Se c’è un argomento che nella
stampa “tira” è certamente quello della “burocrazia” deresponsabilizzata che
induce la PA ad essere un peso per l’intero Paese, trascinato nel baratro dalla
sua inefficienza.
L’articolo a firma di Giorgio
Santilli su Il Sole 24 ore del 3 gennaio 2018, dal titolo “La Pa in fuga
dalle riforme paralizza la crescita” rappresenta al tempo stesso la summa
e l’archetipo delle filippiche praticamente quotidiane che i media riservano
alla “burocrazia” italiana.
Tuttavia, leggendo i passaggi
principali dell’indignata invettiva, sorge forte il dubbio che troppo spesso
simili omelie risultino intrise di slogan volti a creare consenso a buon mercato,
tanto sono contraddittorie e prive di analisi profonde.
Leggiamo la prima considerazione
dell’articolo: “le imprese e i cittadini italiani combattono ogni giorno la
battaglia dei problemi concreti, che devono risolvere per non chiudere i
battenti o più semplicemente per onorare gli impegni assunti. Sono problemi non
di rado generati da un apparato normativo ipertrofico e da una pubblica
amministrazione inefficiente”.
Dunque, si sostiene che tra le
principali cause delle difficoltà di imprese e cittadini, ve ne siano due:
1)
un apparato normativo ipertrofico;
2)
una pubblica amministrazione inefficiente.
Applausi, no? Come non essere
d’accordo. L’enunciazione sicuramente è ad effetto e suggestiva e
immediatamente porta ad assentire.
C’è tuttavia, al suo interno una
contraddizione insanabile. Infatti, l’analisi, probabilmente anche a causa dei
limitati spazi consentiti dalle pagine di un quotidiano, risulta del tutto
priva di collegamento logico, perché carente di un elemento, però, al tempo
stesso semplice ed indispensabile: comprendere quali siano, cioè, gli strumenti
di lavoro della pubblica amministrazione.
Guarda caso, la pubblica
amministrazione è chiamata a lavorare utilizzando come strumento di lavoro
imprescindibile, perché obbligata a rispettare il principio di legalità,
esattamente quell’apparato normativo ipertrofico, cagione prima dei problemi
segnalati dal Santilli. Allora, se l’apparato normativo si segnala per questo
rilevantissimo difetto (basti pensare che la legge 205/2017, la legge di bilancio
per il 2018 è composta da 1 articolo di 1181 commi, intrisi di regole,
normette, codicilli, tra le quali è difficilissimo orientarsi e comprenderle),
come può immaginarsi che l’organismo chiamato a lavorare utilizzando uno
strumento deteriorato, appunto l’apparato normativo ipertrofico, possa essere
miracolosamente efficiente e rapido?
Continuiamo la lettura
dell’articolo. Il Santilli prosegue netto, sostenendo che ci si trova davani ad
“Una Pa che spesso, anche a dispetto delle riforme varate, resta la vera
palla al piede del Paese”. E giù altri applausi. E fa tre esempi “di
difficoltà che le imprese si trovano a vivere quotidianamente in questa epoca:
il nuovo codice degli appalti con la sua attuazione lunga e contorta, i tempi
lunghi della giustizia civile, una macchina fiscale che promette
semplificazioni e un po' più di equità ma stenta a tenere il passo necessario
per metterle in pratica”.
Ma, un attimo: il codice degli
appalti, la disciplina processuale civile e le norme fiscali troppo complicate,
chi le produce? La PA “palla al piede”, oppure il Legislatore, inteso come
complesso di Parlamento, Governo, Ministeri e autorità varie, che dispongono
del potere, di varia natura, normativo ed autori primi, quindi, dell’ipertrofia
normativa?
“Servirebbe un'analisi
imparziale”, scrive il Santilli. Vero. Ma, servirebbe anche coerenza. Com’è
possibile che nello stesso articolo prima si sostenga che “a dispetto delle
riforme varate” la PA è inefficiente, dando quindi la sensazione (del resto
data anche dal titolo) che è la PA brutta, borbonica e cattiva, a non voler
attuare “riforme” invece meravigliose e miracolose, ma pochissime righe dopo si
considera, tra gli esempi di inefficienza, proprio una delle riforme più
rilevanti di questi ultimi tempi, cioè il codice dei contratti? Sarebbe il caso
di decidersi: o le riforme varate sono la panacea, oppure, se sono riforme
sbagliate, certo non possono essere il rimedio ai problemi (sicuramente
esistenti) dell’apparato amministrativo.
Ma, proseguiamo nella lettura,
appunto alla ricerca della coerenza perduta. “Prendiamo il codice appalti”,
afferma il Santilli. Certo, prendiamolo : “varato nell'aprile 2016, attuato
parzialmente nel suo primo anno di vita rispetto a una mole di adempimenti
mostruosa con 40 provvedimenti e senza un periodo transitorio adeguato
(come II Sole 24 Ore denunciò prima ancora del varo), poi rivisto con 300
correzioni legislative nell'aprile 2017, ora si trova nell'assurda
situazione di dover rivedere quella parte di attuazione già fatta e completare
quella che manca”.
Un disastro vero e proprio, no?
Eppure è una delle riforme “varate” che avrebbero dovuto rendere l’Italia più
bella e più superba che pria. Ma, chi lo ha redatto il codice dei contratti? I
burocrati?
Eppure, nonostante il passaggio
dell’articolo evidenzi le responsabilità innegabili del Legislatore, per il
Santilli la colpa è proprio loro, dei “burocrati” (sottinteso: fannulloni).
Infatti, l’articolo prosegue così: “In questa giostra attuativa, la pubblica
amministrazione ha scelto la paralisi, incapace di risolvere i suoi
problemi atavici (progettazione carente, stazioni appaltanti frammentate e di
bassa qualità, dirigenti che evitano di assumersi responsabilità) mentre
le imprese pagano il prezzo più alto del blocco”.
