sabato 3 febbraio 2018

Contratto collettivo poco innovativo: costituzione del fondo e produttività.


Una delle più importanti innovazioni, solo annunciate, del d.lgs 75/2017 è la semplificazione della disciplina dei fondi per la contrattazione decentrata.
La riforma Madia, allo scopo, ha introdotto nel corpo dell’articolo 40 del d.lgs 165/2001 il seguente nuovo comma 4-ter: “Al fine di semplificare la gestione amministrativa dei fondi destinati alla contrattazione integrativa e di consentirne un utilizzo più funzionale ad obiettivi di valorizzazione degli apporti del personale, nonché di miglioramento della produttività e della qualità dei servizi, la contrattazione collettiva nazionale provvede al riordino, alla razionalizzazione ed alla semplificazione delle discipline in materia di dotazione ed utilizzo dei fondi destinati alla contrattazione integrativa”.

Se l’intento è corretto e condivisibilissimo, considerando la ridda di norme e regole alla base della costituzione e gestione dei fondi, talmente complicate, intricate, intrecciate, contraddittorie ed opache da aver creato problemi in tutte le amministrazioni nel caso di verifiche ispettive, il risultato scaturente almeno dalla preintesa del Ccnl delle Funzioni centrali è estremamente deludente.
Le clausole previste non affrontano in alcun modo (probabilmente, avrebbero potuto, considerato il maggior potere derogatorio alle leggi assegnato dalla riforma Madia) la questione della situazione pregressa, almeno per dare finalmente un punto fermo più chiaro delle varie sanatorie mal riuscite, a partire dal decreto “salva Roma”.
Soprattutto, non si ha davvero traccia di alcun significativo riordino, razionalizzazione e semplificazione.
Analizziamo le previsioni dell’articolo 76 della preintesa, rubricato “Costituzione Fondo risorse decentrate:
1. I fondi delle amministrazioni e degli enti del comparto destinati alla contrattazione integrativa ed ai trattamenti accessori assumono la denominazione di “Fondo risorse decentrate”.
2. A decorrere dall’anno 2018, nel Fondo risorse decentrate confluiscono, in un unico importo consolidato, tutte le risorse aventi caratteristiche di certezza, stabilità e continuità negli importi determinati per l’anno 2017, come certificati dagli organi di controllo interno di cui all’art. 40-bis comma 1 del d.lgs. n. 165/2001.
3. L’importo di cui al comma 2 è stabilmente incrementato:
a) degli importi e con le decorrenze di cui agli artt. 88, comma 5, 89, comma 5, 90, comma 5, 91, comma 4, 92, comma 3, distintamente indicati per le diverse amministrazioni destinatarie delle predette disposizioni;
b) dell’importo corrispondente alle retribuzioni individuali di anzianità non più corrisposte al personale cessato dal servizio, compresa la quota di tredicesima mensilità; l’importo confluisce stabilmente nel Fondo dell’anno successivo alla cessazione dal servizio in misura intera in ragione d’anno;
c) dell’importo corrispondente alle indennità di amministrazione o di ente non più corrisposte al personale cessato dal servizio e non riutilizzate in conseguenza di nuove assunzioni; l’importo confluisce stabilmente nel Fondo dell’anno successivo alla cessazione dal servizio in misura intera in ragione d’anno;
d) di eventuali risorse riassorbite, a decorrere dal 2018, ai sensi dell’art. 2, comma 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
4. Il Fondo di cui al presente articolo può essere incrementato, con importi variabili di anno in anno:
a) delle risorse derivanti dall’applicazione dell’art. 43 della legge n. 449/1997;
b) della quota di risparmi conseguiti e certificati in attuazione dell’art. 16, commi 4, 5 e 6 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98;
c) delle risorse derivanti da disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi generali che prevedano specifici trattamenti economici in favore del personale, tra cui a titolo esemplificativo e non esaustivo quelle di cui all’art. 18 della legge n. 88/1989;
d) degli importi corrispondenti ai ratei di RIA ed indennità di amministrazione o ente del personale cessato dal servizio nel corso dell’anno precedente, calcolati in misura pari alle mensilità residue dopo la cessazione, computandosi a tal fine, oltre ai ratei di tredicesima mensilità, le frazioni di mese superiori a quindici giorni […]”.
