Il Ccnl 21.5.2018 consente di
semplificare la disciplina dell’orario di lavoro e di servizio, resa
particolarmente complessa dalla precedente stratificazione di norme, causa di
un caos notevole in particolare per le relazioni sindacali.
Nel comparto oggi definito
Funzioni locali, il Ccnl 6.7.1995 all’articolo 17, comma 1, sul tema
dell’orario di lavoro prevede(va) quanto segue: “L'orario ordinario di lavoro è di 36 ore settimanali ed è articolato, previo esame con le
Organizzazioni Sindacali, ai sensi delle fonti normative vigenti”.
L’articolo 4, comma 2, lettere i)
e m) del Ccnl 1.4.1999 attribuiva alla contrattazione decentrata la regolazione
di queste materie:
i) le modalità e le verifiche per
l’attuazione della riduzione d’orario di cui all’art.22;
m) criteri generali per le
politiche dell’orario di lavoro.
L’articolo 19 del Ccnl 14.9.2000,
al comma 5 stabiliva che “In sede di negoziazione decentrata a
livello di singolo ente, tenendo conto delle proposte formulate dai comitati
per le pari opportunità, sono concordate le misure volte a favorire effettive
pari opportunità nelle condizioni di lavoro e di sviluppo professionale,
considerando anche la posizione delle lavoratrici in seno alla famiglia, con
particolare riferimento a:
a) accesso [omissis];
b) flessibilità degli orari di lavoro in rapporto a quelli dei servizi
sociali”.
Infine, l’articolo 8, comma 1,
lettera a), di nuovo del Ccnl 1.4.1999 assegna(va) alla relazione della
concertazione la materia dell’articolazione dell'orario di servizio.
La breve rassegna di norme e
regole svolta conferma l’affastellamento confusionario di regole e norme, con
ben tre diverse relazioni sindacali per materie analoghe, tutte attinenti
l’orario di lavoro: contrattazione (anche denominata negoziazione),
concertazione e anche “esame”, relazione mai completamente definita, né
comprensibile.
Una confusione accentuata
dall’evoluzione delle norme che hanno progressivamente incrementato i poteri
datoriali di carattere organizzativo, che dovrebbero considerarsi sottratte a
relazioni sindacali tali da richiedere una prestazione di consenso tra le
parti.
Prima di proseguire e verificare
l’opportuna razionalizzazione al sistema apportata dal Ccnl 21.5.2018, è bene comunque
cercare di fornire le definizioni di orario di lavoro, orario di servizio ed
anche di orario di apertura al pubblico.
Nell’ambito della pubblica
amministrazione, la fonte definitoria degli istituti in argomento è ormai molto
antica: si tratta della circolare della Funzione Pubblica 9 marzo 1993, n.
8/93, avente ad oggetto Decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29. Criteri
organizzativi. Orario di servizio ed orario di lavoro", pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo 1993. Queste sono le definizioni
indicate:
“Per 'orario di servizio' deve essere considerato il periodo di tempo
giornaliero necessario per assicurare la funzionalità delle strutture degli
uffici pubblici e l'erogazione dei servizi all'utenza.
Per 'orario di apertura al pubblico' deve essere considerato il periodo
di tempo giornaliero che, nell'ambito dell'orario di servizio, costituisce la
fascia oraria, ovvero le fasce orarie, di accesso ai servizi da parte
dell'utenza.
Per 'orario di lavoro' deve essere considerato il periodo di
tempo giornaliero durante il quale, in conformità all'orario d'obbligo contrattuale,
ciascun dipendente assicura la prestazione lavorativa nell'ambito dell'orario
di servizi”.
In particolare, poi, la circolare
16 febbraio 1994, n. 3 “Orario di servizio e orario di lavoro” (GU Serie
Generale n.43 del 22-02-1994), chiarisce:
L'orario di servizio settimanale puo' essere articolato:
su cinque giorni (dal lunedì al venerdì);
su sei giorni (dal lunedì al sabato).
Deve essere comunque assicurato, per i primi cinque giorni lavorativi
della settimana, il funzionamento degli uffici sia nelle ore antimeridiane, sia
in quelle pomeridiane. Ulteriori ampliamenti dell'orario di servizio possono essere
stabiliti ai fini di assicurare la funzionalità dell'ufficio.
