Di Vitalba Azzollini
Il primo atto normativo del nuovo governo, denominato “decreto dignità”, è stato oggetto di commenti in relazione al merito di alcune sue disposizioni e agli impatti che esse avranno, soprattutto in materia di lavoro. In attesa del testo finale, può essere utile rilevare qualche profilo di altro tipo. Perché il governo pare essersi dimenticato che, nel confezionare un provvedimento qual è il decreto-legge, ci sono alcune regole da rispettare, e sono non poco rilevanti.
Innanzitutto, una premessa. Appare singolare l’uso di un termine come “dignità”, attinente alla sfera personale, per indicare un testo normativo: il diritto, che è oggettivo per definizione, non tollera commistioni con la morale, che è soggettiva, cioè diversa per ognuno: invece, intitolando un decreto alla “dignità”, il legislatore pare quasi voler imporre il significato di questo concetto che, come detto, è del tutto individuale. In termini concreti, che sia il governo a decidere autoritativamente quale tipo di lavoro sia “dignitoso” e quale no sembra cosa discutibile e pericolosa.
Ma veniamo al dunque, cioè alle regole che, nella predisposizione del provvedimento, il governo ha forse trascurato. Il contenuto dei decreti-legge – che possono essere adottati solo “in casi straordinari di necessità e di urgenza” (art. 77, comma 2, Cost.), si rammenta – deve essere “specifico, omogeneo e corrispondente al titolo” (art. 15, l. n. 400/1998). Il “decreto dignità” presenta questi requisiti? Almeno circa omogeneità e corrispondenza al titolo può nutrirsi qualche dubbio. Partiamo dal secondo: il titolo - “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese” – è corrispondente solo a una parte delle norme del provvedimento, cioè quelle in materia di lavoro. Ma, com’è noto, esso riguarda anche ludopatia e fisco che con “la dignità dei lavoratori e delle imprese” non c’entrano niente. Dunque, per questo profilo – la corrispondenza al titolo delle norme contenute nel testo - il decreto non rispetta uno dei criteri cui, ai sensi di legge, dovrebbe essere improntato.
Quanto all’omogeneità, altro requisito obbligatorio per il contenuto di un decreto legge, il discorso si fa più complesso. Essa può venire intesa in senso soggettivo, se le norme presentano il comune denominatore del ministero competente nell’ambito su cui il decreto interviene: ma non è il caso del “decreto dignità”, le cui disposizioni sono di pertinenza di ministeri diversi. Si può interpretare l’omogeneità in senso oggettivo, se le norme, pur di competenza di ministeri diversi, riguardano la medesima materia. Ma, di nuovo, così non è per il decreto in esame, poiché esso incide su materie varie. Oppure, l’omogeneità può rinvenirsi nel fine cui il decreto è indirizzato: ciò accade quando lo scopo - unitario - che il legislatore si prefigge richiede misure riguardanti una molteplicità di settori. C’è un unico scopo perseguito dal decreto in discorso, se pur con disposizioni attinenti a materie difformi e di competenza di soggetti diversi? Basta leggere il testo, circolato nei giorni scorsi, per rispondere negativamente. Le materie considerate - lavoro, ludopatia e fisco - e le relative norme, infatti, non sembrano convergere verso un singolo obiettivo. E neanche quella “dignità” che dà il titolo al testo e che, come visto, lo copre solo in parte, è idonea conferire una parvenza di unitarietà all’intero provvedimento. Dunque, anche il requisito dell’omogeneità, pur se prescritto ex lege, sembra assente.
Eppure, tutte le norme del decreto sono necessarie e urgenti, potrebbero replicare esponenti del governo, quindi tanto vale utilizzare per esse lo stesso veicolo normativo. Peccato che la Consulta, in una sua sentenza, non sembri essere d’accordo. “Necessità e urgenza” - presupposto del decreto-legge, come detto – devono essere riferite “sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno”: cioè non basta che necessarie e urgenti siano le singole disposizioni, slegate l’una dall’altra, di cui esso consta. Perché l’assenza tra queste ultime di quel nesso di “omogeneità” che è requisito essenziale, come detto, spezza “il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale”. E una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale, “una sorta di mini-omnibus”, pare il “decreto dignità”, come il suo incipit conferma:
Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre misure per la tutela della dignità dei lavoratori, delle imprese e dei professionisti; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre strumenti volti a consentire un efficace contrasto alla ludopatia; Considerata l'urgenza di introdurre misure volte a favorire la semplificazione fiscale.
Quali sono le conseguenze di quanto rilevato? Le faranno presenti i soggetti che valutano il decreto nelle sedi preposte, se vorranno trarle. Diversamente, questo sarà l’ennesimo caso di un provvedimento con caratteristiche difformi da quelle che devono connotare un decreto-legge, come peraltro l’Osservatorio sulla legislazione rileva da tempo, inascoltato. Perché, negli ultimi anni, questo tipo di provvedimenti è stato più volte utilizzato non tanto per situazioni di emergenza, come prescritto, quanto per urgenze “politiche” del potere pro tempore: cioè per dare espressione a quell’iper-attivismo normativo con cui ogni nuovo esecutivo vuole dimostrare all’elettorato la propria fattiva operatività e rafforzare il consenso di cui ha goduto al voto. Dunque, anche questo governo, per soddisfare tale istanza, emanerà un decreto privo di requisiti essenziali per la legittimità dello stesso. Ma non doveva essere il “governo del cambiamento”?