La supposta razionalizzazione par di capire risiederebbe nella previsione del comma 2, ove si prevede che le risorse stabili confluiscano, a partire dal 2018 in un unico importo consolidato, composto da tutte le risorse aventi caratteristiche di certezza, stabilità e continuità negli importi determinati per l’anno 2017, previa certificazione come certificati dagli organi di controllo interno previsti dall’articolo 40-bis del d.lgs 165/2001.
Non può sfuggire, tuttavia, che non si tratta per nulla né di una razionalizzazione, né di una semplificazione.
E’ vero che una volta definito l’ammontare del fondo del 2018 esso dovrebbe consolidarsi e costituire la base da cui partire per il futuro. Il problema è, però, che la presunta razionalizzazione si limita solo a prevedere l’effetto futuro, senza curarsi del preesistente. Peccato che una razionalizzazione vera parta proprio dalle irrazionalità attuali e punti, mediante correzioni al presente, a risultati futuri.
Il Ccnl si limita ad affermare la consolidazione nel 2018 di un unico fondo, che, però, deriva da quello del 2017. Ma, quello del 2017 è stato ovviamente costituito sulla base della ridda di regole complicate, intricate, intrecciate, contraddittorie ed opache preesistenti, causa dell’immane contenzioso in atto.
Ci si sarebbe aspettato che la contrattazione intervenisse su quelle regole, come avrebbe richiesto una vera razionalizzazione.
Invece, ci si affida esclusivamente all’opera di certificazione della costituzione del fondo 2017 ad opera dei revisori dei conti. Costituzione che avviene sulla base delle vecchie regole. Che sono farraginose quanto mai. Guardiamo il caso del comparto regioni-enti locali.
Partiamo dalla più recente delle indicazioni contrattuali, l’articolo 31 del Ccnl 22.1.2004. Con previsione oggettivamente tutt’altro che chiara, la norma aveva stabilito di consolidare una volta e per sempre in un importo definito “unico” e “confermato” anche per gli anni successivi, le risorse “aventi carattere di certezza, stabilità e continuità determinate nell’anno 2003”, cioè quelle di cui alle seguenti norme contrattuali: “art. 14, comma 4; art. 15, comma 1, lett. a, b, c, f, g, h, i, j, l, comma 5 per gli effetti derivati dall’incremento delle dotazioni organiche, del CCNL dell’1.4.1999; art. 4, commi 1 e 2, del CCNL 5.10.2001”.
Le risorse stabili possono annualmente essere integrate da risorse variabili, secondo quanto descrive il comma 3 del citato articolo 31, a valere sulle seguenti norme contrattuali: articolo “15, comma 1, lett. d, e, k, m, n, comma 2, comma 4, comma 5, per gli effetti non correlati all’aumento delle dotazioni organiche ivi compresi quelli derivanti dall’ampliamento dei servizi e dalle nuove attività, del CCNL dell’1.4.1999; art. 4, commi 3 e 4, del CCNL del 5.10.2001, art. 54 del CCNL del 14.9.2000 art. 32, comma 6, del presente CCNL”.
Già a qualsiasi persona non esperta di lavoro pubblico e non addentro alle imperscrutabili regole indicate da questa norma contrattale gira la testa solo a vedere la quantità semplicemente paradossale di richiami normativi.
Ma, comunque, con tabelle riassuntive e tanta, tanta pazienza, si riusciva ad ottenere quella sommatoria finale delle varie risorse a fondamento della parte stabile del fondo, così da creare quell’importo unico e duraturo richiesto.
Dunque, l’operazione svolta dalle amministrazioni nel 2004 aveva chiuso col passato, determinando un nuovo inizio, tale da poter consentire di considerare il fondo derivante dalle operazioni prescritte dalla norma precedente la base per ogni valutazione e controllo?
Nemmeno per sogno. I servizi ispettivi di Mef e Funzione pubblica si sono spinti oltre e, per verificare la correttezza delle operazioni realizzate nel 2004, hanno chiesto di controllare le basi di computo e, quindi, le modalità attuative per costituire il fondo ai sensi dell’articolo 15 del Ccnl 1.4.1999 (il cui testo risulta a sua volta un campione assoluto di complicazione, opacità, ridondanza ed assoluta mancanza di chiarezza, per assenza assoluta di un algoritmo di calcolo semplice da utilizzare).
