Una delle più importanti
innovazioni, solo annunciate, del d.lgs 75/2017 è la semplificazione della
disciplina dei fondi per la contrattazione decentrata.
La riforma Madia, allo scopo, ha
introdotto nel corpo dell’articolo 40 del d.lgs 165/2001 il seguente nuovo
comma 4-ter: “Al fine di semplificare la gestione amministrativa dei fondi
destinati alla contrattazione integrativa e di consentirne un utilizzo più
funzionale ad obiettivi di valorizzazione degli apporti del personale, nonché
di miglioramento della produttività e della qualità dei servizi, la
contrattazione collettiva nazionale provvede al riordino, alla
razionalizzazione ed alla semplificazione delle discipline in materia di
dotazione ed utilizzo dei fondi destinati alla contrattazione integrativa”.
Se l’intento è corretto e
condivisibilissimo, considerando la ridda di norme e regole alla base della
costituzione e gestione dei fondi, talmente complicate, intricate, intrecciate,
contraddittorie ed opache da aver creato problemi in tutte le amministrazioni
nel caso di verifiche ispettive, il risultato scaturente almeno dalla preintesa
del Ccnl delle Funzioni centrali è estremamente deludente.
Le clausole previste non
affrontano in alcun modo (probabilmente, avrebbero potuto, considerato il
maggior potere derogatorio alle leggi assegnato dalla riforma Madia) la
questione della situazione pregressa, almeno per dare finalmente un punto fermo
più chiaro delle varie sanatorie mal riuscite, a partire dal decreto “salva
Roma”.
Soprattutto, non si ha davvero
traccia di alcun significativo riordino, razionalizzazione e semplificazione.
Analizziamo le previsioni dell’articolo 76 della
preintesa, rubricato “Costituzione Fondo risorse decentrate:
“1. I fondi delle
amministrazioni e degli enti del comparto destinati alla contrattazione
integrativa ed ai trattamenti accessori assumono la denominazione di “Fondo
risorse decentrate”.
2. A decorrere dall’anno 2018,
nel Fondo risorse decentrate confluiscono, in un unico importo consolidato,
tutte le risorse aventi caratteristiche di certezza, stabilità e continuità
negli importi determinati per l’anno 2017, come certificati dagli organi di
controllo interno di cui all’art. 40-bis comma 1 del d.lgs. n. 165/2001.
3. L’importo di cui al comma 2
è stabilmente incrementato:
a) degli importi e con le
decorrenze di cui agli artt. 88, comma 5, 89, comma 5, 90, comma 5, 91, comma
4, 92, comma 3, distintamente indicati per le diverse amministrazioni
destinatarie delle predette disposizioni;
b) dell’importo corrispondente
alle retribuzioni individuali di anzianità non più corrisposte al personale
cessato dal servizio, compresa la quota di tredicesima mensilità; l’importo
confluisce stabilmente nel Fondo dell’anno successivo alla cessazione dal
servizio in misura intera in ragione d’anno;
c) dell’importo corrispondente
alle indennità di amministrazione o di ente non più corrisposte al personale
cessato dal servizio e non riutilizzate in conseguenza di nuove assunzioni;
l’importo confluisce stabilmente nel Fondo dell’anno successivo alla cessazione
dal servizio in misura intera in ragione d’anno;
d) di eventuali risorse
riassorbite, a decorrere dal 2018, ai sensi dell’art. 2, comma 3 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
4. Il Fondo di cui al presente
articolo può essere incrementato, con importi variabili di anno in anno:
a) delle risorse derivanti
dall’applicazione dell’art. 43 della legge n. 449/1997;
b) della quota di risparmi
conseguiti e certificati in attuazione dell’art. 16, commi 4, 5 e 6 del decreto
legge 6 luglio 2011, n. 98;
c) delle risorse derivanti da
disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi generali che prevedano
specifici trattamenti economici in favore del personale, tra cui a titolo
esemplificativo e non esaustivo quelle di cui all’art. 18 della legge n.
88/1989;
d) degli importi
corrispondenti ai ratei di RIA ed indennità di amministrazione o ente del
personale cessato dal servizio nel corso dell’anno precedente, calcolati in
misura pari alle mensilità residue dopo la cessazione, computandosi a tal fine,
oltre ai ratei di tredicesima mensilità, le frazioni di mese superiori a
quindici giorni […]”.
