Il tema della ripartenza della vita sociale e dell'economia è fondamentale. Mesi di "reclusione" a casa sono difficili da tollerare, mentre l'economia è messa a prova durissima e la recessione ormai realtà.
Eppure, pare di poter affermare che il vero tema non è tanto "quando" ripartire: è ovvio che si deve poter riaprire il più presto "possibile", ma "come" ripartire.
Il "come", si connette al "possibile" e serve a definire il "quando".
Ora, affermare che per ripartire siano sufficienti le sanificazioni, mascherine e guanti e protocolli di sicurezza, appare quanto mai avventato o eccessivamente ottimistico.
La realtà è una: non si conosce ancora approfonditamente il virus. Non si sa perchè nella maggior parte dei bambini è totalmente asintomatico; non si sa perchè tenda a colpire molto più ferocemente gli uomini rispetto alle donne; non si sa se generi immunità: in realtà, vi sono casi di ritorno al contagio (o casi di esiti dei tamponi non esatti); non si è ancora capito quanto il virus fluttui nell'aria; non si sa quanto e come gli impianti di condizionamento siano sicuri rispetto alla diffusione del virus; non si sa in quale misura la contrazione del virus renda immuni e per quanto tempo.
Allora, il "come" assume rilevanza decisiva. Sembra evidente che il "come" debba tenere conto di alcune evidenze.
Per esempio: la riapertura delle scuole come in tempi normali, a meno che il virus non si autodistrugga, appare molto ma molto complicata. Immaginare di mandare nuovamente i ragazzi nelle classi-pollaio e ad accalcarsi nei mezzi pubblici è semplicemente improponibile.
E, a proposito di mezzi pubblici: si possono incentivare quanto si vuole mezzi di trasporto alternativi, ma non tutti hanno fiato, gambe e tempi di lavoro per spostarsi in bicicletta, skate board o pattini; non tutte le zone sono raggiungibili in questo modo, senza rischiare di essere travolti. I mezzi di trasporto pubblici servono: ma assicurare al loro interno il distanziamento sociale appare velleitario.
Impossibile pensare ad una riapertura normale di bar, ristoranti e di ogni attività ludico-turistica; forse lo sarebbe per musei (molti sono abituati al contingentamento degli afflussi: dovrà divenire una regola, che però abbatterà i guadagni).
A meno che il "come" non preveda la sola misura della mascherina e del protocollo di una sicurezza che non si sa bene, in realtà, come garantire.
Forse, occorrerebbe pensare in modo più problematico: dotare le persone non di questi mezzi basici e di utilità contro il contagio molto controversa, bensì di strumenti ben più efficaci: i caschetti con respirazione filtrata, utilizzati (purtroppo molto poco) nei reparti di terapia da medici e infermieri.
E' eccessivo? Forse, anzi di certo. Ci vorrebbero tempi lunghi per produrli e distribuirli? Senz'altro.
Bisognerebbe capire se questi tempi siano maggiori dell'attesa dell'immunità o del vaccino e se non possa essere un'idea di riconversione di produzioni.
Intanto, quel che si apprende è che in Cina i contagi sono ripartiti, in Svezia hanno finito di irridere l'Italia e stanno per attivare misure anticontagio, in Gran Bretagna il ritmo dei contagi è come quello dell'Italia due settimane fa.
L'altra strada è, ovviamente, azzardare. E fare come la Germania: che tiene tutto aperto. L'unica cosa che ha chiuso è la trasparenza sui dati dei morti. Se va bene così, allora facciamo come a Berlino.
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