulla osta sia qualificabile come
atto di competenza della giunta sono da rigettare.
La prima non ha all’evidenza
alcuna pregnanza giuridica e pratica. La norma dell’articolo 30,
comma 1, del d.lgs 165/2001 si riferisce in generale non all’organo
dell’amministrazione di appartenenza, bensì all’amministrazione
nel suo complesso. Il legislatore non ha ovviamente lo spazio né il
tempo per indicare nella legge quali siano, ente per ente, gli organi
da considerare competenti all’espressione del nulla osta: è chiaro
che sono gli specifici ordinamenti di ciascun ente ad orientare in
tal senso. Il riferimento all’amministrazione di appartenenza non
vale certo a considerare l’atto come appartenente
all’amministrazione intesa quale vertice politico, in quanto ha il
semplice scopo di condizionare per legge l’efficacia del
trasferimento all’atto di assenso del datore di lavoro col quale il
dipendente partecipante alla procedura di mobilità conduce
attualmente il rapporto di lavoro, qualunque sia l’organo che, poi,
concretamente esprima validamente l’assenso.
Dimostrato che l’interpretazione
letterale non ha alcun rilievo, altrettanto è possibile in
riferimento alla presunta esplicazione della competenza generale e
residuale della giunta.
Qui occorre essere chiari. La
competenza generale e residuale della giunta non può essere
considerata senza limiti, perché è lo stesso d.lgs 267/2000 a
limitarla fortemente, all’articolo 48, comma 2, ai sensi del quale
“La giunta compie tutti gli atti rientranti
ai sensi dell'articolo 107, commi 1 e 2, nelle funzioni
degli organi di governo, che non siano riservati
dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze,
previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o del presidente
della provincia o degli organi di decentramento; collabora
con il sindaco e con il presidente della provincia nell'attuazione
degli indirizzi generali del consiglio; riferisce annualmente al
consiglio sulla propria attività e svolge attività propositive e di
impulso nei confronti dello stesso”.
Dunque, le competenze della
giunta sono compresse:
-
da un lato, dalle competenze gestionali degli organi del vertice amministrativo, dirigenti o responsabili di servizio;
-
dall’altro lato dalle competenze di sindaco e consiglio.
Dunque, l’ambito delle
competenze della giunta (nel caso delle province, le funzioni della
giunta sono riunite in capo al presidente) è molto più ristretto di
quanto non appaia.
Ora, le funzioni di sindaco e
consiglio sono sostanzialmente tassative e non contemplano
l’espressione del nulla osta per la mobilità. Pertanto è da
verificare se la giunta riscontri la propria incompetenza sul tema
nell’esame delle competenze spettanti ai vertici amministrativi.
L’articolo 107, commi 1 e 2,
del d.lgs sullo specifico punto non fornisce un chiarimento evidente,
anche se in realtà le sue disposizioni sono di per sé già
esaustive. I due commi dispongono:
“1. Spetta ai dirigenti la
direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme
dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al
principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-
amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti
mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse
umane, strumentali e di controllo.
2. Spettano ai dirigenti tutti
i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti
amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non
ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni
di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di
governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del
segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli
articoli 97 e 108”.
E’ il secondo comma la chiave
corretta: dirigenti e responsabili di servizio adottano tutti gli
atti e provvedimenti che non rientrano nelle funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministrativo degli organi di governo.
Dunque, per asserire con
fondatezza che il nulla osta sia di competenza della giunta, occorre
dimostrare che tale atto di assenso rientri nelle funzioni di
indirizzo e controllo politico-amministrativo.
Per tale dimostrazione osservare
che è la giunta competente ad approvare la dotazione organica, le
sue variazioni ed il piano dei fabbisogni non è sufficiente.
In realtà occorre sottolineare
come la giunta, a differenza del passato, abbia perso la competenza
sia a decidere la dotazione organica, sia a programmare i fabbisogni.