La supposta razionalizzazione par
di capire risiederebbe nella previsione del comma 2, ove si prevede che le
risorse stabili confluiscano, a partire dal 2018 in un unico importo
consolidato, composto da tutte le risorse aventi caratteristiche di certezza,
stabilità e continuità negli importi determinati per l’anno 2017, previa
certificazione come certificati dagli organi di controllo interno previsti
dall’articolo 40-bis del d.lgs 165/2001.
Non può sfuggire, tuttavia, che
non si tratta per nulla né di una razionalizzazione, né di una semplificazione.
E’ vero che una volta definito
l’ammontare del fondo del 2018 esso dovrebbe consolidarsi e costituire la base
da cui partire per il futuro. Il problema è, però, che la presunta
razionalizzazione si limita solo a prevedere l’effetto futuro, senza curarsi
del preesistente. Peccato che una razionalizzazione vera parta proprio dalle
irrazionalità attuali e punti, mediante correzioni al presente, a risultati
futuri.
Il Ccnl si limita ad affermare la
consolidazione nel 2018 di un unico fondo, che, però, deriva da quello del
2017. Ma, quello del 2017 è stato ovviamente costituito sulla base della ridda
di regole complicate, intricate, intrecciate, contraddittorie ed opache
preesistenti, causa dell’immane contenzioso in atto.
Ci si sarebbe aspettato che la
contrattazione intervenisse su quelle regole, come avrebbe richiesto una vera
razionalizzazione.
Invece, ci si affida
esclusivamente all’opera di certificazione della costituzione del fondo 2017 ad
opera dei revisori dei conti. Costituzione che avviene sulla base delle vecchie
regole. Che sono farraginose quanto mai. Guardiamo il caso del comparto
regioni-enti locali.
Partiamo dalla più recente delle indicazioni
contrattuali, l’articolo 31 del Ccnl 22.1.2004. Con previsione oggettivamente
tutt’altro che chiara, la norma aveva stabilito di consolidare una volta e per
sempre in un importo definito “unico” e “confermato” anche per gli anni
successivi, le risorse “aventi carattere di certezza, stabilità e continuità
determinate nell’anno 2003”, cioè quelle di cui alle seguenti norme
contrattuali: “art. 14, comma 4; art. 15, comma 1, lett. a, b, c, f, g, h,
i, j, l, comma 5 per gli effetti derivati dall’incremento delle dotazioni
organiche, del CCNL dell’1.4.1999; art. 4, commi 1 e 2, del CCNL 5.10.2001”.
Le risorse stabili possono annualmente essere
integrate da risorse variabili, secondo quanto descrive il comma 3 del citato
articolo 31, a valere sulle seguenti norme contrattuali: articolo “15,
comma 1, lett. d, e, k, m, n, comma 2, comma 4, comma 5, per gli effetti non
correlati all’aumento delle dotazioni organiche ivi compresi quelli derivanti
dall’ampliamento dei servizi e dalle nuove attività, del CCNL dell’1.4.1999;
art. 4, commi 3 e 4, del CCNL del 5.10.2001, art. 54 del CCNL del 14.9.2000
art. 32, comma 6, del presente CCNL”.
Già a qualsiasi persona non esperta di lavoro
pubblico e non addentro alle imperscrutabili regole indicate da questa norma
contrattale gira la testa solo a vedere la quantità semplicemente paradossale
di richiami normativi.
Ma, comunque, con tabelle riassuntive e tanta,
tanta pazienza, si riusciva ad ottenere quella sommatoria finale delle varie
risorse a fondamento della parte stabile del fondo, così da creare
quell’importo unico e duraturo richiesto.
Dunque, l’operazione svolta dalle
amministrazioni nel 2004 aveva chiuso col passato, determinando un nuovo
inizio, tale da poter consentire di considerare il fondo derivante dalle
operazioni prescritte dalla norma precedente la base per ogni valutazione e
controllo?
Nemmeno per sogno. I servizi ispettivi di Mef
e Funzione pubblica si sono spinti oltre e, per verificare la correttezza delle
operazioni realizzate nel 2004, hanno chiesto di controllare le basi di computo
e, quindi, le modalità attuative per costituire il fondo ai sensi dell’articolo
15 del Ccnl 1.4.1999 (il cui testo risulta a sua volta un campione assoluto di
complicazione, opacità, ridondanza ed assoluta mancanza di chiarezza, per
assenza assoluta di un algoritmo di calcolo semplice da utilizzare).