Ma, il calcolo per la costituzione del fondo ai sensi dell’articolo 15 del Ccnl 1.4.1999, fondamento del calcolo per costituire il fondo ai sensi dell’articolo 31 del Ccnl 22.1.2004, si basa sulle indicazioni finalizzate a costituire il fondo per l’anno 1998, nel rispetto delle previsioni dell’articolo 31, comma 2, lettere b), c), d) ed e) del Ccnl 6.7.1995, come modificato dall’articolo 3 del Ccnl 16.7.1996.
Dunque, i servizi ispettivi quando svolgono la loro attività, chiedono di risalire alla base di costituzione del fondo del 1998 (siamo a 19 anni fa).
Ora, l’articolo 3 del Ccnl 16.7.1996 consente di incrementare le risorse del fondo con diverse percentuali e diverse modalità, in presenza di specifici e distinti presupposti, riferendosi al “monte salari” del 1993. Chi ha avuto la pazienza di leggere in nota i contenuti dell’articolo 15, comma 1, del Ccnl 1.4.1999 si è accorto che una parte delle fonti di finanziamento facevano riferimento al “monte salari” del 1997.
Dunque, ci si accorge che occorre risalire, per consolidare il fondo del 2004, ad una norma del 1999, che richiama in parte un monte salari del 2017, ma si poggia su un’altra norma che consente due distinti incrementi a percentuali differenziate a valere sul monte salari del 1993. Tutto chiaro, no?
E cosa dispone la norma novellata dall’articolo 3 del Ccnl 16.7.1999, cioè l’articolo 31 del Ccnl 6.7.1995? Ancora una volta riporta un elenco lunghissimo, involuto, intricato, pieno di rimandi, per illustrare le fonti di finanziamento che, appunto, tornano indietro al “monte salari” del 1993 ed alla base di calcolo del fondo avvenuta nel 1995, ovviamente risalente ad una norma ancora precedente: l’articolo 5 del dpr 333/1990 (siamo a 28 anni fa).
Poteva mancare, però, in questa norma di 28 anni fa un riferimento ad una percentuale di incremento ad un monte salari di anni prima? Non poteva. Infatti, si richiama la base di calcolo disciplinata dall’articolo 8 del dpr 267/1987.
E si arriva, quindi, a 31 anni fa, per cercare di ricostruire un fondo, che alla fine in media retribuisce, per il comparto regioni autonomie locali, una media di 5000 euro lordi annui, dei quali, poco più di 1000 euro lordi per produttività.
In mezzo a questo, appunto, calcoli che nulla o quasi hanno di logico matematico, ma quasi di alchemico, anche perché riferiti ad ordini di grandezza misteriosi come il “monte salari”, locuzione che non possiede nemmeno una definizione giuridica posta a quantificarla in modo univoco per tutti. Persino l’Aran non riesce a chiarire in cosa consista il “monte salari”, come dimostra quanto scrive nell’orientamento applicativo SEG 046 del 2016: “la nozione di “monte salari”, ampiamente diffusa nell’esperienza applicativa di tutti i comparti di contrattazione collettiva, come base di calcolo per la definizione delle risorse finanziarie disponibili per i rinnovi contrattuali, ricomprende tutte le somme corrisposte nell’anno di riferimento, determinate sulla base dei dati inviati da ciascun ente, ai sensi dell’art. 60 del D.Lgs n.165/2001, in sede di rilevazione dei dati per il conto annuale, e con riferimento ai compensi corrisposti al personale destinatario del CCNL in servizio in tale anno; tali somme ricomprendono quelle corrisposte a titolo di trattamento economico sia principale che accessorio, ivi comprese le incentivazioni, al netto degli oneri accessori a carico dell’ente e con esclusione degli emolumenti non correlati ad effettive prestazioni lavorative (assegni per il nucleo familiare, indennità di trasferimento, indennità di mensa, somme corrisposte a titolo di equo indennizzo, ecc.). Come evidenziato espressamente nella Dichiarazione congiunta n.1 allegata al CCNL del personale del Comparto Regioni-Autonomie Locali dell’11.4.2008, sono esclusi, altresì, gli emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti, ove corrisposti nell’anno di riferimento”.