A seguito del d.lgs 118/2011 e della novellazione dell’articolo 6
del d.lgs 165/2001 ad opera del d.lgs 75/2017, la dotazione è solo
una conseguenza della programmazione dei fabbisogni, la quale va con
ogni evidenza espressa mediante il Dup, rispetto al quale la giunta
ha solo una funzione di proposta, mentre è il consiglio ad
approvarlo. Sicché già solo per questo la tesi della competenza
della giunta perde totalmente le proprie basi. Chi volesse
considerare il nulla osta come atto d’esercizio della funzione di
programmazione politico-amministrativa dovrebbe rassegnarsi ad
individuare nel consiglio e non nella giunta l’organo di governo
competente, se volesse considerare la simmetria tra il blocco
programmazione-dotazione e nulla osta come prova della competenza
dell’organo politico.
Non si deve dimenticare,
tuttavia, che la programmazione e l’indirizzo politico
amministrativo consistono in atti di natura generale, di estensione
temporale pluriennale e di carattere strategico o normativo. Ecco
perché il consiglio adotta regolamenti, bilanci, programmi
urbanistici, mentre sul piano organizzativo la giunta regolamenta le
attività degli uffici e dei servizi e la gestione annuale mediante
il Peg. Si tratta di atti, tutti, finalizzati ad indicare obiettivi
generali e strumenti per raggiungerli, in maniera più o meno
dettagliata a seconda che dai programmi si passi ai progetti; ma sono
atti, tutti, privi del dettaglio, della scelta operativa necessaria
per la loro attuazione, la quale spetta, come spiega l’articolo
107, commi 1 e 2, del d.lgs 267/2000 all’apparato amministrativo.
Non v’è il minimo dubbio che,
in tema di costituzione e cessazione del rapporto di lavoro:
-
l’assunzione sia un atto gestionale e datoriale, susseguente:
-
ad un atto di programmazione;
-
all’esperimento di una mobilità obbligatoria (articolo 34-bis d.lgs 165/2001), che se non va a buon fine porta
-
all’esperimento di una mobilità volontaria (articolo 30 del d.lgs 165/2001), che se non va a buon fine porta
-
all’utilizzazione di una graduatoria vigente propria o di una graduatoria di un altro ente, che se non va a buon fine porta
-
all’espletamento di un concorso;
-
-
la cessazione del rapporto di lavoro conseguente a:
-
dimissioni;
-
pensionamento;
-
mobilità in uscita.
-
Non si capisce perché tutti
questi atti, concernenti l’acquisizione di un dipendente siano
considerati senza alcun dubbio gestionali; quelle per la cessazione
del rapporto di lavoro come espressione diretta del potere negoziale
del lavoratore o frutto della legge (pensionamento), mentre la sola
mobilità in uscita dovrebbe rientrare nelle competenze degli organi
politici, sulla base di una presunta accessorietà rispetto alla
programmazione del personale.
Se così fosse, allora, anche le
dimissioni volontarie dovrebbero essere condizionate all’accettazione
dell’organo di governo, perché incidono sull’assetto
organizzativo e la provvista del personale. Ma, le dimissioni sono un
atto unilaterale e recettizio del lavoratore, non soggetto ad
accettazione alcuna, perché si tratta di una risoluzione di un
rapporto contrattuale di carattere personale, sicché il legislatore
appresta una tutela particolare alla parte debole, il lavoratore, che
non può certo essere costretto a restare a lavorare per un datore,
laddove in totale libertà ed autonomia abbia ritenuto di non potere
o volere proseguire con esso la conduzione del rapporto.
Nel caso della mobilità, poiché
essa non è un diritto soggettivo, occorre, invece, l’espressione
del consenso dell’amministrazione di appartenenza.
Per giungere alla dimostrazione
definitiva che tale consenso non viene sicuramente espresso dalla
giunta e nemmeno dal consiglio, occorre risalire alle regole generali
che disciplinano i rapporti tra organi politici ed apparato
amministrativo, le quali non risiedono solo nel d.lgs 267/2000, ma
stanno nel d.lgs 165/2001 e, precisamente, negli articoli 4 e 5.
Il comma 1 dell’articolo 4
dispone: “Gli organi di governo esercitano le funzioni di
indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi
ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti
nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la
rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della
gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:
a) le decisioni in materia di
atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo
interpretativo ed applicativo;
b) la definizione di
obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per
l'azione amministrativa e per la gestione;
c) la individuazione delle
risorse umane, materiali ed economico-fmanziarie da destinare alle
diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello
dirigenziale generale;
d) la definizione dei criteri
generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione
di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;
e) le nomine, designazioni ed
atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;
f) le richieste di pareri alle
autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato;
g) gli altri atti indicati dal
presente decreto”.