Ma, il calcolo per la costituzione del fondo
ai sensi dell’articolo 15 del Ccnl 1.4.1999, fondamento del calcolo per
costituire il fondo ai sensi dell’articolo 31 del Ccnl 22.1.2004, si basa sulle
indicazioni finalizzate a costituire il fondo per l’anno 1998, nel rispetto
delle previsioni dell’articolo 31, comma 2, lettere b), c), d) ed e) del Ccnl
6.7.1995, come modificato dall’articolo 3 del Ccnl 16.7.1996.
Dunque, i servizi ispettivi quando svolgono la
loro attività, chiedono di risalire alla base di costituzione del fondo del
1998 (siamo a 19 anni fa).
Ora, l’articolo 3 del Ccnl 16.7.1996 consente
di incrementare le risorse del fondo con diverse percentuali e diverse
modalità, in presenza di specifici e distinti presupposti, riferendosi al
“monte salari” del 1993. Chi ha avuto la pazienza di leggere in nota i
contenuti dell’articolo 15, comma 1, del Ccnl 1.4.1999 si è accorto che una
parte delle fonti di finanziamento facevano riferimento al “monte salari” del
1997.
Dunque, ci si accorge che occorre risalire,
per consolidare il fondo del 2004, ad una norma del 1999, che richiama in parte
un monte salari del 2017, ma si poggia su un’altra norma che consente due
distinti incrementi a percentuali differenziate a valere sul monte salari del
1993. Tutto chiaro, no?
E cosa dispone la norma novellata dall’articolo
3 del Ccnl 16.7.1999, cioè l’articolo 31 del Ccnl 6.7.1995? Ancora una volta
riporta un elenco lunghissimo, involuto, intricato, pieno di rimandi, per
illustrare le fonti di finanziamento che, appunto, tornano indietro al “monte
salari” del 1993 ed alla base di calcolo del fondo avvenuta nel 1995,
ovviamente risalente ad una norma ancora precedente: l’articolo 5 del dpr
333/1990 (siamo a 28 anni fa).
Poteva mancare, però, in questa norma di 28
anni fa un riferimento ad una percentuale di incremento ad un monte salari di
anni prima? Non poteva. Infatti, si richiama la base di calcolo disciplinata
dall’articolo 8 del dpr 267/1987.
E si arriva, quindi, a 31 anni fa, per cercare
di ricostruire un fondo, che alla fine in media retribuisce, per il comparto
regioni autonomie locali, una media di 5000 euro lordi annui, dei quali, poco
più di 1000 euro lordi per produttività.
In mezzo a questo, appunto, calcoli che nulla
o quasi hanno di logico matematico, ma quasi di alchemico, anche perché
riferiti ad ordini di grandezza misteriosi come il “monte salari”, locuzione
che non possiede nemmeno una definizione giuridica posta a quantificarla in
modo univoco per tutti. Persino l’Aran non riesce a chiarire in cosa consista
il “monte salari”, come dimostra quanto scrive nell’orientamento applicativo
SEG 046 del 2016: “la nozione di “monte salari”, ampiamente diffusa
nell’esperienza applicativa di tutti i comparti di contrattazione collettiva,
come base di calcolo per la definizione delle risorse finanziarie disponibili
per i rinnovi contrattuali, ricomprende tutte le somme corrisposte nell’anno di
riferimento, determinate sulla base dei dati inviati da ciascun ente, ai sensi
dell’art. 60 del D.Lgs n.165/2001, in sede di rilevazione dei dati per il conto
annuale, e con riferimento ai compensi corrisposti al personale destinatario
del CCNL in servizio in tale anno; tali somme ricomprendono quelle corrisposte
a titolo di trattamento economico sia principale che accessorio, ivi comprese
le incentivazioni, al netto degli oneri accessori a carico dell’ente e con
esclusione degli emolumenti non correlati ad effettive prestazioni lavorative
(assegni per il nucleo familiare, indennità di trasferimento, indennità di
mensa, somme corrisposte a titolo di equo indennizzo, ecc.). Come evidenziato
espressamente nella Dichiarazione congiunta n.1 allegata al CCNL del personale
del Comparto Regioni-Autonomie Locali dell’11.4.2008, sono esclusi, altresì,
gli emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti, ove corrisposti nell’anno
di riferimento”.
