La battaglia di retroguardia dei
sindacati delle federazioni del pubblico impiego finalizzata ad impedire la
fruizione delle ferie 2020 è particolarmente curiosa, soprattutto perché totalmente
antitetica alla battaglia che gli stessi sindacati svolgono nel privato. Nel
pubblico, oggetto della “lotta” è la rivendicazione del diritto di “non fare le
ferie” e di collezionare un “cumulo” di ferie, non si capisce a che fine; nei
settori privati aperti, nei quali si lavora a regime e con molte oggettive situazioni
di rischio contagio la richiesta è opposta: allo scopo di esporre il meno
possibile i lavoratori al rischi, in quel caso si perora la causa della più
estesa fruizione possibile delle ferie.
Basterebbe questa semplice
osservazione per soppesare per quel che è la “battaglia delle ferie” nel
pubblico impiego. Una profusione di energie davvero degna di miglior sorte.
E sorprende e dispiace molto che il
Ministero della Funzione Pubblica, probabilmente preoccupato di non aprire fronti
di scontro, in maniera sempre più evidente assecondi pretese sindacali, per
nulla basate su fonti e disposizioni normative vigenti, nessuna delle quali
impedisce la fruizione di ferie nell’anno in corso, sia in smart working, sia
come misura preventiva all’eventuale esenzione.
Di certo, sia l’articolo 87, comma 3,
del d.l. 18/2020, laddove, sciaguratamente, si è affermato semplicemente l’ovvio
qualificando il sostantivo “ferie” con l’aggettivo “pregresse”, sia,
soprattutto la circolare 2/2020 della Funzione Pubblica ed il successivo
Accordo con del 3 aprile 2020 non aiutano alla linearità, pur possibile.
Soffermandoci sull’articolo 87, non
si può non osservare come il legislatore abbia indicato l’ovvio e non di più. E’,
infatti, del tutto scontato, naturale, necessario, obbligatorio, vi sia o meno
un’emergenza coronavirus o di altro tipo, che i lavoratori, tutti, siano in
lavoro agile, siano, invece tra quelli che non possano essere adibiti a
funzioni essenziali da svolgere in presenza né possano essere disposti in
lavoro agile, debbano fruire di tutte le ferie entro l’anno e quindi esaurire
le ferie arretrate.
Soffermiamo l’attenzione sul Comparto
Funzioni Locali. L’articolo 28, comma 9, del Ccnl 21.5.2018 dispone: “Le
ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili. Esse sono
fruite, previa autorizzazione, nel corso di ciascun anno solare, in
periodi compatibili con le esigenze di servizio, tenuto conto delle
richieste del dipendente”.
Come si nota, le ferie debbono essere
fruite: quando la norma contiene un precetto il cui verbo è coniugato all’indicativo
presente, ha valore imperativo. Fruire delle ferie non è una facoltà. E’ un
obbligo a carico del datore consentirle, è un dovere del lavoratore espletarle,
è una necessità programmarle tenendo conto delle esigenze organizzative.
Il precetto fondamentale è: fruire
di tutte le ferie spettanti nell’anno solare, entro l’anno solare. Aggiunge
il successivo comma 15 del medesimo articolo 28: “In caso di motivate esigenze di
carattere personale e compatibilmente con le esigenze di servizio, il
dipendente dovrà fruire delle ferie residue al 31 dicembre entro il mese di
aprile dell'anno successivo a quello di spettanza”.
La formazione di
ferie “pregresse”, quindi, costituisce un’eccezione al precetto
fondamentale. La regola è esaurirle tutte e a questo serve la programmazione
annuale richiesta dall’articolo 2109 del codice civile.
La mancata fruizione
di tutte le ferie spettanti nell’anno solare entro l’anno solare, come si nota,
è oltre tutto condizionata da esigenze personali che vanno “motivate”: è
lasciata alla discrezionalità del datore di lavoro, quindi, valutare se sia
possibile un rinvio delle ferie del lavoratore. Ed è implicito che questi debba
comunicare molto per tempo la sussistenza delle esigenze personali sulla base
delle quali consentire la fruizione oltre l’anno solare.
Quindi, l’accumulo
delle ferie “pregresse”, come è facilissimo notare dall’esame delle norme
vigenti, non è né un diritto del lavoratore, né una prassi accettabile. La
formazione di cumuli di decine e decine di giorni di ferie arretrate, che
tuttavia si osserva in maniera troppo diffusa, è, conseguentemente, indice di
continue violazioni normative e contrattuali, cagionate tanto dal datore quanto
dal lavoratore ed indice certo di un’azione gestionale del datore distratta e
male organizzata.