Acclarato che tra gli “altri
atti” indicati dal d.lgs 165/2001 non v’è il nulla osta, si
riscontra che la funzione di programmazione è generale e non
contempla atti puntuali, come appunto un assenso alla mobilità.
Tuttavia, si potrebbe sostenere che quanto evidenziato sopra in
grassetto possa tuttavia fondare una competenza in tema, sempre sul
presupposto dell’accessorietà del nulla osta all’individuazione
e destinazione delle risorse umane agli uffici.
Tuttavia, il comma 2
dell’articolo 4 precisa: “Ai dirigenti spetta
l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi,
compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso
l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa
mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle
risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono
responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della
gestione e dei relativi risultati”.
I vertici amministrativi,
ricevuti gli indirizzi e gli obiettivi da conseguire, organizzano,
tra le altre, le risorse umane, rispondendo in via esclusiva dei
risultati. Si svela con ogni evidenza che se un dirigente o
responsabile di servizio ritenga, nella sua autonomia, che
l’organizzazione dei servizi possa rivelarsi altrettanto efficace
anche facendo a meno di una risorsa umana lasciandola andare in
mobilità, può organizzare le altre risorse allo scopo, trattandosi
di un’organizzazione che sta a valle della programmazione. Ed anzi,
poiché una mobilità in uscita riduce costo del lavoro e ore
lavorative, a parità di risultati garantiti, aumenta perfino
l’efficienza.
In ogni caso, l’articolo 5
svela definitivamente la questione. Il comma 2 di detto articolo
dispone: “Nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di
cui all'articolo 2, comma 1, le determinazioni per
l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei
rapporti di lavoro, nel rispetto del principio di pari opportunità,
e in particolare la direzione e l'organizzazione del lavoro
nell'ambito degli uffici sono assunte in via
esclusiva dagli organi preposti alla gestione con
la capacità e i poteri del privato datore di lavoro,
fatte salve la sola informazione ai sindacati ovvero le ulteriori
forme di partecipazione, ove previsti nei contratti di cui
all’articolo 9”.
Il mistero è risolto. Una volta
che il fabbisogno del personale sia stato determinato (ed è chiaro,
anche se le successive riforme hanno cancellato la previsione un
tempo esplicita, che l’organo di governo lo determina su proposta
dei vertici dell’apparato tecnico-amministrativo), poi:
- organizzazione delle risorse,
compreso il personale;
- concreta gestione dei rapporti
di lavoro
sono competenza esclusiva
dei dirigenti o responsabili di servizio.
L’aggettivo
“esclusivo” non lascia alcun dubbio: esclude che, oltre a
dirigenti o responsabili di servizio, nessun altro soggetto, non il
sindaco, non la giunta, non il consiglio, non i sindacati, possano
non solo adottare l’atto, ma nemmeno frapporsi per esprimere
indirizzi, pareri, concerti.
Perchè
il nulla osta è l’espressione di un assenso ad una modifica di un
contratto di lavoro, quale espressione piena e chiarissima della
potestà datoriale, che la legge assegna in via esclusiva a dirigenti
e responsabili di servizio.
Il
percorso, dunque, operativo nel rapporto tra programmazione dei
fabbisogni e mobilità è dunque, semplice:
-
l’organo di governo, su proposta dei vertici tecnico-amministrativi determina i fabbisogni e programma le assunzioni da effettuare, nel rispetto della programmazione e dei vincoli finanziari;
-
annualmente, sulla base della dotazione di fatto, assegna a dirigenti o responsabili di servizio, con gli obiettivi le risorse considerate congrue per ottenerli, compreso il personale;
-
con l’esercizio concreto della gestione, il dirigente o responsabile di servizio valuta se le risorse siano realmente sufficienti o anche, eventualmente ridondanti, potendo e dovendo assicurare economie di gestione (per altro, dovrebbero essere oggetto di premi di produttività) e recuperi di efficienza; dunque è perfettamente possibile che una risorsa patrimoniale, finanziaria o anche un dipendente siano meno utilizzati, se si dimostra che l’obiettivo sia perseguibile senza l’impiego di quella risorsa;
-
il dirigente, pertanto, sulla base di valutazioni che ricadono nella sua esclusiva valutazione e nella sua totale responsabilità, può e deve esprimersi in merito all’opportunità di fare a meno di un dipendente, autorizzandone la mobilità;
-
una volta andato in mobilità, l’organo di governo recupera il suo ruolo, decidendo se le risorse liberate, in termini di spazi per acquisire nuovo personale sempre in mobilità, siano da utilizzare magari per rispondere ad esigenze di altri uffici.