Si aggiunga a tutto questo che, a partire dal
2011, la già complicatissima operazione di determinazione dei fondi per il
salario accessorio ha subito l’ulteriore difficoltà, consistente nell’obbligo
di ricondurre l’ammontare del fondo al tetto del 2010, apportando comunque
tagli proporzionali al costo del personale cessato, sulla base di un criterio
di calcolo mai previsto normativamente, ma determinato per inventio dalla
Ragioneria generale dello stato e, per una sua alternativa, dalla Sezione
Lombardia della Corte dei conti, con tutta una serie di incertezze:
- legate, appunto, alle modalità di calcolo del
taglio dei costi del personale cessato;
- alle risorse che, eventualmente, potessero
comunque considerarsi extra rispetto al tetto del 2010: per esempio, i residui
non spesi gli anni precedenti, riutilizzabili ai sensi dell’articolo 17, comma
5, del Ccnl 1.4.1999, ai soli fini della produttività, oppure le risorse per
compensare i diritti di rogito dei segretari, le attività di recupero dell’Ici,
i compensi agli avvocati, gli incentivazioni per le funzioni tecniche degli
appalti; è da ricordare che su questi temi non v’è mai stata concordia tra Mef,
Aran e sezioni regionali o delle Autonomie della Corte dei conti;
- alla necessità di cumulare i vari tagli
apportati negli anni (così si sono espresse molte sezioni regionali della Corte
dei conti) o di considerare, come consolidato, l’ultimo ed autonomo taglio
apportato nel 2015.
Il tutto reso ancor più complesso dalla
circostanza che nel 2015 non si è più dato corso alla riduzione dei fondi per
cessazione del personale, ma detti tagli sono stati ripresentati nel 2016,
tenendo conto però di un altro elemento di incertezza dei conteggi, cioè “il
personale assumibile”, come misura di contenimento ai tagli medesimi.
Infine, da ultimo, il d.lgs 75/2017, nelle
more della semplificazione richiesta alla contrattazione collettiva ripropone
un tetto massimo alla computazione del fondo, che deve essere pari al 2016,
mentre la Sezione Autonomie della Corte dei conti ha, però,
elaborato un orientamento relativo ai compensi per le funzioni tecniche degli
appalti secondo il quale essi debbano essere compresi nel fondo, sicchè si
riducono le disponibilità per gli incentivi al restante personale, erose
appunto dal finanziamento degli incentivi ai tecnici.
Come rilevato prima, il quadro presentato non
è certo completo ed esaustivo e non ha evidenziato i percorsi tecnico-contabili
per determinare le risorse.
Sarebbe stato necessario prendere atto che la
semplificazione non avrebbe dovuto continuare ad ammettere che le ricostruzioni
dei fondi andassero indietro di decenni, quando risulta impossibile più
disporre di memoria storica, documentazione affidabile, dati certi di
valutazione.
Sarebbe stato necessario dare una definizione
finalmente chiara e comprensibile del concetto di “monte salari”, oppure dettare un algoritmo di calcolo estremamente
semplice da rilevare e controllare, anche da parte dei revisori dei conti: ad
esempio, che il fondo sia costituito dalle posizioni iniziali e di sviluppo del
personale, più l’indennità di comparto, più le indennità connesse a determinati
profili, più una certa percentuale da riferire alla spesa corrente, in modo
tale che un’altra data percentuale sia posta a finanziare lo straordinario,
chiarendo una volta e per sempre che qualsiasi fonte esterna di finanziamento
dei risultati (dai diritti di rogito ai compensi degli avvocati, fino agli
incentivi per le funzioni tecniche degli appalti) non costituisca mai “tetto”
al fondo.
Invece, nulla di tutto ciò è
stato realizzato. Dunque, le amministrazioni ed i revisori dei conti dovranno
avventurarsi in una ricostruzione che vada indietro di tre lustri, per
certificare con una certa cognizione di causa il dato del 2017, che sarà la
base del 2018 e sperare che i servizi ispettivi condividano modi e criteri
ricostruttivi, un domani.