Si aggiunga a tutto questo che, a partire dal 2011, la già complicatissima operazione di determinazione dei fondi per il salario accessorio ha subito l’ulteriore difficoltà, consistente nell’obbligo di ricondurre l’ammontare del fondo al tetto del 2010, apportando comunque tagli proporzionali al costo del personale cessato, sulla base di un criterio di calcolo mai previsto normativamente, ma determinato per inventio dalla Ragioneria generale dello stato e, per una sua alternativa, dalla Sezione Lombardia della Corte dei conti, con tutta una serie di incertezze:
-          legate, appunto, alle modalità di calcolo del taglio dei costi del personale cessato;
-          alle risorse che, eventualmente, potessero comunque considerarsi extra rispetto al tetto del 2010: per esempio, i residui non spesi gli anni precedenti, riutilizzabili ai sensi dell’articolo 17, comma 5, del Ccnl 1.4.1999, ai soli fini della produttività, oppure le risorse per compensare i diritti di rogito dei segretari, le attività di recupero dell’Ici, i compensi agli avvocati, gli incentivazioni per le funzioni tecniche degli appalti; è da ricordare che su questi temi non v’è mai stata concordia tra Mef, Aran e sezioni regionali o delle Autonomie della Corte dei conti;
-          alla necessità di cumulare i vari tagli apportati negli anni (così si sono espresse molte sezioni regionali della Corte dei conti) o di considerare, come consolidato, l’ultimo ed autonomo taglio apportato nel 2015.
Il tutto reso ancor più complesso dalla circostanza che nel 2015 non si è più dato corso alla riduzione dei fondi per cessazione del personale, ma detti tagli sono stati ripresentati nel 2016, tenendo conto però di un altro elemento di incertezza dei conteggi, cioè “il personale assumibile”, come misura di contenimento ai tagli medesimi.
Infine, da ultimo, il d.lgs 75/2017, nelle more della semplificazione richiesta alla contrattazione collettiva ripropone un tetto massimo alla computazione del fondo, che deve essere pari al 2016, mentre la Sezione Autonomie della Corte dei conti ha, però, elaborato un orientamento relativo ai compensi per le funzioni tecniche degli appalti secondo il quale essi debbano essere compresi nel fondo, sicchè si riducono le disponibilità per gli incentivi al restante personale, erose appunto dal finanziamento degli incentivi ai tecnici.
Come rilevato prima, il quadro presentato non è certo completo ed esaustivo e non ha evidenziato i percorsi tecnico-contabili per determinare le risorse.
Sarebbe stato necessario prendere atto che la semplificazione non avrebbe dovuto continuare ad ammettere che le ricostruzioni dei fondi andassero indietro di decenni, quando risulta impossibile più disporre di memoria storica, documentazione affidabile, dati certi di valutazione.
Sarebbe stato necessario dare una definizione finalmente chiara e comprensibile del concetto di “monte salari”, oppure  dettare un algoritmo di calcolo estremamente semplice da rilevare e controllare, anche da parte dei revisori dei conti: ad esempio, che il fondo sia costituito dalle posizioni iniziali e di sviluppo del personale, più l’indennità di comparto, più le indennità connesse a determinati profili, più una certa percentuale da riferire alla spesa corrente, in modo tale che un’altra data percentuale sia posta a finanziare lo straordinario, chiarendo una volta e per sempre che qualsiasi fonte esterna di finanziamento dei risultati (dai diritti di rogito ai compensi degli avvocati, fino agli incentivi per le funzioni tecniche degli appalti) non costituisca mai “tetto” al fondo.
Invece, nulla di tutto ciò è stato realizzato. Dunque, le amministrazioni ed i revisori dei conti dovranno avventurarsi in una ricostruzione che vada indietro di tre lustri, per certificare con una certa cognizione di causa il dato del 2017, che sarà la base del 2018 e sperare che i servizi ispettivi condividano modi e criteri ricostruttivi, un domani.