L’unico elemento di regolazione
che appare di spettanza della giunta è una previsione nel
regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi che faccia
divieto assoluto al dirigente o responsabile di servizio di esprimere
nulla osta condizionati alla copertura del posto che si rende vacante
ed alla riproposizione di quel posto per non meno di tre anni,
poiché, appunto, il nulla osta non può che essere il frutto di una
valutazione tecnico organizzativa tale da assicurare comunque il
raggiungimento degli obiettivi, sia pure con un dipendente in meno.
Resta, però, il dubbio sulla
competenza ad esprimere il nulla osta nel caso in cui la mobilità
sia chiesta dai dirigenti o, negli enti privi di dirigenza, dai
responsabili di servizio.
In questo secondo caso, la
funzione dirigenziale, almeno negli enti in cui siano presenti
segretari comunali di classe B e A, si potrebbe risolvere
individuando nel segretario il dirigente competente.
Ma, la soluzione resta
deficitaria, perché il segretario non è destinatario della gestione
complessiva del comune, disponendo di poteri di coordinamento delle
attività dei vertici organizzati vi, ma non della concreta gestione.
Del resto, i vertici
organizzativi negli enti privi di dirigenza sono tali solo a seguito
di un provvedimento del sindaco che conferisca loro le funzioni
dirigenziali (da cui scatta obbligatoriamente l’incarico nell’area
delle posizioni organizzative), ai sensi dell’articolo 109, comma
2, del d.lgs 267/2000.
Negli enti senza dirigenza,
dunque, le specifiche funzioni di vertice possono esservi come non
esservi, a seconda che il sindaco attribuisca o meno la funzione
dirigenziale.
Dunque, l’espressione del nulla
osta ad opera del segretario pare debba essere condizionata dallo
scrutinio, fatto col sindaco, dell’esistenza di altri funzionari
eventualmente incaricabili ai sensi dell’articolo 109, comma 2, per
fare fronte alla mobilità del vertice; oppure, per verificare se
l’assetto organizzativo non sia modificabile con l’eliminazione
della struttura di vertice del funzionario in mobilità, accorpandola
in altra struttura.
Analoghe considerazioni
potrebbero svolgersi per la mobilità chiesta dai dirigenti. V’è,
però, l’articolo 16 del Ccnl 23.12.1999 ai sensi del quale
“Qualora il dirigente presenti domanda di trasferimento ad altra
amministrazione del Comparto che vi abbia dato assenso, il nullaosta
dell’amministrazione di appartenenza è sostituito dal preavviso di
4 mesi”.
E’ noto che sul punto si è
aperto un dibattito: la norma contrattuale, dopo la riscrittura
dell’articolo 30 del d.gs 165/2001 a seguito del d.l. 90/2014,
convertito in legge 114/2014, è tutt’ora applicabile, posto che ai
sensi del comma 2.2 di detto articolo “Sono nulli gli accordi,
gli atti o le clausole dei contratti collettivi in contrasto con le
disposizioni di cui ai commi 1 e 2”?
Chi dovrebbe contribuire a dare
indirizzi chiari per la questione, cioè l’Aran, di solito molto
risoluta nell’esprimere pareri piuttosto originali e fonte di
problemi applicativi, sul tema rimane molto “abbottonato”. Nella
Raccolta sistematica delle disposizioni contrattuali aggiornata al
gennaio 2017, sul punto, in modo molto “deciso”, l’agenzia
afferma, nella nota n. 98: “Questa disciplina contrattuale non
sembra essere ulteriormente applicabile alla luce della
nuova formulazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 165/2001, come
modificato dall’art. 4 del d.l. n. 90/2014, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114”.