Ecco perchè non è per
nulla un’idea particolarmente originale, quella contenuta nell’articolo 87,
comma 3, del d.l. 18/2020, ove si indica di far precedere l’eventuale esonero
dei lavoratori non utilizzabili per attività indifferibili da rendere in
presenza né collocabili in lavoro agile, a tutti gli strumenti possibili posti
a giustificare assenze retribuite dal servizio, tra cui le ferie pregresse. E’
un’affermazione assolutamente pleonastica, perché queste ferie vanno esaurite
in ogni caso, anche se non vi fosse l’articolo 87, comma 3.
Tale norma, tuttavia,
se letta da chi ha interesse solo a coltivare conflitti o a fare lotte di
retroguardia, ed è abituato a leggere le norme non inquadrandole in un contesto
ordinamentale coerente, ma estrapolandole dal contesto sì da vederle nella sola
parte atomizzata, si presta ad essere utilizzata per un ragionamento sofistico
a proprio uso e consumo.
Infatti, alcune “truppe
d’assalto” sindacali propongono una lettura totalmente distorta della norma,
per trarre da essa la conclusione che alle amministrazioni pubbliche sia precluso
collocare in ferie d’ufficio i dipendenti pubblici. E fanno leva su un’altra
ingenua quanto inopportuna Faq della Funzione Pubblica, la n. 5 del sito: http://www.funzionepubblica.gov.it/lavoro-agile-e-covid-19/faq:
“Per ricorrere all’istituto dell’esenzione dal servizio previsto
dall’articolo 87 del d.l. 18/2020, tra i presupposti, occorre verificare
l’assenza delle ferie pregresse relative all’anno 2019? Si, nonché degli
altri strumenti alternativi fissati dalla norma. Per ferie pregresse si
intendono quelle del 2019 o precedenti”. Faq che ha preceduto l’inopportuna
circolare 2/2020.
Ma, anche in questo caso il contenuto
“esplicativo” è sostanzialmente nullo. Per ferie “pregresse” si intendono
quelle precedenti? Può darsi che per qualcuno questo sia una “scoperta”. Dalla
quale, come detto, trarre la conclusione, completamente priva di correlazione,
secondo la quale siccome la norma prevede la fruizione delle ferie pregresse,
allora solo quelle il datore di lavoro può imporre.
Conclusione del tutto priva di
fondamento e di utilità, alla luce di quanto visto prima: le ferie
pregresse, in astratto, nemmeno dovrebbero esistere e comunque il loro azzeramento
è un obbligo per tutti i lavoratori, a prescindere dall’articolo 87, comma 3,
del d.l. 18/2020.
E che le ferie possano (e in
alcuni casi, come un’emergenza qual è purtroppo quella nella quale siamo coinvolti,
debbano) essere disposte d’ufficio, adottate le cautele necessarie, è perfettamente
noto ed ammesso da larghissima giurisprudenza. A partire dalla Corte di
Giustizia Ue Sezione X, del 20 luglio 2016 (causa C-341/15): “l’articolo 7,
paragrafo 2, della direttiva 2003/88, come interpretato dalla Corte, non
assoggetta il diritto a un’indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa
da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e,
dall’altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le
ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui tale rapporto è
cessato;
- ne consegue, conformemente all’articolo
7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, che un lavoratore, che non sia stato
posto in grado di usufruire di tutte le ferie retribuite prima della cessazione
del suo rapporto di lavoro, ha diritto a un’indennità finanziaria per ferie annuali
retribuite non godute”.
Il datore, quindi, ha il dovere di
far godere al lavoratore tutte le ferie annuali. Tutte. Come e
quando? “Nel tempo
che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa
e degli interessi del prestatore di lavoro”, risponde l’articolo 2109, comma 2, del codice
civile. “Compatibilmente con le esigenze del servizio, il dipendente
può frazionare le ferie in più periodi. Esse sono fruite nel rispetto dei turni
di ferie prestabiliti, assicurando comunque, al dipendente che ne abbia fatto
richiesta, il godimento di almeno due settimane continuative nel periodo 1
giugno - 30 settembre”, specifica l’articolo 28, comma 12, del Ccnl
21.5.2018.