Il comma 3 dell’articolo 76 della preintesa, poi, dispone che l’importo del fondo “consolidato” vada stabilmente incrementato con una serie di somme specificamente dettate per le amministrazioni centrali, delle retribuzioni individuali di anzianità non più corrisposte al personale cessato dal servizio, compresa la quota di tredicesima mensilità in modo che l’importo confluisca stabilmente nel Fondo dell’anno successivo alla cessazione dal servizio in misura intera in ragione d’anno; di indennità fisse non più corrisposte al personale cessato dal servizio e non riutilizzate in conseguenza di nuove assunzioni (sempre in modo che si consolidino in ragione d’anno, l’anno successivo alla cessazione del personale); di eventuali risorse riassorbite, a decorrere dal 2018, per effetto della razionalizzazione organizzativa.
Peccato, però, che questo incremento non sarà possibile per lungo tempo, anche se la preintesa lo dà per scontato. Infatti, ai sensi dell’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017, finchè non vi sia l’armonizzazione dei trattamenti economici dei dipendenti pubblici, le risorse contrattuali non potranno essere mai superiori al tetto del 2016. Non si vorrebbe che da questa previsione possano derivare incertezze operative ed applicative tali da incrementare ulteriormente il già estremo contenzioso.
Non è secondario notare che ai sensi del comma 4, lettera d), dell’articolo 77 della preintesa quale voce di incremento variabile troviamo gli importi corrispondenti ai ratei di RIA ed indennità di amministrazione o ente del personale cessato dal servizio nel corso dell’anno precedente, calcolati in misura pari alle mensilità residue dopo la cessazione, computandosi a tal fine, oltre ai ratei di tredicesima mensilità, le frazioni di mese superiori a quindici giorni. Si tratta delle stesse fonti di alimentazione della parte stabile. Solo che l’anno successivo alle cessazioni avremo due tipi di incremento: uno stabile, per l’intero anno; l’altro variabile, per capirsi destinato a durare solo l’anno successivo alla cessazione e di misura proporzionale alle mensilità successive alla cessazione. Il tutto, si intende, in omaggio alla “semplificazione”…
Se resta estremamente complessa la determinazione del fondo, data la totale assenza di regole nuove e semplificatrici per il suo computo, allo stesso modo complicate permangono le regole sull’utilizzo delle risorse, come descritte dall’articolo 77 della preintesa:
1. Le amministrazioni rendono annualmente disponibili per la contrattazione integrativa, nel rispetto dei limiti di legge, tutte le risorse confluite nel Fondo risorse decentrate, al netto delle progressioni economiche e delle risorse già destinate alle posizioni organizzative relative ad annualità precedenti. Di anno in anno, sono inoltre rese disponibili per la contrattazione integrativa le risorse corrispondenti ai differenziali di progressione economica e, ove previsti, di indennità di amministrazione, rispetto alla posizione economica iniziale del profilo, del personale cessato dal servizio, anche per effetto di passaggio ad altra area o alla dirigenza. Per Enti pubblici ed Enac si tiene conto inoltre di quanto previsto rispettivamente dall’art. 89, comma 2, lett. g) e dall’art. 90, comma 2, lett. h).
2. Le risorse disponibili per la contrattazione integrativa ai sensi del comma 1 sono destinate ai seguenti utilizzi:
a) premi e trattamenti economici correlati alla performance organizzativa;
b) premi e trattamenti economici correlati alla performance individuale;
c) indennità correlate alle condizioni di lavoro, in particolare: ad obiettive situazioni di disagio, rischio, al lavoro in turno, a particolari o gravose articolazioni dell’orario di lavoro, alla reperibilità;
d) indennità correlate allo svolgimento di attività implicanti particolari responsabilità, anche di natura professionale;
e) progressioni economiche;
f) trattamenti economici riconosciuti ai titolari delle posizioni organizzative;
g) incentivi alla mobilità territoriale;
h) misure di welfare integrativo in favore del personale secondo la disciplina di cui all’art. 80, nonché eventuali integrazioni alle disponibilità già previste da precedenti CCNL per tali finalità;
i) compensi riconosciuti ai sensi della diposizioni di cui all’art. 76, comma 4, lett. c).
