domenica 7 gennaio 2018

SOS codice appalti


Su Il Sole24Ore del 4 gennaio scorso, nell’intervista “Cantone: «Sul codice appalti le correzioni sono in arrivo»” il presidente dell’Anac annuncia: “Sul codice stiamo già correggendo le cose principali che le imprese ci hanno chiesto, come eliminare l'obbligatorietà del sorteggio e della rotazione nelle gare "sotto soglia" e rivedere le cause di esclusione”.
Ancora, a quasi due anni di distanza dalla frettolosa approvazione del d.lgs 50/2016, dopo centinaia di correzioni “formali” di pochi mesi dopo ed un primo “correttivo” che ha stravolto metà quasi dell’impianto, in attesa ancora di decine e decine tra linee guida e decreti attuativi, il codice dei contratti si conferma per quello che è: un cantiere di lavoro aperto, gestito in fretta e furia, complicandolo eccessivamente rispetto alle indicazioni delle direttive europee, capace di scontentare le imprese, rendere difficilissima la gestione operativa e, di fatto bloccare gli appalti.

Indice molto preciso è una delle questioni maggiormente paradossali: la “rotazione”, ricordata anche dal presidente dell’Anac nell’intervista citata prima.
La rotazione non è prevista, come principio, dalle direttive europee. E’ una “creazione” nostrana, che ha causato enorme confusione operativa. Nonostante sia chiarissimo ed evidente il contrasto tra l’obbligo di rotazione, tendente ad escludere dalla stessa partecipazione alle gare il precedente aggiudicatario, ed il principio di libera concorrenza, sia Anac, sia giurisprudenza si sono cacciate nel vicolo cieco di considerare prevalente la rotazione su tutto. Anche in presenza di decisioni giurisprudenziali del tutto ambigue, che “aprono” alla possibilità di invitare comunque il precedente affidatario, in presenza di elementi astratti, impossibili da motivare in concreto, come la dimostrazione che nel mercato non vi siano sufficienti operatori economici.
Si è giunti, perfino, ad un approdo inevitabile: la paradossale sentenza del Tar Toscana, Firenze, sez. I, 2 gennaio 2018 n. 17, secondo la quale nelle procedure negoziate va negata la possibilità di invitare il precedente affidatario, anche se sia stato individuato, a suo tempo, a seguito di procedure aperte o a seguito di adesione a convenzioni con la Consip.
Maggiore e paradossale violazione del principio di concorrenza non avrebbe potuto essere enunciato. Eppure, l’irragionevolezza del peso dell’enunciazione di un principio non comunitario, come quello di rotazione, non poteva che condurre a questo controsenso.
Ora, il presidente dell’Anac afferma che ritiene opportuno modificare il peso della “rotazione” sotto soglia. Ma non basteranno orientamenti dell’Anac mediante le linee guida. Il problema è nel codice, che enunciando il principio induce la giurisprudenza a darvi peso, perfino con sentenze oggettivamente paradossali come quella del Tar Toscana.
Per il codice dei contratti non basta un’ulteriore semplice piccola correzione di qua e di là. E’ una vera e propria emergenza ordinamentale, un’altra delle troppe riforme fatte per essere fatte, senza ponderazione, senza valutazione preventiva degli effetti, con l’incapacità di prendere atto dei vizi in fase di valutazione posteriore.
Basti pensare ad un altro impedimento al regolare fluire delle procedure: la possibilità di far partecipare o meno il responsabile unico del procedimento nella commissione di gara, cui si connette la possibilità che a presiedere la commissione sia, come sarebbe naturale che fosse, il dirigente della struttura competente.
Anche qui la giurisprudenza si è scatenata tra chi ritiene che Rup e dirigente del servizio non possano mai far parte della commissione e chi, invece, lo ammette e chi, ancora lo ammette a certe condizioni invece di altre.
Il Tar Marche, sez. I – sentenza 2 gennaio 2018 n. 7, ha ritenuto necessario che l’esclusione del Rup (ma anche del presidente) dalla commissione dovrebbe fondarsi su una concreta dimostrazione dell’effettivo pericolo di condizionamento di questi soggetti nell’esprimere i loro giudizi.
Il legislatore, ormai, si comporta da “capo ufficio”. L’idea che norme che dovrebbero essere generali ed astratte debbano, invece, regolare casi concreti generalizza il sospetto di conflitto di interesse, oppure moduli gestionali che possono andare bene per alcune tipologie di enti, ma malissimo per altri. Le linee guida sul responsabile del procedimento si sono persino spinte ad individuare titolo di studio ed anni di esperienza ai fini dell’assegnazione dell’incarico al Rup, travalicando nelle competenze normative in tema di gestione del personale (interferendo con la contrattazione collettiva) e sottraendo qualsiasi autonomia operativa e gestionale alla dirigenza, che, però, poi viene accusata di “boicottare”.
Se non si capisce che l’unica strada per avere un codice funzionante è limitarsi ad adeguare quel poco che è utile e necessario le direttive Ue, rinunciando all’iper regolamentazione ed alle superfetazioni normative, tra linee guida ed autorità varie, l’emergenza-codice resterà sempre viva e le correzioni, come gli esami, non finiranno mai.

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