In questi giorni assistiamo a due fenomeni legati alla legge di bilancio per il 2019. Da un lato, la reiterazione dell'abitudine ormai pluriventennale dei governi di formulare la legge di bilancio all'inizio della sessione (ottobre) con un testo destinato ad essere stravolto dal solito maxiemendamento, sul quale poi si chiede la fiducia, strozzando qualsiasi possibilità di dibattito parlamentare ed un voto consapevole. Questo fenomeno, che ribadisce, si verifica da oltre 20 anni, risulta particolarmente accentuato nel 2018, poichè il testo del maxiemendamento è stato stilato solo nella giornata di sabato 22 dicembre e posto in votazione in fretta e furia al Senato, senza la possibilità per i senatori di avere effettiva cognizione degli oltre 1.100 commi e delle 270 pagine complessive.
Dall'altro lato, per la prima volta si nota una estesa ed ampia critica da parte della stampa e di tanti osservatori a questa prassi, come mai verificatosi nei 20 anni precedenti.
Eppure, al netto dell'aggravamento netto ed evidente della prassi per la legge di bilancio 2019, elementi per criticare questo modo di procedere ed evidenziare l'esautorazione del Parlamento ve n'erano da tanti e tanti anni.
Non ci si rende conto che quando le èlites politiche e la classe dirigente, gli intellettuali e la stampa, come anche gli stessi partiti, lascino passare in sottofondo abitudini che ledono le prerogative del Parlamento, si sedimenta nei cittadini la convinzione che modi di procedere come quelli ai quali si sta assistendo, la forzatura dei tempi e dei modi per approvare una legge importantissima come quella di bilancio, siano tutto sommato normali, quando non addirittura dovuti.
Non solo: prassi (pessime) che si reiterano nel tempo, finiscono sempre per indurre i nuovi governi ad esasperarle ulteriormente, nella ricerca affannosa di un decisionismo che somigli alle "sentenze" emesse alla velocità della luce e senza appello nei social network.
E' evidente la riduzione del Parlamento ad un mero ratificatore di decisioni adottate, con grande confusione e fretta dal Governo, con la conseguente lesione dei principi minimi di rappresentanza e potenziali problemi di legittimità costituzionale (messi in evidenza da Uge De Siervo in un'intervista rilasciata a La Repubblica del 24 dicembre 2018).
Non si può, tuttavia, non analizzare il perchè si è arrivati a tutto questo. E la ragione è fin troppo evidente e scomoda: la tolleranza pluriventennale alla prassi di leggi di bilancio approvate a colpi di fiducia con maxiemendamenti, sempre più dell'ultima ora, ridotti oggi praticamente all'ultimo secondo.
La sottolineatura di queste ore, da parte dei giornali, della grave esautorazione del Parlamento è, purtroppo, tanto corretta quanto troppo tardiva. Mai negli anni scorsi si sono letti interventi così marcatamente censori di questo pessimo modo di legiferare, che è stato equamente posto in essere dalle forze di maggioranza che in quei medesimi anni si sono alternate.
Intellettuali, èlites, partiti, stampa sembra proprio che negli anni precedenti si siano limitati solo a qualche timido rimbrotto di una prassi fondamentalmente condivisa e considerata irrinunciabile. Salvo, evidenziarne troppo tardi gli effetti nefasti, nel momento in cui una forza politica diversa ha fatto irruzione a scompigliare equilibri ventennali.
Da parte di alcuni si afferma che questo modo di adottare la legge di bilancio conferma la crisi del Parlamento e svela la necessità di una riforma della Costituzione, quella riforma che era stata già proposta, ma che poco saggiamente è stata respinta dal 60% dei votanti.
E' da ricordare, tuttavia, che quella riforma era orientata esattamente a prendere atto dell'esautorazione del Parlamento e rendere tale evento parte specifica del "sistema". La riforma costituzionale, in merito proprio alla legge di bilancio, avrebbe rimesso esclusivamente alla Camera il potere di approvarla, mantenendo ovviamente in piedi la possibilità di stravolgerla col maxiemendamento e la fiducia, da porre, per altro, solo alla Camera e non al Senato. Quest'ultimo non averebbe potuto fare altro se non proporre modifiche entro 15 giorni dalla sola prima approvazione alla Camera.
La riforma, lungi dal preservare le prerogative del Parlamento, avrebbe reso ancora più semplice per il Governo annullare qualsiasi dibattito, limitando ad una sola camera il potere concreto di approvare la legge di bilancio. Almeno, con l'attuale ordinamento, la seconda lettura alla Camera potrebbe in teoria supplire all'assenza totale di tempo dato ai senatori per comprendere fino in fondo i contenuti.
Non è difficile immaginare quale ulteriore recrudescenza della prassi giustamente criticata si sarebbe vista se l'attuale maggioranza si fosse trovata a governare con la Costituzione riformata.
Il vulnus al quale si assiste, dunque, viene da lontano ed è stato tollerato e addirittura posto alla base di possibili riscritture della Carta.
Quando si reagisce tardi a fenomeni gravi e preoccupanti, è chiaro che le difese si abbassano. Il popolo è stanco e distratto, non capisce perchè per anni in pochissimi hanno stigmatizzato maxiemendamento e fiducia, mentre solo ora tante voci si levano a criticarlo.
Nell'articolo citato prima, il De Siervo chiama in causa il Presidente della Repubblica, evidenziando che, ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione, potrebbe rinviare alle Camere la legge di bilancio 2019 proprio per il modo con cui ne è stata forzata l'approvazione.
Nessun Capo dello Stato, nei passati 20 anni, ha mai rinviato alle Camere le leggi di bilancio, nonostante fossero praticamente tutte quante state approvate con lo schema visto in questi giorni, solo leggermente meno esasperato; nè si è visto nessun costituzionalista o intellettuale invitare il Presidente della Repubblica ad intervenire con l'articolo 74 della Costituzione. Abbiamo avuto un Presidente della Repubblica che per 9 anni è stato al Quirinale e non risulta abbia assunto alcuna posizione ufficiale nei confronti di questa prassi. Per la prima volta ha espresso la propria voce, parlando di "Parlamento umiliato" nei giorni scorsi. Anche in questo caso, tardi. Troppo tardi.
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