3. La contrattazione integrativa destina ai trattamenti economici di cui al comma 2, lettere a), b), c) la parte prevalente delle risorse di cui all’art. 76, comma 4, con esclusione della lettera c) e, specificamente, alla performance individuale almeno il 30% di tali risorse […]”.
Semplificazione e razionalizzazione se ne vede ben poca. I canali ove destinare le somme del fondo restano moltissimi, come prima, ed anzi aumentano, come aumentano alcuni intrecci operativi sicuramente non utilissimi alla causa di una maggiore agilità dello strumento contrattuale.
Il comma 1 dell’articolo 77 aiuta a capire che dalle risorse disponibili per le contrattazioni annuali sono da sottrarre:
a)      le progressioni economiche,
b)      le risorse già destinate alle posizioni organizzative relative ad annualità precedenti.
Quindi, a meno che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi non modifichi le posizioni organizzative oppure non si introduca un nuovo sistema di pesatura tale da ampliare o ridurre gli importi delle retribuzioni di posizione e risultato, nessuna pretesa può essere avanzata dalle organizzazioni sindacali in sede di relazioni con le amministrazioni, allo scopo di finanziare parte degli istituti contrattuali con modifiche “mirate” delle risorse per le posizioni organizzative.
Le posizioni di sviluppo e le retribuzioni individuali di anzianità vengono del personale cessato per qualsiasi caso vengono annualmente restituite al fondo, perché sia rinegoziata la loro destinazione.
Il lungo elenco delle possibili destinazioni conferma gli istituti da sempre noti e conosciuti, anche se troviamo inserita per la prima volta la possibilità di una loro finalizzazione al welfare integrativo. L’articolo 80 della preintesa elenca alcune delle possibili modalità di utilizzo di detto welfare:
a) iniziative di sostegno al reddito della famiglia (sussidi e rimborsi);
b) supporto all’istruzione e promozione del merito dei figli;
c) contributi a favore di attività culturali, ricreative e con finalità sociale;
d) prestiti a favore di dipendenti in difficoltà ad accedere ai canali ordinari del credito bancario o che si trovino nella necessità di affrontare spese non differibili;
e) polizze sanitarie integrative delle prestazioni  erogate dal servizio sanitario nazionale.
L’introduzione del concetto stesso di welfare integrativo è di per sé importante. Ma, come era facile aspettarsi, il finanziamento delle misure di tale welfare non deriva dai bilanci degli enti, bensì dalle risorse contrattuali. I dipendenti dovranno essere coscienti che per ottenere welfare integrativo dovranno rinunciare, anche in parte, al finanziamento di alcuni degli istituti elencati dall’articolo 77.
C’è, poi, il comma 3, abbastanza criptico. Leggendo con attenzione la sua formulazione laconica ed aggrovigliata scopriamo che la parte prevalente delle risorse (con l’eccezione di quelle previste da specifiche norme di legge) indicate dall’articolo 76, comma 4, della preintesa, cioè delle risorse variabili, è da destinare a:
a) premi e trattamenti economici correlati alla performance organizzativa;
b) premi e trattamenti economici correlati alla performance individuale;
c) indennità correlate alle condizioni di lavoro, in particolare: ad obiettive situazioni di disagio, rischio, al lavoro in turno, a particolari o gravose articolazioni dell’orario di lavoro, alla reperibilità.
In particolare, di questa quota prevalente delle risorse variabili non meno del 30% deve finanziare i premi per il risultato individuale.
Alcune annotazioni si impongono. In primo luogo, il contratto fa finalmente piazza pulita dell’equivoco delle “risorse prevalenti”. Nella riforma Brunetta si aveva l’impressione che la prevalenza delle risorse, sia di parte fissa che di parte variabile, dovesse essere destinata all’incentivazione dei risultati; ma, questo non era possibile, perché la gran parte delle risorse contrattuali era a destinazione di voci fisse e continuative, come progressioni orizzontali, indennità di comparto e, per gli enti con dirigenza, posizioni organizzative.
Abbiamo visto che la preintesa impone di sottrarre alle risorse negoziabili esattamente quelle elencate immediatamente qui sopra. Quindi, si salvaguarda la costanza nel tempo di risorse ad impiego a sua volta costante.