Il comma 3 dell’articolo 76 della
preintesa, poi, dispone che l’importo del fondo “consolidato” vada stabilmente
incrementato con una serie di somme specificamente dettate per le
amministrazioni centrali, delle retribuzioni individuali di anzianità non più
corrisposte al personale cessato dal servizio, compresa la quota di tredicesima
mensilità in modo che l’importo confluisca stabilmente nel Fondo dell’anno
successivo alla cessazione dal servizio in misura intera in ragione d’anno; di
indennità fisse non più corrisposte al personale cessato dal servizio e non
riutilizzate in conseguenza di nuove assunzioni (sempre in modo che si consolidino
in ragione d’anno, l’anno successivo alla cessazione del personale); di
eventuali risorse riassorbite, a decorrere dal 2018, per effetto della
razionalizzazione organizzativa.
Peccato, però, che questo
incremento non sarà possibile per lungo tempo, anche se la preintesa lo dà per
scontato. Infatti, ai sensi dell’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017,
finchè non vi sia l’armonizzazione dei trattamenti economici dei dipendenti
pubblici, le risorse contrattuali non potranno essere mai superiori al tetto del
2016. Non si vorrebbe che da questa previsione possano derivare incertezze
operative ed applicative tali da incrementare ulteriormente il già estremo
contenzioso.
Non è secondario notare che ai
sensi del comma 4, lettera d), dell’articolo 77 della preintesa quale voce di
incremento variabile troviamo gli importi corrispondenti ai ratei di RIA ed
indennità di amministrazione o ente del personale cessato dal servizio nel
corso dell’anno precedente, calcolati in misura pari alle mensilità residue
dopo la cessazione, computandosi a tal fine, oltre ai ratei di tredicesima
mensilità, le frazioni di mese superiori a quindici giorni. Si tratta delle
stesse fonti di alimentazione della parte stabile. Solo che l’anno successivo
alle cessazioni avremo due tipi di incremento: uno stabile, per l’intero anno;
l’altro variabile, per capirsi destinato a durare solo l’anno successivo alla
cessazione e di misura proporzionale alle mensilità successive alla cessazione.
Il tutto, si intende, in omaggio alla “semplificazione”…
Se resta estremamente complessa
la determinazione del fondo, data la totale assenza di regole nuove e
semplificatrici per il suo computo, allo stesso modo complicate permangono le
regole sull’utilizzo delle risorse, come descritte dall’articolo 77 della preintesa:
“1. Le amministrazioni rendono
annualmente disponibili per la contrattazione integrativa, nel rispetto dei
limiti di legge, tutte le risorse confluite nel Fondo risorse decentrate, al
netto delle progressioni economiche e delle risorse già destinate alle
posizioni organizzative relative ad annualità precedenti. Di anno in anno, sono
inoltre rese disponibili per la contrattazione integrativa le risorse
corrispondenti ai differenziali di progressione economica e, ove previsti, di
indennità di amministrazione, rispetto alla posizione economica iniziale del
profilo, del personale cessato dal servizio, anche per effetto di passaggio ad
altra area o alla dirigenza. Per Enti pubblici ed Enac si tiene conto inoltre
di quanto previsto rispettivamente dall’art. 89, comma 2, lett. g) e dall’art.
90, comma 2, lett. h).
2. Le risorse disponibili per
la contrattazione integrativa ai sensi del comma 1 sono destinate ai seguenti
utilizzi:
a) premi e trattamenti
economici correlati alla performance organizzativa;
b) premi e trattamenti
economici correlati alla performance individuale;
c) indennità correlate alle
condizioni di lavoro, in particolare: ad obiettive situazioni di disagio,
rischio, al lavoro in turno, a particolari o gravose articolazioni dell’orario di
lavoro, alla reperibilità;
d) indennità correlate allo
svolgimento di attività implicanti particolari responsabilità, anche di natura
professionale;
e) progressioni economiche;
f) trattamenti economici
riconosciuti ai titolari delle posizioni organizzative;
g) incentivi alla mobilità
territoriale;
h) misure di welfare
integrativo in favore del personale secondo la disciplina di cui all’art. 80,
nonché eventuali integrazioni alle disponibilità già previste da precedenti
CCNL per tali finalità;
i) compensi riconosciuti ai
sensi della diposizioni di cui all’art. 76, comma 4, lett. c).
