domenica 26 aprile 2020

L'esenzione dal servizio non ha nulla a che vedere con la cassa integrazione.

Secondo l'opinione di molti, specie di sindacati del settore pubblico, l'esenzione dal lavoro prevista dall'articolo 87, comma 3, del d.l. 18/2020 è equivalente alla cassa integrazione. Per questa ragione, chi con superficialità, dando mostra di non conoscere la cassa integrazione (per approfondire la cassa integrazione ordinaria, vedi qui; per la cassa integrazione straordinaria, vedi qui; per la cassa integrazione in deroga vedi qui; per la cassa integrazione COVID-19, vedi qui; la disciplina normativa sta nel d.lgs 148/2015), ritiene che sia tutto sommato una formalità banale esentare il personale pubblico dal lavoro.

Le cose non stanno affatto così. L'esenzione prevista dall'articolo 87, comma 3, citato è un'extrema ratio, da attivare solo dopo aver provato ogni possibile alternativa, proprio perchè non ha nulla a che vedere con la cassa integrazione .
Vediamone alcuni motivi. In primo luogo, l'accesso alla Cig non è per nulla automatico: richiede l'autorizzazione del Ministero o delle Regioni o dell'Inps, derivante dalla verifica del ricorrere dei casi nei quali è ammessa, oltre ad un confronto preventivo con le organizzazioni sindacali.
La Cig, inoltre, difficilmente riguarda uno o pochi lavoratori: generalmente riguarda intere linee produttive, se non addirittura in alcuni casi l'intera organizzazione aziendale. Essa è, insomma, connessa a vicende, esogene o endogene, di natura aziendale. L'esenzione dal servizio, invece, è una misura sicuramente ad personam: non riguarda linee di attività, ma specifici dipendenti che per ragioni da dimostrare non sia possibile adibire ad attività indifferibili da svolgere necessariamente in presenza, o non disponibili in lavoro agile.
Il lavoratore privato che attivi la Cig risparmia la spesa connessa al trattamento economico e previdenziale (anche se le aziende talvolta anticipano per cassa il trattamento, lo recuperano poi sui versamenti all'Inps). Questa differenza è fondamentale, perchè, invece, il lavoratore esentato continua a ricevere la retribuzione dalla PA, che, quindi, non incontra alcun risparmio di spesa.
Inoltre, il lavoratore in Cig riceve un trattamento economico pari, circa, all'80% della retribuzione e, comunque, non oltre determinati tetti massimi e sconta la mancata maturazione di ratei per premi, tredicesima e quattordicesima (l'anzianità ai fini pensionistici continua a maturare). L'articolo 87, comma 3, sul punto non dice nulla. La circolare 2/2020 della Funzione Pubblica ed il Protocollo con i sindacati lasciano intendere che, invece, al lavoratore esentato possa spettare l'intero trattamento economico, compreso quello accessorio. Nonostante sia del tutto impossibile sostenere la legittimità della retribuzione di indennità legate necessariamente allo svolgimento dell'attività lavorativa (come rischio, reperibilità, condizioni di lavoro, turno, e indennità per responsabilità di varia natura, oltre che quota parte della produttività).
Ancora, sebbene lo Stato talvolta, come nel caso dell'emergenza COVID-19, intervenga con la fiscalità generale, il finanziamento dei fondi dai quali si attinge per la Cig è a carico, in rilevante parte, di aziende e lavoratori, che versano allo scopo specifici contributi. Poichè nella PA non esiste la Cig, nessuno, nè le amministrazioni, nè i lavoratori, versa alcunchè: il trattamento economico dei lavoratori esentati, quindi, sta integralmente a carico della fiscalità generale ed è erogato a fronte dell'integrale sospensione della prestazione lavorativa.
Evidenziato, quindi, che tra Cig ed esenzione non c'è nulla in comune, queste stesse ragioni spiegano con sufficiente chiarezza per quale motivo la PA non può e non deve giungere all'esenzione a cuor leggero o con quella sorta di automatismo che viene preteso da alcune organizzazioni sindacali o ritenuto possibile da certi interpreti ed operatori.

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