Pertanto, non vi sarà alcun problema a rendere prevalenti, tra le risorse variabili, quelle destinate ai premi per il risultato. Nel sistema degli enti locali, nella realtà, il 100% delle risorse variabili è da destinare al risultato e, quindi, non sarebbe una grande novità.
Lascia perplessi soltanto lo spazio fin troppo ampio che si intende assegnare al premio individuale, imponendo che almeno il 30% delle risorse variabili si finalizzi a tale scopo: anche la contrattazione collettiva continua ad ignorare che i sistemi premiali davvero efficaci sono per le suadre e, quindi, collettivi, ripartiti in modo trasversale, con personificazioni (leggasi, decurtazioni) conseguenti a dati oggettivi, per lo più connessi alla quantità di ore dedicate effettivamente al lavoro, quindi con attenzione alle assenze non sorrette da norme che le impongano.
Altra perplessità, più forte, desta la circostanza che la preintesa consideri possibile finanziare con risorse variabili voci come disagio, rischio, turno, particolari o gravose articolazioni dell’orario di lavoro, reperibilità. Come se una lavorazione soggetta a rischio potesse essere retribuita con la relativa indennità a condizione che vi sia la risorsa variabile disponibile e la prestazione lavorativa non fosse esposta a rischio di per sé in modo oggettivo. Oppure, come se il turno non fosse un sistema di organizzazione del lavoro fisso e stabile, finchè vi siano le condizioni previste dal contratto.
Finanziare, insomma, indennità connesse a sistemi organizzativi stabili nel tempo o a situazioni oggettive ed a loro volta continuative (il lavoro rischioso è sempre rischioso, come la reperibilità è sempre disagevole) con risorse variabili è un controsenso irrimediabile, che probabilmente sarà ancora un volta foriero di complicazioni operative e di contenzioso.
Infine, l’articolo 78 della preintesa mira a creare un sistema di differenziazione dei premi di risultato individuale:
1. Ai dipendenti che conseguano le valutazioni più elevate, secondo quanto previsto dal sistema di valutazione dell’amministrazione, è attribuita una maggiorazione del premio individuale di cui all’art. 77 comma 2, che si aggiunge alla quota di detto premio attribuita al personale valutato positivamente sulla base dei criteri selettivi.
2. La misura di detta maggiorazione, definita in sede di contrattazione integrativa, non potrà comunque essere inferiore al 30% del valore medio pro-capite dei premi attribuiti al personale valutato positivamente ai sensi del comma 1.
3. La contrattazione integrativa definisce altresì,preventivamente, una limitata quota massima di personale valutato, a cui tale maggiorazione può essere attribuita”.
Si tratta di qualcosa di simile a quanto già esiste dalla riforma Brunetta. Il d.lgs 150/2009 all’articolo 21 disciplina il “bonus annuale delle eccellenze” al quale evidentemente si ispira la norma dell’articolo 78, la quale prevede:
1)                 che al personale è obbligatorio attribuire valutazioni differenziate (non è data alcuna indicazione, però, su come e quanto differenziare, tradendo una previsione del d.lgs 75/2017);
2)                 ai dipendenti che ottengano le valutazioni più elevate (spetta alla contrattazione collettiva individuarle entro un range condiviso) si assegna un premio che si aggiunge a quello derivante già dalla valutazione ottenuta;
3)                 la maggiorazione non potrà essere inferire al 30% del premio ottenuto per effetto della valutazione, calcolata sulla media pro capite dei premi assegnati al personale valutato positivamente (non si sa quale sia il personale valutato non positivamente);
4)                 la maggiorazione potrà andare a una piccola parte del personale con valutazione elevata: dovrà essere la contrattazione decentrata a stabilire quanto.
Ovviamente, parte delle risorse destinate al premio per il risultato dovrà essere accantonata per garantire l’assegnazione di questi particolari premi. Sempre, il tutto, per “semplificare”.

2 commenti:

  1. Se fosse scritto in egiziano sarebbe la stessa cosa. La verità è cosa ci si può aspettare da una classe politica che sovente non ha mai lavorato?

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