ORARIO DI APERTURA AL PUBBLICO.
Le amministrazioni dovranno individuare gli uffici che hanno rapporto
continuativo con il pubblico, al fine di:
assicurarne l'apertura per dieci ore giornaliere, dal lunedì al venerdì;
prevedere apposite fasce orarie di accesso ai servizi, sia nelle ore
antimeridiane, sia in quelle pomeridiane.
ORARIO DI LAVORO ORDINARIO.
L'orario di lavoro settimanale deve essere definito, nel rispetto dell'orario
contrattuale, al fine di soddisfare le esigenze organizzative derivanti dall'articolazione
dell'orario di servizio (omissis).
Per le indicate finalità, la durata giornaliera dell'orario ordinario
di lavoro settimanale deve essere distribuita, di norma, sia nelle ore antimeridiane,
sia in quelle pomeridiane, fino al completamento dell'orario contrattuale
settimanale.
L’articolo 1, comma 2, lettera
a), del d.lgs 66/2003 fornisce, poi, questa definizione dell’orario di lavoro:
“qualsiasi periodo in cui il lavoratore
sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua
attività o delle sue funzioni”.
Alla luce delle definizioni
normative viste fino a qui, appare piuttosto evidente che:
a)
l’orario di servizio e l’orario di apertura al pubblico
siano materia riservata all’esclusivo ed unilaterale potere organizzativo dell’ente,
nell’esercizio dei propri poteri datoriali; per questa ragione, queste due
tipologie di orario andrebbero sottratte a relazioni sindacali o, quanto meno,
riservate a relazioni che non richiedono la prestazione di consenso tra le
parti; in effetti, l’orario di apertura al pubblico non è mai stato oggetto
diretto dei contratti collettivi;
b)
l’orario di lavoro, in quanto incidente sulla
prestazione lavorativa dei dipendenti, si presta a relazioni sindacali più
intense, per quanto la disciplina dell’orario di lavoro sia fortemente
influenzata ed etero determinata proprio dall’orario di servizio e dall’orario
di apertura al pubblico.
Nel precedente sistema delle
relazioni sindacali, dunque, si nota che:
1. l’orario
di lavoro era oggetto di una non meglio precisabile relazione sindacale
consistente nel cosiddetto “esame”;
2. la
flessibilità oraria era specificamente oggetto di “negoziazione decentrata”
come strumento di welfare;
3. l’orario
di servizio era oggetto (correttamente) di concertazione e non di contrattazione.
Tuttavia, a minare il campo già
particolarmente complesso della disciplina dell’orario stava l’articolo 4,
comma 2, lettera m), del Ccnl 1.4.1999, che attribuiva alla relazione della
contrattazione decentrata la materia dei “criteri generali per le politiche
dell’orario di lavoro”: una definizione molto vaga, che si prestava certamente
alle interpretazioni più diverse.
Alla luce delle norme vigenti,
per “politiche dell’orario di lavoro” non si poteva che dare una visione
restrittiva: sostanzialmente, la materia si sarebbe dovuta intendere solo come
contrattazione su misure di conciliazione delle esigenze lavorative con
particolari esigenze specifiche dei lavoratori, familiari e di cura.
Molte volte, invece, i sindacati
hanno proposto ed ottenuto una visione altamente ampliativa della definizione,
considerandola come materia comprendente l’obbligo di contrattare sull’intera
determinazione degli orari di lavoro, comprendendovi anche quelli di servizio,
la flessibilità, i turni e qualsiasi altro aspetto.
Col Ccnl 21.5.2018 questi
problemi sono definitivamente risolti. In materia di orario di lavoro le
relazioni sindacali ammesse sono solo due e, cioè:
1.
il “confronto” ai sensi dell’articolo 5, comma 3,
lettera a), che comprende la materia dell’articolazione delle tipologie
dell’orario di lavoro.
2.
la contrattazione, ai sensi dell’articolo 7, comma 4,
lettere p) “i criteri per l’individuazione di fasce temporali di flessibilità
oraria in entrata e in uscita, al fine di conseguire una maggiore conciliazione
tra vita lavorativa e vita familiare”; q) “l’elevazione del periodo di 13
settimane di maggiore e minore concentrazione dell’orario multiperiodale, ai
sensi dell’art. 25, comma 2” ;
r) “l’individuazione delle ragioni che permettono di elevare, fino ad ulteriori
sei mesi, l’arco temporale su cui è calcolato il limite delle 48 ore
settimanali medie, ai sensi dell’art. 22, comma 2” ; “s) l’elevazione del limite
massimo individuale di lavoro straordinario ai sensi dell’art. art. 38 del CCNL
del 14.9.2000”;
Sparisce la materia oggetto di
contrasti interpretativi ed operativi delle “politiche dell’orario di lavoro”.
