L’articolo 7-bis aggiunto alla legge di conversione del d.l. 22/2020 (noto come “decreto scuola”) fornisce l’ennesima prova delle disfunzioni e del fallimento del d.lgs 50/2016, anche se contiene alcune decisioni scellerate, probabili fonte di un futuro enorme contenzioso.
Andando con ordine, la norma relativa a “misure urgenti per la riqualificazione dell’edilizia scolastica” consente di derogare a 4 tra le principali fonti di confusione, disfunzione, complicazione e contenzioso, scientemente introdotte a suo tempo nel codice dei contratti.
Partiamo dalla possibilità di disapplicare l’articolo 371. Si tratta della sciaguratissima previsione mirante a diffondere obbligatoriamente le aggregazioni e centralizzazioni delle committenze, in particolare per i comuni.
E’ una norma figlia dello slogan vuoto e inutile, in voga da troppo tempo, secondo il quale occorre “ridurre da 30.000 a 30” le stazioni appaltanti, soluzione mistica che avrebbe il potere esoterico di semplificare e velocizzare gli appalti, rendendoli più efficienti ed impermeabili alla corruzione.
La storia (vedasi la mega corruzione per l’appalto del Facility management Consip, il flop dell’appalto, sempre Consip, dei buoni pasto) ha insegnato che miracolistiche “ideone” come queste non portano da nessuna parte. E i comuni hanno presto imparato che essendo costretti a servirsi delle centrali di committenza o delle Cuc, per ottenere la gara debbono mettersi in coda ed aspettare.
La centralizzazione degli appalti è ottima cosa se proviene spontaneamente dal basso e da decisioni maturate in modo convinto dalle singole amministrazioni, che intendano mettere insieme le forze o affidarsi ad enti e soggetti capaci di gestire le procedure. La cosa risulta tanto più utile se le aggregazioni siano finalizzate non solo a gestire la fase della gara (che, cosa ancora non compresa dal Legislatore e dalla stampa stregata dagli slogan, rappresenta quella più breve nella gestione degli appalti), ma quella della progettazione e della gestione. E va benissimo anche quando Consip e soggetti aggregatori rendano disponibili appalti (per lo più, ovviamente di servizi e forniture) ai quali accedere mediante le convenzioni.
Il sistema salta e si rivela altamente inefficiente se, invece, lo si impone dall’alto. L’opportunità si trasforma in obbligo e le centrali divengono inevitabilmente monopoli dell’e-commerce, nei quali le grandi aziende spadroneggiano ed i prezzi non ricevono affatto il calmieramento che le teorie economiche (spesso in contraddizione con la realtà dei fatti) ritengano debba derivare dall’estensione del mercato controllato.
L’articolo 37 si sarebbe dovuto completare col cervellotico sistema della qualificazione delle stazioni appaltanti, previsto dal successivo articolo 38, per fortuna fino ad oggi mai attivato.
La deroga prevista dalla legge di conversione del decreto scuola dimostra che l’ideona non ha funzionato, né poteva funzionare, com’era facilissimo prevedere.
Sia chiaro, poi, che ovviamente queste previsioni sono tutte frutto del gold plating, ossia dell’inserimento nel corpo delle direttive europee, delle quali il codice appalti è un’attuazione, di clausole ulteriori e diverse rispetto a quelle poste dalle direttive stesse. Le quali direttive in effetti prevedono il divieto del gold plating, allo scopo di evitare scostamenti troppo eccessivi tra discipline nazionali che si vorrebbero converbenti. Ma, l’Italia non sa resistere alla tentazione di complicare le regole e nell’ambito degli appalti ha da sempre ripetutamente violato il divieto, regalando ad amministrazioni pubbliche ed imprese norme sempre ricche di complicazioni che andrebbero invece evitate.
C’è, poi, la deroga agli articoli 77 e 78. Si tratta delle regole sulla composizione delle commissioni di gara.
Nel 2016, a pochi giorni dall’entrata in vigore del codice, sulla stampa imperversavano i peana e gli inni alla scelta di comporre obbligatoriamente le commissioni giudicatrici con componenti esterni, per aprire al “mercato” (ovviamente più efficiente) le professionalità.
Gli articoli 77 e 78 sono in effetti una sorta di regalo alle lobby dei professionisti privati, che hanno ottenuto dal Governo, ormai solo nelle intenzioni, il beneficio di essere i soli a poter far parte delle commissioni. Tutti ricordano che le pressioni delle medesime lobby portarono all’assurda eliminazione degli incentivi ai progettisti interni, parzialmente ripristinati nel 2019.
Il sistema, però, non ha mai funzionato. L’albo dei commissari è, fortunatamente, ancora fermo al palo. Si è creato un pasticcio tremendo, col DM 12 febbraio 2018, che aveva previsto tariffe altissime per i commissari, per altro oggetto di ripetute sentenze di annullamento (da ultimo, Tar Lazio, Serzione I, sentenza 6926/2019).
