domenica 23 settembre 2018

L’irrefrenabile voglia di spoil system del governo del non cambiamento



Nel tanto debole quanto inopportuno editoriale che il direttore de Il Fatto Quotidiano dedica il 23 settembre 2018 alla difesa dell’inaccettabile audio di Rocco Casalino contro i funzionari del Mef c’è un solo elemento condivisibile. Si tratta della certezza, derivante da esperienza diretta del giornalista, che l’attuale portavoce del Presidente del Consiglio non è sicuramente il primo a predicare epurazioni varie contro chi si presume “remi contro”, utilizzando toni forti (anche se non necessariamente il turpiloquio).

Travaglio nell’editoriale “Pirla con tartufi” si chiede se chi ha diffuso l’audio “non voglia farci credere che i portavoce di precedenti ministri, premier, capi dello Stato non inviavano messaggi simili”, concludendo così: “Ora però l'operazione trasparenza su Casalino è partita e non vorremmo che si fermasse a lui. I colleghi che menano scandalo sull'audio di Rocco diano una controllata ai loro cellulari: vedi mai che conservino qualche succoso messaggio di Renzi, o dei suoi garruli portavoce, o di quelli di Napolitano, o di Mattarella, o di B. Un giorno Filippo Sensi invitò la libera stampa a "menare Di Battista", ma sbagliò indirizzo e la cosa si venne a sapere. Ora i neofiti della trasparenza potrebbero trovare altro materiale interessante. Che so, autorevoli inviti a manganellare Di Matteo, Ingroia, Woodcock, Giannini, Floris, la Gabanelli, la Berlinguer, o più di recente Savona, o più addietro Biagi, Luttazzi, Santoro, Freccerò... Coraggio, ragazzi: date fondo agli screenshot e pubblicate tutto. Così vediamo quanti Casalino ci sono in giro (anche più efficaci di lui, visto che le epurazioni degli altri, diversamente dalle sue, si avveravano)”.
La circostanza che anche nel passato dalle “fonti” dei giornalisti potessero giungere inviti a varie “bastonate mediatiche” ai personaggi di volta in volta considerati scomodi, non giustifica certo in alcun modo l’intemerata del portavoce del premier. Non solo per il fatto in sé, grave nel metodo, nel linguaggio e nel merito; ma, soprattutto, perché chi predica “il cambiamento” dovrebbe essere in grado proprio di cambiare esattamente le pessime abitudini del passato.
Un vero cambiamento, allora, dovrebbe basarsi su una scelta molto chiara: abolire per sempre il deleterio spoil system che vige in Italia.
La scomposta dichiarazione di Casalino trae certamente forza dalla convinzione che hanno tutti gli esponenti politici di potere e dovere disporre a proprio piacimento delle compagini “tecniche”, di poterle nominare e far decadere come e quando vogliono, sulla base di un semplice rapporto di “fiducia”.
Una convinzione, questa, del resto propria anche del direttore de Il Fatto, che nell’editoriale richiamato la esprime (e non è la prima volta) con molta nettezza: “se alcuni tecnici del Mef sabotano le riforme del "cambiamento" democraticamente votato dagli elettori, il premier o un ministro spiega chi e perché non gode più della fiducia del governo, e lo sostituisce. Com'è suo diritto e dovere fare, non trattandosi di figure "terze" di garanzia, come i magistrati, le Authority e i giornalisti, ma di esecutori tenuti a obbedire a direttive politiche”.
Questa è la visione comune a tutte le forze politiche grazie alla quale da oltre 25 anni in Italia vige ed impera lo spoil system, una vera e propria piaga della pubblica amministrazione, senza che mai nessuno abbia avuto l’intenzione di porvi rimedio, abolendolo o, meglio, circoscrivendolo alle sole figure per le quale il rapporto “di fiducia” ha giustificazione e senso.