Dunque, il Santilli:
a)
prima sottolinea che il codice dei contratti è un caos, un
insieme di norme abnorme (si scusi l’allitterazione), pieno di errori ed ancora
per altro incompleto;
b)
poi, invece di trarre la conclusione che a causa di questo
codice siffatto è del tutto impossibile gestire in maniera razionale procedure
di appalto, si scaglia contro la PA, che avrebbe scelto la paralisi, come se
invece fosse possibile per atti amministrativi o gestionali superare o supplire
ai difetti della legge; e naturalmente la causa di ciò sono i dirigenti che non
vogliono le responsabilità
No, la coerenza evidentemente non
è elemento dell’analisi che, pure, si vorrebbe fosse imparziale.
Dunque, il Santilli chiosa: “Chi
può fuggire dal codice degli appalti fugge: è il caso dell'Anas che, grazie
alla fusione con Fs, potrà godere delle norme più favorevoli dei settori
speciali”. Ecco. Peccato che i dirigenti “fannulloni”, a meno di non voler
incorrere in violazioni di legge, anche penali, non possano permettersi proprio
di fuggire dal codice e lo debbono attuare.
Anche se, secondo il Santilli “Chi,
nella Pa, non può fuggire, cerca il modo di difendere lo status quo, frenando
rinnovazione”.
Ancora una volta, non capiamo:
sarebbe il codice la cosiddetta “innovazione”? Cioè quel codice che, Santilli dixit,
“varato nell'aprile 2016, attuato parzialmente nel suo primo anno di vita
rispetto a una mole di adempimenti mostruosa con 40 provvedimenti e senza un
periodo transitorio adeguato (come II Sole 24 Ore denunciò prima ancora del
varo), poi rivisto con 300 correzioni legislative nell'aprile 2017, ora si
trova nell'assurda situazione di dover rivedere quella parte di attuazione già
fatta e completare quella che manca”? Ma come è possibile sostenere l’alfa
e l’omega nel medesimo pezzo?
Ma non finisce qui. Il Santilli fa propria la “teoria del boicottaggio”, molto sostenuta dall’Anac, secondo la
quale il codice, quel codice così afflitto da inestricabili problemi, sarebbe
scientemente boicottato dalle pubbliche amministrazioni. Leggiamo ancora: “Le
linee guida dell'Anac, espressione di un potere regolatorio innovativo
creato per sostenere la riforma e il rinnovamento della Pa, sono state
vissute dagli uffici pubblici come diktat invadente o come alibi per non
fare (sommergendo l'Autorità non di rado con richieste di pareri anche su
aspetti assolutamente pacifici). Anche qui la coerenza resta una chimera.
Il Santilli immaginiamo sappia perfettamente che le linee guida dell’Anac sono
parte integrante dell’ipertrofia normativa che ha reso il codice, inteso anche
come insieme delle norme contenute nel d.lgs 50/2016 e nelle decine di decreti
attuativi e appunto linee guida, esattamente la fonte di quella “mole di
adempimenti mostruosa” che poco prima il Santilli stesso ha deplorato.
Anche la conclusione appare
piuttosto finalizzata all’acquisizione del consenso di chi non ha modo di
conoscere a fondo regole e norme: “Non è un caso, quindi, che la riforma [il
codice dei contrati, nda] non sia neanche decollata sugli aspetti più
qualificanti, come il rating delle Pa che avrebbe dovuto scremare gli
uffici legittimati a gestire un appalto, riducendo il numero delle stazioni
appaltanti e spostando il carico di competenze e di poteri su uffici tecnici
più efficienti e centrali di committenza”.
Ma, nessuno ha vietato all’Anac,
competente sull’argomento, ad attuare il rating e la qualificazione delle PA.
Tra quella parte di nome attuative che mancano al codice dei contratti e che
rendono la sua situazione “assurda”, come giustamente rileva il Santilli, manca
esattamente la fissazione dei criteri di qualificazione delle stazioni
appaltanti. Ma, non spettava ai dirigenti “fannulloni” realizzare il rating: è
una competenza dell’Anac.
Allora, concludendo: sicuramente la PA italiana ha moltissimi problemi
di efficienza. Sarebbe, tuttavia, il caso di realizzare un’analisi davvero
imparziale e, quindi, come tale, non orientata dal pre-giudizio, quello che fa
gridare sempre alla “burocrazia inefficiente” e ai “dirigenti che fuggono dalle
responsabilità”, un pre-giudizio che forse fa vendere qualche copia di giornale
in più e ottenere molti “like” sui social, ma non si avvicina per nulla all’individuazione
delle soluzioni necessarie. Che dovrebbero puntare, per prima cosa, a
pretendere maggiore qualità, semplicità e chiarezza dagli strumenti di lavoro,
cioè le leggi e le altre norme.
In casi come questo, sempre più frequenti nel campo "dell'informazione", nasce spontanea la più classica delle domande: ci fanno o ci sono??...
RispondiEliminaL'informazione in Italia è tra le peggiori del mondo, fatta da incapaci o da persone senza spina dorsale. E i risultati si vedono, si sentono e si leggono.
RispondiEliminaDa segnalare, sul Sole 24 Ore del giorno 4, un intervento di Alberto Quadri Curzio che fa un po' da controcanto alle banalità qualunquistiche sulla p.a. conservatrice che sarebbe di ostacolo al cambiamento e alle riforme, giustamente stigmatizzate da Oliveri. Forse in redazione hanno avvertito la necessità di riequilibrare un po' i giudizi del giorno prima. Che comunque restano inaccettabili.
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