Ci piacerebbe che soggetti ai
quali la norma, non si sa quanto opportunamente, attribuisce poteri
di interpretazione o di soft law,
evitasse di farsi “sembrare” le interpretazioni e, piuttosto,
desse indicazioni chiare e risolutive, per non lasciare il cerino in
mano alle amministrazioni abituate a gestire, decidere, operare e non
a farsi “sembrare” le cose. Se si ha il ruolo si interpretare
l’applicazione dei contratti, non si dovrebbe esprimersi come si
fosse degli interpreti di dottrina, i quali hanno tutto il diritto di
esprimere teorie alla luce di intuizioni e di visioni talvolta
impossobili da dare per certe, ma finalizzate all’affermazione del
dubbio necessario all’ulteriore ricerca.
Detto
questo, a chi scrive sembra che l’indicazione dell’Aran e della
dottrina favorevole alla disapplicazione dell’articolo 16 del Ccnl
23/12/1999 non sia corretta e che, dunque, la norma continui ad
applicarsi.
E’
vera la sanzione di nullità per le clausole contrattuali contrarie
alla nuova formulazione della mobilità.
Ma,
è anche vero che l’articolo 16 non è del tutto contrario e in
violazione dell’obbligo delle amministrazioni di esprimere il nulla
osta. Semplicemente prevede che il
nulla osta possa essere reso nella forma del preavviso. E’ chiaro
che a questo punto il nulla osta non è formato dall’amministrazione,
ma da un atto di volontà del dirigente stesso. Tuttavia, i 4 mesi di
preavviso sono certamente funzionali alle operazioni di revisione
organizzativa come quelle suggerite per il caso della mobilità
chiesta dalla posizione organizzativa negli enti privi di dirigenti.
Non si deve, inoltre, dimenticare che l’intera disciplina della
dirigenza pubblica è orientata alla massima flessibilizzazione del
rapporto di lavoro: la mobilità è vista dal legislatore (lo sarebbe
stata ancor di più se fosse passata la riforma della dirigenza) come
elemento positivo per l’anticorruzione e la qualificazione
dell’esperienza professionale. Considerare, dunque, inapplicabile
un istituto contrattuale volto alla funzionalizzazione della mobilità
dei dirigenti al loro sviluppo professionale ed alla necessaria
“contendibilità” massima possibile degli incarichi dirigenziali,
appare una forzatura.
In
ogni caso, negli enti con la dirigenza, laddove si ritenesse
inoperante l’articolo 16 del Ccnl 23/12/1999, non esistendo alcun
rapporto gerarchico con il segretario comunale e con il direttore
generale, poiché è il sindaco che conferisce e gestisce gli
incarichi, pare evidenziarsi l’unica situazione nella quale è
l’organo di governo a disporre il nulla osta, quale conferma della
natura pubblicistica e non privatistica dell’incarico dirigenziale,
nonostante le erronee pronunce di senso opposto della Cassazione.
Ma,
proprio le considerazioni suggerite sopra sulla permanente
applicabilità dell’articolo 16 del Ccnl 23/12/1999 potrebbero
risolvere l’aporia ed evitare che un organo di governo adotti atti
di gestione.
Ottima analisi! E' assolutamente dirimente e corretto il richiamo all'articolo 5, comma 2°, TUPI.
RispondiEliminaCome sempre le Sue analisi sono chiare ed esaustive!!!
RispondiEliminaLa sanzione della nullità di cui al punto 2.2 pare confermare il principio generale sulla prevalenza della fonte legale ex art. 2, c.2, del D.Lgs. 165/01. Ad ogni modo è molto interessante e condivisibile la tesi esposta sulla non contrarietà dell'art. 16 al dettato normativo alla luce della disciplina della dirigenza pubblica, il cui rapporto dovrebbe essere improntato giustamente alla massima flessibilità.
RispondiEliminaL'applicazione del preavviso prevista dall'articolo 16 del cont vieneviene riportata ancora in molti bandi di mobilità. La modifica all'articolo 30 del DLgs 165/2001 è del 2009, possibile quindi che a distanza di 8 anni non vi sia qualche pronunciamento dei giudici che abbia risolto il dubbio?
RispondiEliminaBuon giorno, è lecita l'imposizione di permanenza per 5 anni in un ente locale inserita tramite regolamento?
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