Soprattutto, si è creato un sistema caotico di composizione delle commissioni, che si sarebbero volute solo esterne. La giurisprudenza ha maturato una paradossale teoria della necessità che delle commissioni non facciano assolutamente parte i dirigenti ed i tecnici che abbiano contribuito a redigere i documenti di gara, sulla base di una indimostrabile necessità della virgin mind.
Un insieme di indicazioni velleitarie, che fornisce la forte sensazione secondo la quale chi pensa a simili discipline davvero manchi di cognizioni basilari di carattere pratico ed operativo.
L’articolo 77, comunque, è fonte di un contenzioso sterminato sulla corretta composizione delle commissioni: presenza del presidente del medesimo settore che agisce o obbligo di sua astenzione; presenza del Rup sì, presenza del Rup no, presenza del Rup forse ma con motivazione. Un diluvio di vertenze, figlie non dell’esistenza del Tar, ma di norme utopiche e lontanissime dall’efficienza pratica.
Tanto che, quando occorre davvero spingere per la semplificazione, come per il caso dell’edilizia scolastica, tali norme saltano come birilli presi in pieno dalla boccia della deroga.
Quindi, sindaci e presidenti di provincia commissari, potranno tranquillamente fare a meno dell’albo dei commissari e nominare le commissioni di gara come meglio crederanno. Nella speranza che gli articoli 77 e 78 del codice dei contratti vengano in futuro cancellati definitivamente. Per non rivederli mai più.
Offerta economicamente più vantaggiosa obbligatoria. L’articolo 95, comma 3, del codice dispone: “Sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo:
a) i contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera, come definiti all'articolo 50, comma 1, fatti salvi gli affidamenti ai sensi dell'articolo 36, comma 2, lettera a);
b) i contratti relativi all'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 40.000 euro;
b-bis) i contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo”.
Il codice ha erroneamente interpretato le indicazioni della direttiva 24/2014/UE. L’articolo 67, comma 1, di tale direttiva prevede che “Fatte salve le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali relative al prezzo di determinate forniture o alla remunerazione di taluni servizi, le amministrazioni aggiudicatrici procedono all’aggiudicazione degli appalti sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa”. Si è costruito da questa norma l’idolo dell’Oepv come criterio di gara prevalente rispetto al ribasso.
Le cose, però, non stanno affatto in questo modo. Lo spiega molto bene il “considerando” 89 della medesima direttiva: “Per evitare confusione con il criterio di aggiudicazione attualmente noto come «offerta economicamente più vantaggiosa» nelle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, occorre utilizzare un termine diverso per tradurre tale concetto, il «miglior rapporto qualità/prezzo»”.
Dunque, quella che generalmente si considera come offerta economicamente più vantaggiosa, nel rispetto delle vecchie e superate direttive, è semplicemente il “miglior rapporto qualità/prezzo”.
Leggendo, allora, il comma 2 dell’articolo 67 della direttiva 2014/24/UE, si comprende l’equivoco nel quale è incorso il nostro Legislatore, attratto dallo slogan della prevalenza necessaria dell’Oepv (rectius miglior rapporto qualità prezzo) sul ribasso: “L’offerta economicamente più vantaggiosa dal punto di vista dell’amministrazione aggiudicatrice è individuata sulla base del prezzo o del costo, seguendo un approccio costo/efficacia, quale il costo del ciclo di vita conformemente all’articolo 68, e può includere il miglior rapporto qualità/prezzo, valutato sulla base di criteri, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto pubblico in questione”.
In effetti, non c’è affatto alcuna prevalenza obbligatoria del miglior rapporto qualità/prezzo sul prezzo, per quanto la direttiva consenta, comunque, agli Stati di prevedere specifici divieti di aggiudicazione col solo criterio del prezzo per alcune tipologie di appalto.
L’intera impostazione dell’articolo 95 del codice, quindi, è viziata dall’erronea chiave di lettura della direttiva. Ma, in ogni caso, l’articolo 95, al comma 3, ha legittimamente previsto l’obbligo dell’Oepv, rectius miglior rapporto qualità prezzo, per alcune tipologie di appalti.
Nel caso dell’edilizia scolastica, ovviamente la deroga introdotta dall’articolo 7-bis al d.l. 22/2020 finirà per colpire gli appalti di servizio di progettazione, che risulteranno aggiudicabili non più obbligatoriamente col criterio del miglior rapporto qualità/prezzo, ma anche solo in base al prezzo. Una deroga molto, molto discutibile.
Aggiudicazione. Come discutibili sono le deroghe all’articolo 32, commi 8, 9, 11 e 12 e all’articolo 33, comma 1.
