E’ passato poco più di un anno da
quando la Corte costituzionale, con la sentenza 251/2016 disse stop alla
riforma della dirigenza pensata dal Ministro Madia.
Si sarebbe trattato di un modello
di riforma basato su un equivoco, però molto grave: far credere che gli
incarichi dirigenziali sarebbero divenuti oggetto di selezioni meritocratiche,
sol perché gli organi di governo avrebbero scelto i dirigenti nell’ambito di
ruoli unici, attraverso “interpelli”. Questi avrebbero dovuto essere avvisi
pubblici che avrebbero dovuto dare notizia dell’incarico da assegnare,
invitando gli interessati a presentare la propria candidatura, che sarebbe poi
stata valutata (ovviamente con riferimento a “merito”, “capacità” e
“risultati”) allo scopo di individuare il candidato più idoneo.
Chi scrive ebbe più volte modo di
evidenziare a suo tempo i vizi di costituzionalità di simile modo di codificare
gli incarichi dirigenziali. Infatti, dietro la “cortina fumogena” dell’avviso
“pubblico” e della “selezione” delle “domande dei candidati” sarebbe stato
semplicissimo, per l’organo di governo di turno, assegnare l’incarico alla
persona che aveva già in mente di incaricare ben prima ancora che si
pubblicassero gli avvisi: sarebbe solo bastato che detta persona si candidasse.
Il resto, la pubblicità, le
candidature, la valutazione dei curriculum, la scelta delle “rose” da
sottoporre poi alla scelta del politico, sarebbe stato solo coreografia, un
maquillage per far apparire una cooptazione, dettata da motivazioni molto più
connesse all’adesione personale del dirigente alla sigla politica, che non
all’effettiva (ovviamente, non sempre inesistente) capacità operativa.
Del resto, nell’ordinamento
giuridico esistono già esempi ben precisi di questo modo di operare: si tratta
del sistema di assegnazione degli incarichi ai segretari comunali, gestito con
modalità assai simili. I comuni rendono “pubblica” la vacanza della sede, in modo
che i segretari possano avanzare la propria candidatura. Ma, nella maggior
parte dei casi, la pubblicazione della sede è solo una fittizia e stanca
copertura ad accordi che sono già stati presi prima dal sindaco con segretari
già informati in anticipo. Del resto, gli incarichi non debbono essere
motivati, non si realizza alcuna graduatoria di merito, nessuno può disporre
minimamente degli elementi per comprendere il perché sia incaricato un
segretario invece di un altro.
Non è un caso che la riforma
della dirigenza impostata dal Ministro Madia era stata apertamente basata
proprio sull’anticostizionale sistema degli incarichi ai segretari comunali, in
piedi, nonostante il suo evidente contrasto con i più basilari principi di
meritocrazia, pubblicità e selettività discendenti dalla Costituzione, ormai da
21 anni.
Al di là della comprova sistemica
che la riforma della dirigenza sventata dalla Consulta era finalizzata ad
estendere a dismisura l’arbitrio della politica nell’assegnazione degli
incarichi, all’opposto dell’enunciazione della valorizzazione del “merito”,
sono i fatti concreti che dimostrano come il vero obiettivo fosse dare
legittimità a prassi scorrette ed in chiaro contrasto con i principi posti
dall’articolo 97 della Costituzione.
Tra questi fatti concreti,
l’incredibile vicenda dell’assegnazione da parte del Presidente della regione
Toscana dell’incarico di dirigente della direzione “diritti di cittadinanza e
coesione sociale della Regione”, attribuito – di fatto – mentre ancora non sono
scaduti i termini della procedura “selettiva” “pubblica”.
Ne ha dato notizia Il Tirreno, con un titolo perfettamente riassuntivo della paradossale vicenda:
“Diventa dirigente ma il bando è ancora in corso”.
Il quotidiano dà notizia che la
Regione con un suo comunicato il 5 gennaio ha informato che l’incarico è stato
assegnato all’ex direttore generale dell’Asl di Livorno.