Dunque, il diritto alle ferie va
armonizzato sempre e comunque con le esigenze dell’impresa, che altro non sono
se non le esigenze di servizio.
Il datore ha un obbligo specifico:
consentire al dipendente, che però deve chiederlo, di godere delle ferie per
due settimane consecutive tra l’1.6 e il 30.9. Negli altri periodi dell’anno
non può esservi dubbio che le ferie sono da programmare in modo che siano effettuate,
tutte, non solo in considerazione di utilità specifiche del lavoratore, ma
anche di esigenze di servizio.
Non è da dubitare che tra le esigenze
del datore di lavoro vi siano anche periodi di “chiusura aziendale”, connesse
ad esigenze produttive oppure organizzative: basti pensare ai periodi delle
prime settimane di agosto o alle festività natalizie. In queste circostanze,
imprese e anche enti che non siano tenuti a svolgere attività, decidono di
chiudere e le ferie dei lavoratori non possono che essere in funzione di queste
chiusure “forzate”. Sono ferie, quindi, certamente decise dal datore. Il
lavoratore potrà avere margini di scelta maggiori per i restanti giorni disponibili.
La fattispecie delle ferie imposte
dal datore, quindi, non è per nulla nuova, né strana, visto che le esigenze di
servizio sono comunque una guida per la programmazione ed effettiva fruizione.
E d’altra parte l’Aran in
merito alla possibilità di imporre d’ufficio le ferie non ha mai avuto dubbi,
come nel parere Ral 1424: l’istituto delle ferie “non dipende, nelle sue
applicazioni, esclusivamente dalla volontà del dipendente.
L'art. 2109 c.c. espressamente stabilisce che le ferie
sono assegnate dal datore di lavoro, tenuto conto delle esigenze
dell'impresa e degli interessi del lavoratore. L'applicazione di tale
disciplina, pertanto, nel caso di inerzia del lavoratore o di
mancata predisposizione del piano ferie annuale, consente all'ente anche la possibilità
di assegnazione di ufficio delle ferie. L’art.2109 c.c. espressamente
stabilisce che le ferie sono assegnate dal datore di lavoro, tenuto conto delle
esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore. L’applicazione di tale
disciplina, pertanto, nel caso di inerzia del lavoratore o di mancata
predisposizione del piano ferie annuale, consente all’ente anche la possibilità
di assegnazione di ufficio delle ferie. Si veda, su tale materia, anche
l’art.10, comma 2 del D.Lgs.n.66/2003”.
E c’è una norma di legge a deporre
ulteriormente per l’immanenza di un potere datoriale di disporre ferie
obbligatorie: è l’articolo
5, comma 8, del d.l. 95/2012, a mente del quale “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni
pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)
ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché
delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società
e la borsa (Consob), sono
obbligatoriamente fruiti secondo
quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso
alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi”.
Sempre l’Aran nel parere Ral 1424
chiarisce: “le situazioni di accumulo nel tempo di diversi giorni di ferie
non godute con conseguente richiesta di monetizzazione all’atto della
cessazione del rapporto di lavoro, devono considerarsi aspetti patologici
della disciplina dell’istituto. Infatti, occorre ricordare che nella
vigente regolamentazione, fermo restando la necessità di assicurare la
fruizione del diritto da parte del dipendente, l’ente, in base, alle
previsioni dell’art.18 del CCNL del 6.7.1995, è chiamato a governare
responsabilmente l’istituto attraverso la programmazione delle ferie”.
E la
giurisprudenza? Una sentenza che ha orientato da 20 anni la giurisprudenza
indica: “il datore di lavoro nell’organizzare i turni di ferie:
“…deve tenere conto anche degli interessi del prestatore di lavoro. In sostanza
l’imprenditore deve organizzare il periodo delle ferie in modo utile per le
esigenze dell’impresa, ma non ingiustificatamente vessatorio nei confronti
del lavoratore e dimentico delle legittime esigenze di questi”
(Sentenza – Sez. Lavoro n. 13980/2000)
Nel momento in cui il datore di
lavoro pubblico è chiamato a riorganizzarsi, per altro in fretta e furia, per minimizzare
la presenza in servizio dei propri dipendenti, è ben evidente che deve
garantire “esigenze di impresa” tali da assicurare che i lavoratori stiano a
casa, si ripete, utilizzando istituti che gli consentano di affiancare alla
misura di distanziamento sociale (in assenza di altri strumenti, le ferie)
anche il diritto alla percezione della retribuzione.