Dunque, indubbiamente il nuovo
contratto non presta più il fianco a relazioni sindacali di tipo consociativo.
Il datore di lavoro pubblico farà il suo mestiere, assumendo direttamente la
responsabilità unilaterale di definire tutte e tre le tipologie dell’orario di
lavoro: quello di servizio, quello di apertura al pubblico e perfino l’orario
di lavoro, che d’altra parte dipende strettamente dai primi due, nessuno dei
quali è soggetto ad alcuna relazione sindacale.
Il confronto è richiesto
esclusivamente per approfondire con le organizzazioni sindacali le modalità di
articolazione delle tipologie dell’orario di lavoro, che, ai sensi
dell’articolo 22, comma 4, sono:
a) orario flessibile: si realizza
con la previsione di fasce temporali entro le quali sono consentiti l’inizio ed
il termine della prestazione lavorativa giornaliera, secondo quanto previsto
all’art. 27;
b) turnazioni: che consistono
nella rotazione ciclica dei dipendenti in articolazioni orarie prestabilite,
secondo la disciplina dell’art. 23;
c) orario multiperiodale:
consiste nel ricorso alla programmazione di calendari di lavoro
plurisettimanali con orari superiori o inferiori alle trentasei ore settimanali
nel rispetto del monte ore previsto, secondo le previsioni dell’art. 25.
Dunque, gli orari flessibile, in
turno e multiperiodale, vengono determinati dal datore di lavoro
unilateralmente, che, però, è tenuto ad attivare con le organizzazioni sindacali
il confronto, allo scopo di acquisire indicazioni, osservazioni e proposte
utili per la migliore determinazione possibile di queste articolazioni orarie,
fermo restando che, poiché il confronto non si conclude con la sottoscrizione
di accordi, la decisione finale resta comunque in capo al datore.
L’articolo 22, comma 3, del Ccnl
ricorda che le articolazioni dell’orario di lavoro (oggetto di confronto)
debbono rispettare i seguenti criteri:
- ottimizzazione dell’impiego
delle risorse umane;
- miglioramento della qualità
delle prestazioni;
- ampliamento della fruibilità
dei servizi da parte dell’utenza;
- miglioramento dei rapporti
funzionali con altri uffici ed altre amministrazioni.
La relazione della contrattazione
si limita ad aspetti specifici della disciplina dell’orario di lavoro:
a)
i criteri per determinare le fasce di flessibilità,
allo scopo di accentuare la qualificazione della flessibilità come misura di
“welfare” utile per il singolo dipendente; pertanto, posto che la flessibilità
non può incidere negativamente sull’orario di apertura al pubblico e, quindi,
deve obbedire al criterio della concentrazione in tempi che consentano la
presenza di tutti i dipendenti al momento dell’attivazione della ricezione dei
cittadini, magari permettendo specifici benefici orari per situazioni
individuali particolari (esigenze di cura di familiari o di trasporti pubblici
e simili);
b)
l’elevazione dell’orario multiperiodale, che ovviamente
incide molto sulla posizione soggettiva dei dipendenti inseriti in servizi
coinvolti in questa tipologia oraria;
c)
l’incremento dell’arco temporale nel quale valutare il
limite delle 48 ore settimanali medie, incidente anch’esso in modo
significativo sulla sfera soggettiva del lavoratore;
d)
l’elevazione del limite di straordinario, da concordare
in relazione alle esigenze lavorative del settore nel quale la prestazione
straordinaria possa essere richiesta.
Il nuovo sistema delle relazioni
sindacali, quindi, si presenta più chiaro e rigoroso, delimitando
tassativamente due sole relazioni sindacali e delimitando in modo stringente le
materie che ne sono oggetto, così eliminando in radice ogni possibilità di
ingerenza sindacale su questioni che non possono non attenere, prevalentemente,
alla discrezionalità datoriale.
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