3. La contrattazione
integrativa destina ai trattamenti economici di cui al comma 2, lettere a), b),
c) la parte prevalente delle risorse di cui all’art. 76, comma 4, con
esclusione della lettera c) e, specificamente, alla performance individuale
almeno il 30% di tali risorse […]”.
Semplificazione e
razionalizzazione se ne vede ben poca. I canali ove destinare le somme del
fondo restano moltissimi, come prima, ed anzi aumentano, come aumentano alcuni
intrecci operativi sicuramente non utilissimi alla causa di una maggiore
agilità dello strumento contrattuale.
Il comma 1 dell’articolo 77 aiuta
a capire che dalle risorse disponibili per le contrattazioni annuali sono da
sottrarre:
a)
le progressioni economiche,
b)
le risorse già destinate alle posizioni organizzative relative
ad annualità precedenti.
Quindi, a meno che il regolamento
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi non modifichi le posizioni
organizzative oppure non si introduca un nuovo sistema di pesatura tale da
ampliare o ridurre gli importi delle retribuzioni di posizione e risultato,
nessuna pretesa può essere avanzata dalle organizzazioni sindacali in sede di
relazioni con le amministrazioni, allo scopo di finanziare parte degli istituti
contrattuali con modifiche “mirate” delle risorse per le posizioni
organizzative.
Le posizioni di sviluppo e le
retribuzioni individuali di anzianità vengono del personale cessato per
qualsiasi caso vengono annualmente restituite al fondo, perché sia rinegoziata
la loro destinazione.
Il lungo elenco delle possibili
destinazioni conferma gli istituti da sempre noti e conosciuti, anche se
troviamo inserita per la prima volta la possibilità di una loro finalizzazione
al welfare integrativo. L’articolo 80 della preintesa elenca alcune delle
possibili modalità di utilizzo di detto welfare:
a) iniziative di sostegno al
reddito della famiglia (sussidi e rimborsi);
b) supporto all’istruzione e
promozione del merito dei figli;
c) contributi a favore di
attività culturali, ricreative e con finalità sociale;
d) prestiti a favore di
dipendenti in difficoltà ad accedere ai canali ordinari del credito bancario o
che si trovino nella necessità di affrontare spese non differibili;
e) polizze sanitarie integrative
delle prestazioni erogate dal servizio
sanitario nazionale.
L’introduzione del concetto
stesso di welfare integrativo è di per sé importante. Ma, come era facile
aspettarsi, il finanziamento delle misure di tale welfare non deriva dai bilanci
degli enti, bensì dalle risorse contrattuali. I dipendenti dovranno essere
coscienti che per ottenere welfare integrativo dovranno rinunciare, anche in
parte, al finanziamento di alcuni degli istituti elencati dall’articolo 77.
C’è, poi, il comma 3, abbastanza
criptico. Leggendo con attenzione la sua formulazione laconica ed aggrovigliata
scopriamo che la parte prevalente delle risorse (con l’eccezione di quelle
previste da specifiche norme di legge) indicate dall’articolo 76, comma 4,
della preintesa, cioè delle risorse variabili, è da destinare a:
a) premi e trattamenti economici
correlati alla performance organizzativa;
b) premi e trattamenti economici
correlati alla performance individuale;
c) indennità correlate alle
condizioni di lavoro, in particolare: ad obiettive situazioni di disagio,
rischio, al lavoro in turno, a particolari o gravose articolazioni dell’orario
di lavoro, alla reperibilità.
In particolare, di questa quota
prevalente delle risorse variabili non meno del 30% deve finanziare i premi per
il risultato individuale.
Alcune annotazioni si impongono.
In primo luogo, il contratto fa finalmente piazza pulita dell’equivoco delle
“risorse prevalenti”. Nella riforma Brunetta si aveva l’impressione che la
prevalenza delle risorse, sia di parte fissa che di parte variabile, dovesse
essere destinata all’incentivazione dei risultati; ma, questo non era
possibile, perché la gran parte delle risorse contrattuali era a destinazione
di voci fisse e continuative, come progressioni orizzontali, indennità di
comparto e, per gli enti con dirigenza, posizioni organizzative.
Abbiamo visto che la preintesa
impone di sottrarre alle risorse negoziabili esattamente quelle elencate
immediatamente qui sopra. Quindi, si salvaguarda la costanza nel tempo di risorse
ad impiego a sua volta costante.