Il primo atto normativo del nuovo governo, denominato “decreto dignità”, è stato oggetto di commenti in relazione al merito di alcune sue disposizioni e agli impatti che esse avranno, soprattutto in materia di lavoro. In attesa del testo finale, può essere utile rilevare qualche profilo di altro tipo. Perché il governo pare essersi dimenticato che, nel confezionare un provvedimento qual è il decreto-legge, ci sono alcune regole da rispettare, e sono non poco rilevanti.
Innanzitutto, una premessa. Appare singolare l’uso di un termine come “dignità”, attinente alla sfera personale, per indicare un testo normativo: il diritto, che è oggettivo per definizione, non tollera commistioni con la morale, che è soggettiva, cioè diversa per ognuno: invece, intitolando un decreto alla “dignità”, il legislatore pare quasi voler imporre il significato di questo concetto che, come detto, è del tutto individuale. In termini concreti, che sia il governo a decidere autoritativamente quale tipo di lavoro sia “dignitoso” e quale no sembra cosa discutibile e pericolosa.
Ma veniamo al dunque, cioè alle regole che, nella predisposizione del provvedimento, il governo ha forse trascurato. Il contenuto dei decreti-legge – che possono essere adottati solo “in casi straordinari di necessità e di urgenza” (art. 77, comma 2, Cost.), si rammenta – deve essere “specifico, omogeneo e corrispondente al titolo” (art. 15, l. n. 400/1998). Il “decreto dignità” presenta questi requisiti? Almeno circa omogeneità e corrispondenza al titolo può nutrirsi qualche dubbio. Partiamo dal secondo: il titolo - “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese” – è corrispondente solo a una parte delle norme del provvedimento, cioè quelle in materia di lavoro. Ma, com’è noto, esso riguarda anche ludopatia e fisco che con “la dignità dei lavoratori e delle imprese” non c’entrano niente. Dunque, per questo profilo – la corrispondenza al titolo delle norme contenute nel testo - il decreto non rispetta uno dei criteri cui, ai sensi di legge, dovrebbe essere improntato.
Quanto all’omogeneità, altro requisito obbligatorio per il contenuto di un decreto legge, il discorso si fa più complesso. Essa può venire intesa in senso soggettivo, se le norme presentano il comune denominatore del ministero competente nell’ambito su cui il decreto interviene: ma non è il caso del “decreto dignità”, le cui disposizioni sono di pertinenza di ministeri diversi. Si può interpretare l’omogeneità in senso oggettivo, se le norme, pur di competenza di ministeri diversi, riguardano la medesima materia. Ma, di nuovo, così non è per il decreto in esame, poiché esso incide su materie varie. Oppure, l’omogeneità può rinvenirsi nel fine cui il decreto è indirizzato: ciò accade quando lo scopo - unitario - che il legislatore si prefigge richiede misure riguardanti una molteplicità di settori. C’è un unico scopo perseguito dal decreto in discorso, se pur con disposizioni attinenti a materie difformi e di competenza di soggetti diversi? Basta leggere il testo, circolato nei giorni scorsi, per rispondere negativamente. Le materie considerate - lavoro, ludopatia e fisco - e le relative norme, infatti, non sembrano convergere verso un singolo obiettivo. E neanche quella “dignità” che dà il titolo al testo e che, come visto, lo copre solo in parte, è idonea conferire una parvenza di unitarietà all’intero provvedimento. Dunque, anche il requisito dell’omogeneità, pur se prescritto ex lege, sembra assente.
Eppure, tutte le norme del decreto sono necessarie e urgenti, potrebbero replicare esponenti del governo, quindi tanto vale utilizzare per esse lo stesso veicolo normativo. Peccato che la Consulta, in una sua sentenza, non sembri essere d’accordo. “Necessità e urgenza” - presupposto del decreto-legge, come detto – devono essere riferite “sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno”: cioè non basta che necessarie e urgenti siano le singole disposizioni, slegate l’una dall’altra, di cui esso consta. Perché l’assenza tra queste ultime di quel nesso di “omogeneità” che è requisito essenziale, come detto, spezza “il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale”. E una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale, “una sorta di mini-omnibus”, pare il “decreto dignità”, come il suo incipit conferma:
Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre misure per la tutela della dignità dei lavoratori, delle imprese e dei professionisti; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre strumenti volti a consentire un efficace contrasto alla ludopatia; Considerata l'urgenza di introdurre misure volte a favorire la semplificazione fiscale.
Quali sono le conseguenze di quanto rilevato? Le faranno presenti i soggetti che valutano il decreto nelle sedi preposte, se vorranno trarle. Diversamente, questo sarà l’ennesimo caso di un provvedimento con caratteristiche difformi da quelle che devono connotare un decreto-legge, come peraltro l’Osservatorio sulla legislazione rileva da tempo, inascoltato. Perché, negli ultimi anni, questo tipo di provvedimenti è stato più volte utilizzato non tanto per situazioni di emergenza, come prescritto, quanto per urgenze “politiche” del potere pro tempore: cioè per dare espressione a quell’iper-attivismo normativo con cui ogni nuovo esecutivo vuole dimostrare all’elettorato la propria fattiva operatività e rafforzare il consenso di cui ha goduto al voto. Dunque, anche questo governo, per soddisfare tale istanza, emanerà un decreto privo di requisiti essenziali per la legittimità dello stesso. Ma non doveva essere il “governo del cambiamento”?
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