Peccato che la Regione Toscana
avesse pubblicato l’avviso di “selezione pubblica” lo scorso 29 dicembre 2017,
finalizzato ad aprire la procedura per il conferimento dell’incarico
dirigenziale a tempo determinato, fissando il termine perentorio per la
presentazione delle “candidature”. Il Tirreno riporta virgolettate le
prescrizioni: “possono presentare la propria candidatura con relativo
curriculum entro 15 giorni a decorrere dal giorno di pubblicazione del presente
avviso sul sito internet istituzionale, pena l’irricevibilità della stessa”.
Fino a prova contraria, dunque,
la scadenza del termine è il 13 gennaio 2018 (da notare che i giorni lavorativi
effettivi dei 15 messi a disposizione sono pochissimi: appena 8.
Sta di fatto che, come rilevato,
il 5 gennaio, 8 giorni prima della scadenza del termine per la partecipazione
alla “procedura pubblica” il presidente della Regione esce col quanto meno
imprudente comunicato che di fatto blocca la procedura e svela quanto essa
fosse solo ed esclusivamente un inutile orpello per ammantare di “pubblicità” e
“selettività” una scelta, invece, solo arbitraria e già adottata prima ancora
che si pubblicasse l’avviso “pubblico”, per altro sotto le feste e, dunque,
poco visibile ai più.
Sconcertante è la spiegazione che
dell’avvenuto ha dato a Il Tirreno il presidente della Regione Toscana: “L'avviso
di selezione non è un bando di concorso e non eravamo obbligati a pubblicarlo
per scegliere il nuovo dirigente. La nomina dei direttori nella sanità infatti
compete esclusivamente al presidente della Regione. Abbiamo scelto questa
procedura per ampliare le possibilità di confronto, ma non nascondo e non l'ho
mai nascosto che per il ruolo di direttore della "Coesione sociale"
della Regione consideri la dottoressa Calamai la persona al momento più
indicata”. Il quotidiano precisa: “Comunque Rossi conferma che
la selezione resta aperta, che le persone interessate al ruolo possono
continuare a inviare il curriculum e che "al momento nessuna nomina è
stata perfezionata. Non ci sono atti amministrativi che affidino ruoli ad
alcuno”.
Come si nota, nella dichiarazione
del presidente della Regione si riscontano:
1)
la rivendicazione del potere arbitrario di nominare chi meglio
si ritenga (la nomina dei direttori nella sanità infatti compete
esclusivamente al presidente della Regione);
2)
l’assenza totale di qualsiasi motivazione alla base delle
scelte: la nominata è la persona al momento più idonea) “e più non
dimandare”, potremmo aggiungere riferendoci ad un Grande Toscano del
passato.
Ovviamente, il passaggio ancor più sconcertante e
rivelatore è la parte nella quale il presidente della Regione ribadisce che la
selezione “resta aperta”, invitando ancora all’invio di candidature, visto che
manca il provvedimento “formale”. Una vera e propria beffa nei confronti di chi
resti in buona fede persuaso che la “selezione” avviata abbia davvero qualcosa
a che vedere con procedure selettive.
E’ evidente che questo modo di
procedere non ha esattamente i crismi della piena aderenza alle regole della
vera pubblicità e selettività e non va certamente moltissimo d’accordo nemmeno
con i criteri dettati dall’anticorruzione.
La riforma Madia avrebbe offerto
un “cappello” di legalità a queste modalità feudali di intendere gli incarichi
dirigenziali, che è saltato. Possiamo stare certi, però, che poiché l’intento è
quello di ottenere una copertura all’arbitrarietà di incarichi dettati
prevalentemente da ragioni politiche, nella prossima legislatura si tornerà
alla carica con i contenuti della riforma Madia.
Purtroppo senza padrini politici ormai non si va da nessuna parte, con buona pace della migliore costituzione del mondo, con la complicità di tanta parte dell'informazione, con lo strabismo di chi dovrebbe controllare e perseguire gli illeciti amministrativi e i reati penali ecc. ecc. Importante per fare il mega dirigente è solo saper leggere e scrivere ma soprattutto avere un amico. Per questo fanno sorridere una volta ogni 5 anni le indagini o lo stupore davanti a certi fatti che si ripetono tutti i giorni in tutta Italia.
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