Nelle poche righe dell’editoriale del direttore de Il Fatto si condensano tutti i modi di pensare e di agire, spicci ed infondati, che caratterizzando da troppi decenni i rapporti tra politica e civil servant. Il cocktail è completo: la convinzione che l’elezione dia poteri speciali, al di sopra delle regole e della tecnica; la persuasione che il rapporto tra organi politici ed amministrativi non si fondi sulla competenza, ma sulla “fiducia”, intesa come prova inconfutabile di “fedeltà” ed appartenenza; la sicurezza di un diritto di disporre “degli uomini”, invece che delle “regole”, per far sì che siano i primi ad intervenire a prescindere dalle seconde, come scorciatoia per giungere prima ai risultati politici, senza passare appunto per le modalità imposte dalla legge, spesso descritte come “liturgie” o “appesantimenti burocratici”, che, per altro, sono nel 99% dei casi imposti proprio dalla politica che legifera ed imposte all’apparato tecnico; infine la convinzione che i tecnici siano “esecutori”, privi di qualsiasi autonomia e, quindi, “tenuti ad eseguire” le direttive politiche.
Questo insieme di persuasioni produce, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al più piccolo degli enti locali, un sistema di pressione della politica sull’apparato amministrativo, condito da un linguaggio che sindaci, assessori, consiglieri e loro “staff” esprimono con toni spessissimo per nulla diversi da quelli utilizzati da Casalino. Un sistema di pressione finalizzato ad indurre il “burocrate” a “fare come dico io”, a prescindere dai modi, dai tempi, dalle regole, imposte dalla normativa; perché se si evidenzia la necessità di rispettare quei modi, quei tempi, quelle regole, a parte il primo degli epiteti sprezzanti “lei si comporta da burocrate”, piovono gli insulti e le minacce di “vendette” eseguite attraverso la “cacciata” e la “revoca dell’incarico”, perché così agendo, nel rispettare le regole, “non si merita la fiducia” e, soprattutto, “si boicotta”.
I padri costituenti, per evitare che la Pubblica Amministrazione si trasformasse in un esercito di servi sciocchi, schierati politicamente con la maggioranza di turno (nel ’47 il ricordo di uno Stato totalitario era ancora molto vivo), inclini, dunque, a dimostrare fedeltà e adusi solo ad “eseguire”, disposero due norme semplicissime: gli articoli 97 e 98 della Costituzione. Il primo, finalizzato ad imporre il reclutamento dei dipendenti pubblici solo mediante concorso, allo scopo di scongiurare il pericolo di riempire le schiere del pubblico impiego solo con “tesserati”; il secondo finalizzato a chiarire che i pubblici dipendenti non debbono avere nessun rapporto né di fedeltà, né di fiducia con le maggioranze politiche pro tempore al potere. L’articolo 98 è lapidario e chiarissimo: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. I pubblici dipendenti, scrive la Carta, che tanto Il Fatto ha giustamente difeso dai recenti attacchi, non sono al servizio di questo o quel partito, presidente, sindaco, assessore, consigliere, ma della Nazione, cioè di tutti ed in quanto servitori della collettività debbono agire sì nel rispetto di direttive politiche da loro non espresse, ma ovviamente formate dalla politica, ma nel rispetto dell’altro fondamentale precetto della convivenza civile: il comma 2 dell’articolo 97, che impone alla Pubblica Amministrazione non di “eseguire” i desiderata della politica, anche se contrari alle regole ed ai vincoli ordinamentali, ma nel rispetto della legge “in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”.
Un primo, concreto e reale segnale di “cambiamento”, allora, dovrebbe consistere nel rileggere queste semplici norme della Costituzione e comprendere una volta e per sempre l’insegnamento che la Corte costituzionale ha espresso a partire dal 2007 (con un certo oggettivo ritardo): lo spoil system è incostituzionale.
Ma, non appare un caso che mente il portavoce della Presidenza del consiglio evidenzi, invece, una voglia sfrenata di spoil system, col tutto il peso delle inefficienze e dei ricatti che ne derivano, la riforma della PA varata da Palazzo Vidoni e assunta come ispirata alla “concretezza”, non si sogna nemmeno di mettere mano allo spoil system per eliminarlo.