Ed è assolutamente chiaro che, poiché
le ferie “pregresse” non dovrebbero nemmeno esistere e che la loro fruizione è
necessitata non certo dall’emergenza coronavirus, bensì dalla corretta
applicazione delle norme vigenti viste sopra, il datore pubblico dispone senz’altro
del potere di organizzarsi prevedendo “chiusure” anche parziali ed individualizzate,
tali da imporre le ferie al lavoratore, nelle more sia di una complessa e
difficile da motivare scelta di esonero dal servizio (che non è per nulla
automatica e scontata), o di modifica organizzativa, comprendente anche adibizione
a mansioni equivalenti, allo scopo di una mobilità interna del lavoratore,
utile per inserirlo magari in altre attività che possano essere svolte in lavoro
agile rispetto a quelle oggetto del profilo e mansioni possedute.
Non può essere revocato in dubbio
che, quindi, il datore può senz’altro imporre, per le motivazioni descritte, e
quindi in modo assolutamente non vessatorio, la fruizione anche delle ferie del
2020, quanto meno con riferimento alle due settimane per le quali non debba garantire
la fruizione consecutiva tra giugno e settembre.
Ma, la questione non riguarda solo le
ferie come misura obbligata prima di giungere alla scelta estrema e comportante
gravissime responsabilità di esentare i lavoratori[1].
Si estende, in generale, alla fruizione delle ferie 2020 anche per il personale
in lavoro agile.
Come si è visto fin qui, l’articolo
87, comma 3, come anche la circolare 2/2020 e il Protocollo del 3 aprile 2020,
a ben vedere non trattano direttamente della questione delle ferie dell’anno in
corso. Né potrebbero: si tratta di materia, infatti, che l’articolo 2, commi 2
e 3, e 40, comma 1, del d.lgs 165/2001 assegna alla competenza esclusiva della
contrattazione nazionale collettiva. Che l’ha esercitata, nei termini
evidenziati prima.
Tuttavia, le organizzazioni sindacali
sono, adesso, alla carica anche per rivendicare il diritto a non fruire delle
ferie (sic) dei dipendenti in smart working. Perché? Siccome le ferie
sono finalizzate al recupero psico-fisico del lavoratore, in questa fase di
emergenza nella quale il distanziamento sociale e le misure di contenimento non
consentirebbero di fruire delle ferie pienamente, con viaggi, attività
ricreative ed enogastronomiche, culturali e di ogni altra natura, allora la
collocazione in ferie non sarebbe lecita.
Nessuno nega che le ferie abbiano il
fine di un pieno distacco dal lavoro e un recupero psico-fisico.
Ma, l’idea che siccome siamo in
emergenza anti contagio, allora le ferie non sarebbero caratterizzate da quel
medesimo stacco e piacere di viaggiare libero e spensierato del passato, sicchè
non possano essere fruite non ha davvero nessun genere di fondamento.
Non giuridico: la normativa prevede il
diritto/dovere di espletare le ferie, ma non regola – né potrebbe – “come”
ciascuno utilizzi le proprie ferie.
Non sociale. Il ragionamento proposto
dai sindacati potrebbe avere qualche minima valenza appunto solo in tavole
rotonde sulla psicologia sociale del lavoro. Ma non tiene conto di un elemento,
già accennato all’inizio. In questa fase, sono moltissimi i lavoratori del
privato che vorrebbero ardentemente stare in ferie, pur di esporsi il meno
possibile al rischio contagio. E qui è giusto affermare che anche tantissimi
lavoratori pubblici vorrebbero molto qualche giorno di ferie, qui e adesso:
medici, infermieri, operatori socio sanitari, tecnici ed amministrativi di
ospedali e Usl, forze dell’ordine, addetti alla protezione civile, polizia locale,
molti altri che qui non si possono elencare tutti.
Oppure i sindacati hanno l’idea che
siccome si è in smart working, allora le ferie non sono opportune e sono solo
da connettere al lavoro “in presenza negli uffici”? Sarebbe un’argomentazione
da classica zappa sui piedi, la conferma che il lavoro in smart working è,
nella sostanza, una sinecura, tale da non richiedere in questa fase ferie e
recuperi psicofisici connessi.