Pertanto, non vi sarà alcun
problema a rendere prevalenti, tra le risorse variabili, quelle destinate ai
premi per il risultato. Nel sistema degli enti locali, nella realtà, il 100%
delle risorse variabili è da destinare al risultato e, quindi, non sarebbe una
grande novità.
Lascia perplessi soltanto lo
spazio fin troppo ampio che si intende assegnare al premio individuale,
imponendo che almeno il 30% delle risorse variabili si finalizzi a tale scopo:
anche la contrattazione collettiva continua ad ignorare che i sistemi premiali
davvero efficaci sono per le suadre e, quindi, collettivi, ripartiti in modo
trasversale, con personificazioni (leggasi, decurtazioni) conseguenti a dati
oggettivi, per lo più connessi alla quantità di ore dedicate effettivamente al
lavoro, quindi con attenzione alle assenze non sorrette da norme che le
impongano.
Altra perplessità, più forte,
desta la circostanza che la preintesa consideri possibile finanziare con
risorse variabili voci come disagio, rischio, turno, particolari o gravose
articolazioni dell’orario di lavoro, reperibilità. Come se una lavorazione
soggetta a rischio potesse essere retribuita con la relativa indennità a
condizione che vi sia la risorsa variabile disponibile e la prestazione
lavorativa non fosse esposta a rischio di per sé in modo oggettivo. Oppure,
come se il turno non fosse un sistema di organizzazione del lavoro fisso e
stabile, finchè vi siano le condizioni previste dal contratto.
Finanziare, insomma, indennità
connesse a sistemi organizzativi stabili nel tempo o a situazioni oggettive ed
a loro volta continuative (il lavoro rischioso è sempre rischioso, come la
reperibilità è sempre disagevole) con risorse variabili è un controsenso
irrimediabile, che probabilmente sarà ancora un volta foriero di complicazioni
operative e di contenzioso.
Infine, l’articolo 78 della
preintesa mira a creare un sistema di differenziazione dei premi di risultato
individuale:
“1. Ai dipendenti che
conseguano le valutazioni più elevate, secondo quanto previsto dal sistema di
valutazione dell’amministrazione, è attribuita una maggiorazione del premio
individuale di cui all’art. 77 comma 2, che si aggiunge alla quota di detto
premio attribuita al personale valutato positivamente sulla base dei criteri
selettivi.
2. La misura di detta
maggiorazione, definita in sede di contrattazione integrativa, non potrà
comunque essere inferiore al 30% del valore medio pro-capite dei premi
attribuiti al personale valutato positivamente ai sensi del comma 1.
3. La contrattazione
integrativa definisce altresì,preventivamente, una limitata quota massima di
personale valutato, a cui tale maggiorazione può essere attribuita”.
Si tratta di qualcosa di simile a
quanto già esiste dalla riforma Brunetta. Il d.lgs 150/2009 all’articolo 21
disciplina il “bonus annuale delle eccellenze” al quale evidentemente si ispira
la norma dell’articolo 78, la quale prevede:
1)
che al personale è obbligatorio attribuire valutazioni
differenziate (non è data alcuna indicazione, però, su come e quanto
differenziare, tradendo una previsione del d.lgs 75/2017);
2)
ai dipendenti che ottengano le valutazioni più elevate (spetta
alla contrattazione collettiva individuarle entro un range condiviso) si
assegna un premio che si aggiunge a quello derivante già dalla valutazione
ottenuta;
3)
la maggiorazione non potrà essere inferire al 30% del premio
ottenuto per effetto della valutazione, calcolata sulla media pro capite dei
premi assegnati al personale valutato positivamente (non si sa quale sia il
personale valutato non positivamente);
4)
la maggiorazione potrà andare a una piccola parte del
personale con valutazione elevata: dovrà essere la contrattazione decentrata a
stabilire quanto.
Ovviamente, parte delle risorse destinate al premio per il risultato
dovrà essere accantonata per garantire l’assegnazione di questi particolari
premi. Sempre, il tutto, per “semplificare”.
Se fosse scritto in egiziano sarebbe la stessa cosa. La verità è cosa ci si può aspettare da una classe politica che sovente non ha mai lavorato?
RispondiEliminaSempre più manicomio
RispondiElimina