Lo affermiamo subito, senza alcun dubbio: si tratta di una delle troppe scelte esiziali del legislatore, dalle quali deriveranno illegittimità diffusissime e un contenzioso senza fine.
Il legislatore consente di derogare a regole quanto mai necessarie ed opportune per una corretta gestione degli appalti:
la necessità che la consegna in via d’urgenza segua l’avvenuta verifica d’efficacia dell’approvazione della proposta di aggiudicazione (ex aggiudicazione provvisoria), consistente nell’aggiudicazione vera e propria (ex aggiudicazione definitiva);
l’obbligo di applicare le clausole stand still, cioè un termine di 35 giorni dall’invio dell’ultima comunicazione del provvedimento di aggiudicazione ai concorrenti;
il divieto di stipulare il contratto se avverso l’aggiudicazione sia presentato ricorso con contestuale domanda cautelare;
l’assoggettamento della proposta di aggiudicazione alla sua approvazione, ai fini dell’aggiudicazione vera e propria.
La deroga a queste opportune disposizioni crea rischi enormi di gestioni erronee e fonti di responsabilità erariale. Già senza deroga, le amministrazioni locali tendono a non far seguire alla proposta di aggiudicazione la sua approvazione formale e a non curare correttamente la verifica dei requisiti ai fini dell’efficacia dell’aggiudicazione vera e propria. Per questa ragione, sono frequentissimi casi di affidamenti in via d’urgenza sulla base della sola proposta di aggiudicazione, come della mancanza assoluta della sottoscrizione di un contratto.
E’ poi davvero singolare che un Legislatore tentato spessissimo dall’applicare alle direttive europee clausole interne nuove e diverse, nel caso di specie decida di derogare a direttive europee, con molta evidenza finalizzate ad evitare imprudenti affidamenti definitivi e sottoscrizioni di contratti, mentre pendono vertenze.
Le clasuole stand still sono frutto dell’attuazione della Direttiva 2007/66/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007 che al considerando 4 enuncia il loro fine: “Fra le carenze constatate figura in particolare l’assenza di un termine che consenta un ricorso efficace tra la decisione d’aggiudicazione di un appalto e la stipula del relativo contratto. Ciò induce talvolta le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori desiderosi di rendere irreversibili le conseguenze di una decisione d’aggiudicazione contestata a procedere molto rapidamente alla firma del contratto. Per rimediare a questa carenza, che costituisce un serio ostacolo ad un’effettiva tutela giurisdizionale degli offerenti interessati, vale a dire coloro che non sono stati ancora definitivamente esclusi, è opportuno prevedere un termine sospensivo minimo, durante il quale la stipula del contratto in questione è sospesa, indipendentemente dal fatto che quest’ultima avvenga o meno al momento della firma del contratto”.
La deroga allo stand still fa risparmiare 35 giorni soli in procedimenti che hanno durate di molti mesi, se non di anni, esponendo comuni e province a contenziosi diffusi e alla probabilità di vedersi cambiare in corso di realizzazione l’aggiudicatario. Tutto il contrario di quel che serve per avere procedimenti spediti, ma soprattutto certi e consolidati.
E’ questo che si intende per "semplificazioni"?
_______________________________
1Art. 37. (Aggregazioni e centralizzazione delle committenze)
1. Le stazioni appaltanti, fermi restando gli obblighi di utilizzo di strumenti di acquisto e di negoziazione, anche telematici, previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa, possono procedere direttamente e autonomamente all’acquisizione di forniture e servizi di importo inferiore a 40.000 euro e di lavori di importo inferiore a 150.000 euro, nonché attraverso l’effettuazione di ordini a valere su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle centrali di committenza e dai soggetti aggregatori. Per effettuare procedure di importo superiore alle soglie indicate al periodo precedente, le stazioni appaltanti devono essere in possesso della necessaria qualificazione ai sensi dell’articolo 38.
2. Salvo quanto previsto al comma 1, per gli acquisti di forniture e servizi di importo superiore a 40.000 euro e inferiore alla soglia di cui all’articolo 35, nonché per gli acquisti di lavori di manutenzione ordinaria d’importo superiore a 150.000 euro e inferiore a 1 milione di euro, le stazioni appaltanti in possesso della necessaria qualificazione di cui all’articolo 38 nonché gli altri soggetti e organismi di cui all'articolo 38, comma 1, procedono mediante utilizzo autonomo degli strumenti telematici di negoziazione messi a disposizione dalle centrali di committenza qualificate secondo la normativa vigente. In caso di indisponibilità di tali strumenti anche in relazione alle singole categorie merceologiche, le stazioni appaltanti operano ai sensi del comma 3 o procedono mediante lo svolgimento di procedure di cui al presente codice.