Sia consentito di considerare davvero
prive di qualsiasi utilità pubblica iniziative già assunte dall’Ispettorato
della Funzione Pubblica, sulla base del Protocollo del 3 aprile 2020 (per altro
nemmeno vincolante) e di richieste sindacali, volte a chiedere “rassicurazioni”
proprio sul Protocollo stesso e, comunque, su questioni che riguardano le ferie
del 2020, rispetto alle quali, vista la loro estraneità alla disciplina dell’articolo
87, comma 3, ogni intromissione dell’Ispettorato è null’altro se non un’ultronea
ingerenza nella gestione del rapporto di lavoro di competenza esclusiva della
parte datoriale. Si è capito che la Funzione Pubblica deve recitare una parte
in commedia per non avere contro le organizzazioni sindacali. C’è, però, un
limite anche al “volemose bene”.
[1]
Torniamo a chiedere: ma, Palazzo Vidoni si è consultato con la Corte dei conti,
prima di teorizzare con la circolare 2/2020 e col Protocollo del 3 aprile 2020
che ai lavoratori esentati vada salvaguardata “la retribuzione complessiva”? E
qualcuno si chiede perché mai un lavoratore non esentato che lavori in attività
indifferibili debba consumare ferie dell’anno in corso, mentre chi è esentato
dal servizio no; con l’effetto paradossale di restare qualche mese a non lavorare
(a stipendio pieno, a differenza di ogni lavoratore in cassa integrazione del privato)
e poi, di tornare al lavoro potendo vantare ancora un altro mese pieno di ferie
da espletare.
Ad ulteriore conferma della validità delle argomentazioni esposte, ricordo anche quanto affermato dall’Aran nel parere AII_140, ove l’Agenzia, nel suggerire all’ente l’adozione di uno specifico, organico e completo piano di smaltimento delle ferie pregresse, suggeriva di procedere parallelamente alla fruizione di quelle dell’anno in corso, così da evitare un nuovo accumulo patologico di ferie arretrate.
RispondiEliminaSaluti
Condivisibilissimo.
RispondiEliminaPremesso che cercare di riportare coerenza in questo guazzabuglio affastellato di norme è tutt’altro che semplice, segnalo che con la lett. hh) dell’art. 1 del DPCM 10 aprile 2020, “si raccomanda …. ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere la fruizione dei periodi di congedo ordinario e di ferie”.
RispondiEliminaSembra dunque cadere il tabù della fruizione delle ferie 2020.
Forse sfugge a tutti voi che lerie servono per esigenze di carattere personale non per risanare i bilanci della P.A. o forse voi siete abituati a passare le vostre ferie agli arresti domiciliari.... MAGARI SIETE SEMPRE STATI INTELLLIGENTI... MA ASINTOMATICI...
RispondiEliminaè evidente che codesto disinformato sintomatico non conosce norme e contratti e che pensa che le ferie siano un patrimonio privato a discrezione dei dipendenti. Non è così. E non è nemmeno necessario che i disinformati sintomatici se ne debbano fare una ragione.
RispondiEliminaPromuovere le ferie pregresse non significa imporle. Di fatto in numerosi enti i dirigenti hanno prima chiesto ai lavoratori di chiedere ferie 2020, per ottemperare alle chiusure causa COvid 19, perchè non avevano capito che la modalità ordinaria era il lavoro agile. NOn hanno pensato di pianificare le ferie 2020 - Loro dovere di dirigenti - Le hanno sottratte d'imperio con effetto retroattivo ai lavoratori. Questa è la dirigenza della pubblica amministrazione spesso reclutata senza concorso per intuito personale di qualche amministratore. Se ne faccia una ragione Lei signor Oliveri
RispondiEliminaUn dipendente pubblico che non conosce le regole contrattuali e le norme e che pensa che le ferie le fa se le vuole e che il datore sia privo di disporle d'ufficio, se qualcuno recalcitra nel programmarle o se vi siano necessità organizzative, è quel tipo di dipendente pubblico che marca di inefficienza la PA. Di questo me ne faccio certamente una ragione, ma spero che questo tipo di dipendente pubblico possa finalmente e presto essere invitato ad accomodarsi nella vita reale.
EliminaHo la sensazione che la dirigenza della P.A., spesso reclutata senza concorso dalla politica, sia funzionale a tenere in vita la costosissima flotta di esperti e consulenti lautamente pagati sempre dalla PA, ossia dai cittadini. Non sarebbe meglio selezionare dirigenti tramite concorsi con tanto di prove scritte, pratiche orali come tutti i dipendenti pubblici? Su questo non si sente mai nessun consulente o esperto stracciarsi le vesti...come mai ?
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