Anche il governo “del cambiamento” intende tenersi stretto una leva di puro e semplice potere. Il ricatto e la vendetta contro il Mef, poi (anche se magari non destinati a finire in porto) sono la conseguenze delle gravissimamente erronee convinzioni sintetizzate prima.
Lo spoil system dovrebbe essere limitato alle sole figure che formano l’indirizzo politico: gli organi politici stessi, dunque, ed i loro ristrettissimi staff: il capo di gabinetto, i consiglieri economici, legislativi e di politica estera; i direttori e i segretari generali dei ministeri se chiamati a contribuire alla formazione di atti di indirizzo politico; i portavoce e gli addetti stampa; i capi della segreteria politica.
In Italia da oltre 25 anni, invece, si tende ad estendere lo spoil system a qualsiasi livello della dirigenza e perfino dei funzionari. La politica, tanto statale quanto locale, vuole fermamente disporre a proprio piacimento degli incarichi anche di chi è chiamato a tradurre l’indirizzo politico o politico amministrativo in attività gestionale ed operativa, senza, quindi, avere nessun ruolo nella formazione dell’indirizzo. Ecco, quindi, che da 21 anni i segretari comunali sono vittime della forma di spoil system probabilmente più selvaggia ed incontrollata dell’ordinamento, mentre norme assolutamente contrastanti con gli articoli 97 e 98 della Costituzione, come gli articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 e 110 del testo unico degli enti locali, consentono alla politica di attingere dirigenti e funzionari da fuori, con reclutamenti per pura cooptazione, creando una dirigenza “parallela” e “di fiducia”, che spesso inquina l’attività, in quanto questa è incline ad agire per “fedeltà”, sichè nello stesso ente si crea il cortocircuito. Una parte della dirigenza agisce nel rispetto del corretto rapporto con la politica, in ossequio alla Costituzione; un’altra parte, al contrario, “esegue” per fedeltà ed appartenenza. Sicchè, poi, i risultati operativi sono incoerenti, non coordinati, mentre il politico di turno è portato a vedere nell’organizzazione l’esistenza di “boicottatori”, contrapposti ai “bravi”, che tali sono sostanzialmente per tessera e per la capacità di simulare la gestione, mentre in realtà fanno politica esattamente in contrasto frontale con gli articoli 97 e 98 della Costituzione.
E’ per questo che nel merito le parole di Casalino sono molto gravi: esse sono la prosecuzione di un sistema decennale, che ha avuto esiti sin qui devastanti. Sono figli dello smodato spoil system gli incarichi incostituzionali dei dirigenti delle Agenzie, la possibilità che a capo del Dipartimento legislativo vada un vigile urbano, la politicizzazione estrema degli incarichi dei primari ospedalieri, la possibilità che protagonisti di scandali come Mafia capitale abbiano ricevuto continuamente incarichi dirigenziali presso comuni, province e persino ministeri.
Gli sconquassi del sistema sono ben espressi dal professor Sabino Cassese nell’articolo “I custodi dei conti in trincea” pubblicato il 21 settembre su Il Corriere della sera, proprio a proposito delle pressioni sul Mef, poi comprovate dall’audio del Casalino: “Si conferma così l'atteggiamento del governo nei confronti dei titolari di uffici pubblici di ogni specie, ministeri, autorità indipendenti, agenzie: cambiare gli uomini per adattare le regole dello Stato alle promesse fatte in campagna elettorale da un partito. Questo tipo di minacce ha un duplice effetto. Uno diretto, quando la minaccia diventa realtà, e il governo riesce a nominare propri fedeli. Uno indiretto, quando la minaccia non può trovare attuazione e rimane un mero avvertimento. In questo secondo caso, crea un clima generalizzato di timore, quello di poter perdere il posto, ed ha un effetto di fidelizzazione sui funzionari meno capaci o con più debole spina dorsale”.