3. Le stazioni appaltanti non in possesso della necessaria qualificazione di cui all’articolo 38 procedono all’acquisizione di forniture, servizi e lavori ricorrendo a una centrale di committenza ovvero mediante aggregazione con una o più stazioni appaltanti aventi la necessaria qualifica.
4. Se la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia, fermo restando quanto previsto al comma 1 e al primo periodo del comma 2, procede secondo una delle seguenti modalità:
(comma sospeso fino al 31 dicembre 2020 dall'art. 1, comma 1, lett. a), della legge n. 55 del 2019)
a) ricorrendo a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati;
b) mediante unioni di comuni costituite e qualificate come centrali di committenza, ovvero associandosi o consorziandosi in centrali di committenza nelle forme previste dall’ordinamento;
c) ricorrendo alla stazione unica appaltante costituita presso le province, le città metropolitane ovvero gli enti di area vasta ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56.
5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice, garantendo la tutela dei diritti delle minoranze linguistiche, sono individuati gli ambiti territoriali di riferimento in applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, e stabiliti i criteri e le modalità per la costituzione delle centrali di committenza in forma di aggregazione di comuni non capoluogo di provincia. In caso di concessione di servizi pubblici locali di interesse economico generale di rete, l’ambito di competenza della centrale di committenza coincide con l’ambito territoriale di riferimento (ATO), individuato ai sensi della normativa di settore. Sono fatte salve in ogni caso le attribuzioni delle province, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al primo periodo si applica l'articolo 216, comma 10.
6. Fermo restando quanto previsto dai commi da 1 a 5, le stazioni appaltanti possono acquisire lavori, forniture o servizi mediante impiego di una centrale di committenza qualificata ai sensi dell’articolo 38.
7. Le centrali di committenza possono:
a) aggiudicare appalti, stipulare ed eseguire i contratti per conto delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori;
b) stipulare accordi quadro ai quali le stazioni appaltanti qualificate possono ricorrere per l’aggiudicazione dei propri appalti;
c) gestire sistemi dinamici di acquisizione e mercati elettronici.
8. Le centrali di committenza qualificate possono svolgere attività di committenza ausiliarie in favore di altre centrali di committenza o per una o più stazioni appaltanti in relazione ai requisiti di qualificazione posseduti e agli ambiti territoriali di riferimento individuati dal decreto di cui al comma 5.
9. La stazione appaltante, nell’ambito delle procedure gestite dalla centrale di committenza di cui fa parte, è responsabile del rispetto del presente codice per le attività ad essa direttamente imputabili. La centrale di committenza che svolge esclusivamente attività di centralizzazione delle procedure di affidamento per conto di altre amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori è tenuta al rispetto delle disposizioni di cui al presente codice e ne è direttamente responsabile.
10. Due o più stazioni appaltanti che decidono di eseguire congiuntamente appalti e concessioni specifici e che sono in possesso, anche cumulativamente, delle necessarie qualificazioni in rapporto al valore dell’appalto o della concessione, sono responsabili in solido dell’adempimento degli obblighi derivanti dal presente codice. Le stazioni appaltanti provvedono altresì ad individuare un unico responsabile del procedimento in comune tra le stesse, per ciascuna procedura, nell’atto con il quale hanno convenuto la forma di aggregazione in centrale di committenza di cui al comma 4 o il ricorso alla centrale di committenza. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 31.
11. Se la procedura di aggiudicazione non è effettuata congiuntamente in tutti i suoi elementi a nome e per conto delle stazioni appaltanti interessate, esse sono congiuntamente responsabili solo per le parti effettuate congiuntamente. Ciascuna stazione appaltante è responsabile dell’adempimento degli obblighi derivanti dal presente codice unicamente per quanto riguarda le parti da essa svolte a proprio nome e per proprio conto.
12. Fermi restando gli obblighi di utilizzo degli strumenti di acquisto e di negoziazione previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa, nell’individuazione della centrale di committenza, anche ubicata in altro Stato membro dell’Unione europea, le stazioni appaltanti procedono sulla base del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, dandone adeguata motivazione.
13. Le stazioni appaltanti possono ricorrere ad una centrale di committenza ubicata in altro Stato membro dell’Unione europea solo per le attività di centralizzazione delle committenze svolte nella forma di acquisizione centralizzata di forniture e/o servizi a stazioni appaltanti; la fornitura di attività di centralizzazione delle committenze da parte di una centrale di committenza ubicata in altro Stato membro è effettuata conformemente alle disposizioni nazionali dello Stato membro in cui è ubicata la centrale di committenza.
14. Dall'applicazione del presente articolo sono esclusi gli enti aggiudicatari che non sono amministrazioni aggiudicatrici quando svolgono una delle attività previste dagli articoli da 115 a 121 e gli altri soggetti aggiudicatori di cui all'articolo 3, comma 1, lettera g).
Nessun commento:
Posta un commento