martedì 17 marzo 2020

PA. Il protocollo no, non è una funzione indifferibile e che richiede necessariamente la presenza sul luogo di lavoro


L’emergenza Covid-19 sta evidenziando il meglio, ma, purtroppo, anche il peggio della Pubblica Amministrazione.
Sono ancora moltissimi i malintesi, al limite dell’irresponsabilità, sulla corretta applicazione delle norme governative, il cui scopo è la prevenzione dal contagio, attraverso l’imperativo di lasciare quanto più possibile a casa i dipendenti, attivando il lavoro agile come modalità ordinaria di svolgimento del lavoro.

Nonostante il lavoro agile sia disposto e imposto ex lege, moltissimi appartenenti alla cerchia dei burocrati abbarbicati alle mezze maniche, al calamaio, al pennino e alla carta carbone, stanno ancora gestendo il tutto come se i dipendenti dovessero presentare “regolare istanza, sottoscritta in calce” di lavoro agile, alla quale “per il seguito di competenza” possa o meno conseguire un “provvedimento di concessione, debitamente sottoscritto”.
Non è affatto così! Se un provvedimento espresso serve, è quello che, motivatamente, individua quali dipendenti non possono essere applicati al lavoro agile, in quanto svolgano una funzione indifferibile e che richiede necessariamente la presenza sul luogo di lavoro.
Nel trionfo della più vieta burocrazia, è diffusissima l’idea che il “protocollo” richieda necessariamente la presenza sul luogo di lavoro. Come fosse, insomma, la funzione di curare i malati, assisterli infermieristicamente, o garantire l’ordine pubblico, la protezione civile, o produrre mascherine e ventilatori polmonari, o gestire trasporti e logistica, far funzionare le farmacie, far funzionare i servizi di sepoltura, rifornire i negozi e gestirli.
E’ un’idea semplicemente senza basi. Che si fonda, platealmente, sull’arretratezza organizzativa e telematica e su una concezione del tutto erronea del procedimento amministrativo.
E’ diffusissima la convinzione che i provvedimenti “esistano” in quanto “protocollati”. Non è per nulla così. Il provvedimento amministrativo produce effetti a prescindere dal protocollo, che è esclusivamente una registrazione posta a comprovare che un certo documento è conservato presso l’archivio dell’amministrazione. Allo stesso modo, la segnatura di protocollo in entrata non fa scattare i termini procedurali, che discendono dalla data di materiale acquisizione del documento, che nel caso delle pec è quella della ricezione e conferma, non quella della protocollazione.
Sistemi di protocollazione rispondenti al Dpr 445/2000 e al d.lgs 82/2005 e alle rispettive regole tecniche, debbono essere basati sulla ricezione prevalente delle pec. La presenza fisica di addetti è necessaria solo se i sistemi non sono rispondenti a quelle norme. Perché, se lo fossero, basterebbe mettere in linea i gestionali o comunque attivare l’inoltro delle pec a caselle di mail ordinaria istituzionali.
Resterebbe la ricezione e movimentazione della corrispondenza cartacea. Ma, l’articolo 99 del d.l. “cura Italia” sospende tutti i procedimenti amministrativi dal 23 febbraio al 15 aprile.
Dunque, anche i sistemi di protocollo colpevolmente arretrati e non funzionali, non hanno, in questa fase, alcuna particolare necessità, visto che i termini sono sospesi. La raccolta e conservazione della posta (cartacea), con sagge previsioni organizzative, può essere demandata a chi davvero svolge funzioni indispensabili. Per la successiva protocollazione e messa in produzione delle pratiche, c’è tempo.

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