E’ questo quello a cui deve puntare uno Stato? E’ così che si vuole assicurare il “cambiamento”?
E’ lo stesso Cassese ad evidenziare che l’intollerabile spoil system va avanti esponendo lo Stato a questi disservizi da decenni: “Emerge qui un errore madornale del centro sinistra, confermato dal centro destra, quello di aver iniziato l'epoca degli spoils system , ora divenuti una vera e propria famiglia di istituti, tutti ispirati all'idea che i politici, nello Stato, nelle regioni e negli enti locali, non debbano soltanto dare gli indirizzi, ma possano anche sostituire gli uomini. Il sistema per cui il vincitore politico prende le spoglie dell'avversario vinto, introdotto sul finire dello scorso secolo, e finora gestito con discrezione, ha mutato il modello costituzionale del funzionario pubblico imparziale, perché così ogni nuovo governante nomina i propri fedeli, come se non bastassero gli uffici di «staff», cioè i gabinetti ministeriali, che cambiano di regola col passaggio degli esecutivi. Non ultimi inconvenienti della sistematica interferenza della politica nei posti amministrativi sono il vestito d'Arlecchino che il frequente ricambio dei governi produce, la perdita di tecnici che hanno esperienza e conoscono i precedenti, lo sconcerto e la frustrazione che questi ricambi producono nei più giovani, che vedono arrivare sulla loro testa, nei posti ai quali essi aspirano, persone nominate dall'esterno o da altri uffici interni, per meriti politici”.
Certo, desta un particolare fastidio la circostanza che Cassese, come la grande stampa, si stia accorgendo solo ora dei guai dello spoil system. Queste voci di allarme non erano per nulla presenti due anni fa, quando l’allora inquilina di Palazzo Vidoni, Marianna Madia, varò un decreto legislativo che avrebbe esteso esponenzialmente i guai dello spoil system denunciati lucidamente (ma con gravissimo ritardo) da Cassese, attraverso l’istituzione di un deleterio ruolo unico, al quale i politici avrebbero potuto attingere per incaricare a proprio piacimento i dirigenti, con l’attribuzione alla politica – soprattutto – del potere comunque di incaricare comunque persone esterne ai ruoli e di licenziare senza giusta causa, senza riferimento alcuno a risultati e valutazione, i dirigenti di ruolo.
Il fastidio è accentuato dalla circostanza che, ora, ci si accorge del venticinquennale errore del centro sinistra, non perché si tratti di un errore oggettivo, ma perché si è capito che lo spoil system è un’arma a doppio taglio. E’ andato bene a tutti, finche un duopolio ha governato, alternandosi al potere negli scorsi decenni, senza nemmeno scontrarsi troppo tra loro; tutto si teneva e la presenza di un equilibrato numero di cooptati nei gangli dell’amministrazione faceva comodo, in un patto di sostanziale non belligeranza.
Ma, il consenso è mobile ed il 4 marzo 2018 il duopolio si è spezzato. Una nuova maggioranza è sorta e può rompere quegli equilibri. Le parole di Casalino, l’editoriale di Travaglio rivelano i difetti inaccettabili dello spoil system che, adesso, nelle mani di forze ellittiche al sistema dimostra quanto possa essere nocivo, nei toni, negli obiettivi, nelle scelte. Mentre, lo si ribadisce, si avvia una riforma della PA capace solo di continuare negli slogan sui “furbetti”, ma per nulla interessata ad affrontare il problema del corretto rapporto tra politica e apparato.
Non ci si è ancora resi conto che gli errori si pagano. 25 anni di riforme “epocali” della PA che hanno fatto solo sconquassi legittimano i Casalino a “pretendere” che i tecnici del Mef trovino la Luna nel pozzo, a dispetto delle regole e delle corrette modalità operative.
Chi “pretende” i miracoli pensa, come spiega Cassese, che occorra agire sugli uomini, per aggirare le regole. Così si può crogiolare evitando di pensare che esistono vincoli europei discendenti da trattati sottoscritti, vigenti e da rispettare; che il bilancio pubblico è, in fondo semplicissimo: circa 830 miliardi di spese, di cui circa 350 per pensioni, 170 per personale, 110 per appalti di forniture e servizi, 60 per altre spese correnti varie, 70 per interessi e 70 per investimenti; che la spesa pubblica, per quanto in costante aumento, è sempre inferiore alle entrate, dal momento che l’Italia ha avuto praticamente sempre consistenti avanzi primari (maggiori entrate, rispetto le uscite, non considerando la spesa per interessi).
Il Mef è l’organismo statale che queste realtà e cifre conosce e poiché fa parte dell’esecutivo, deve appunto eseguire. Cosa? Le leggi. Quelle spese hanno tutte come fonte disposizioni di legge da rispettare, per tenere fede agli adempimenti che il Legislatore, libero nei fini, ha stabilito. Possono essere disposizioni normative che piacciano o piacciano meno: ma, i tecnici del Mef non possono fare finta che non esistono.
Non si “trovano” 10 miliardi (o 5 o 20 o 100), così, per “pretesa”. Il primo compito del Mef è garantire che le norme siano rispettate.
Spetta alla politica modificare eventualmente la composizione delle spese, per modificarne anche le destinazioni. Si tratterebbe di un compito semplice se lo Stato non avesse un carico di debiti così forte e non fosse appunto tenuto a tenere le spese primarie ben al di sotto delle entrate.
Invece, è un compito molto complesso. I tecnici del Mef non sono lì a “boicottare” nessuno. Eseguono il proprio dovere.
Invocare lo spoil system per “vendetta” nei confronti di chi adempie il proprio dovere è davvero l’ultimo stadio di una china purtroppo insensatamente avviata 25 anni fa e che solo una casuale sentenza della Consulta, che ha stoppato il definitivo sconquasso che sarebbe derivato dalla tragica riforma Madia, ha scongiurato.
La “fiducia” nel programma e nella convinzione che nelle pieghe del bilancio vi siano i denari per riformare la Fornero ed attivare il reddito di cittadinanza non va risposta nei tecnici, il cui dovere è rispettare le norme. La “fiducia” va risposta nel Ministro Tria e negli altri componenti del Governo i quali, nell’ambito delle ristrettezze delle scelte, debbono appunto scegliere. I 10 miliardi per il reddito di cittadinanza non si creano dal nulla: questo è la realtà che i tecnici del Med non possono sottacere.
Se negli scorsi anni un difetto grave può essere imputato a quei tecnici, come a tutti gli altri, è stato proprio quello di dare la sensazione che le regole possano appunto essere aggirate, che vi sia sempre una “flessibilità” dei conti, un condono, un’ideona capace di finanziare spese anche bislacche.
I 10 miliardi che Casalino rimprovera il Mef di non voler reperire, sono lì pronti, su un piatto d’argento: sono la spesa del tutto inutile per gli 80 euro (per altro finanziata in deficit). Perché il governo non si sente di modificare la destinazione di queste risorse? Non sarebbe un problema tecnico e il Mef non avrebbe nulla da opporre ad un disegno politico di tale tipo.
Ma, i giornali da tempo danno conto dei contrasti nella maggioranza sul modo col quale finanziare il complicato ed ambizioso programma. Tuttavia, la responsabilità sulle mancate scelte forti per finanziare il programma è solo politica. Il cambiamento consisterebbe anche nel coraggio di non cercare capri espiatori o scorciatoie, ma nel guardarsi in faccia e trovare la forza di affrontare anche crisi di consenso, modificando con direttive politiche scelte politiche, in modo chiaro e conforme comunque alle regole: a quel punto, nessuno può boicottare. Lo spoil system confonde solo le acque, inquina e convince che con le “pretese” e le “vendette” i desideri politici siano realizzati, anche se contrastanti con le regole. Eliminando questo modo deleterio di intendere l’amministrazione si farebbe un vero primo passo in avanti verso modi virtuosi di governare.


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