lunedì 15 giugno 2020

La mobilità come cessazione è un beneficio per i comuni

Le argomentazioni esposte nell’articolo dal titolo "Anche la mobilità ostacola le nuove assunzioni", a cura di G. Bertagna sul Quotidiano Enti Locali del 15.6.2020  non sono condivisibili. Appare particolarmente strano che la dottrina possa muovere rilievi critici alla circostanza che la mobilità abbia – finalmente – perso il carattere di neutralità finanziaria attribuitole a seguito dell’articolo 1, comma 47, della legge 311/2004.

Nel regime normativo precedente alla vigenza del DM 17.3.2020, il carattere neutrale della mobilità impediva di considerarla come cessazione; è da ricordare il contenuto del d.l. 95/2012, volto proprio a confermare sul piano legislativo questo effetto, da ben prima evidenziato da parte della magistratura contabile.

Tale carattere neutrale impediva alle amministrazioni di fare fronte ad una mobilità in uscita con un concorso: l’unica strada percorribile poteva essere una mobilità in entrata, in un flusso finanziario a sé stante e specifico. Il meccanismo, però, aveva di fatto bloccato il “mercato” delle mobilità, rese possibili solo da ferrei ed alquanto rari accordi tra enti per una mobilità contestuale “in compensazione”.

Nel nuovo sistema, la possibilità di considerare la mobilità per quello che in effetti è, una cessazione dal rapporto di lavoro, sia sul piano giuridico, sia sul piano economico, apre agli enti la possibilità di coprire la vacanza sia sempre mediante altra mobilità, sia attraverso un concorso. Non si tratta affatto di un’erosione delle facoltà assunzionali, come suggerisce il Bertagna, ma della spesa di tali risorse.

Non convince l’altra critica mossa alla mobilità dall’Autore, ossia la considerazione secondo la quale la mobilità in uscita non produce effetti positivi immediatamente,dal momento il conseguente risparmio nella spesa di personale verrebbe registrato solo con l’approvazione del rendiconto della gestione dell’anno in cui si è verificata la mobilità in uscita. Secondo il Bertagna, quindi, il risparmio sarebbe utile a programmare le assunzioni solo due anni dopo.

Ma, queste considerazioni non sono accoglibili come critica al nuovo sistema per due considerazioni, una di tipo logico, l’altra più strettamente di carattere operativo. Sul piano logico, se la mobilità viene trattata (lo si ribadisce: finalmente) come cessazione, appare oggettivamente privo di appoggio logico criticare la circostanza che gli effetti economici non siano rilevabili immediatamente, ma solo nel momento in cui si aggiorna il rapporto tra spesa di personale e media triennale delle entrate (al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità dell’ultimo bilancio di previsione), visto che questo fenomeno inevitabilmente vale per qualsiasi altro tipo di cessazione. E’ evidente che se un sistema si basa su un rapporto tra grandezze, occorre riferirsi al rapporto consolidato.

Sul piano strettamente operativo, le indicazioni dell’Autore confermano quanto sia erroneo ritenere che il rapporto spesa/entrate vada cristallizzato alle risultanze del rendiconto di due anni prima. Questo aggancio ai due anni precedenti si ha esclusivamente se si ritiene che il dato del rapporto sia da “fotografare” alla data del primo gennaio di ogni anno. Ma, le indicazioni della norma non sono queste: il rapporto va riferito a spese ed entrate risultanti dall’ultimo rendiconto approvato. E l’ultimo rendiconto approvato entro il 30 aprile di ogni anno non è quello di un biennio prima, ma dell’anno precedente.

Dunque, logica ed operatività militano decisamente in favore dell’aggiornamento in corso d’anno del rapporto, così da avere un flusso continuo e più veloce dei rapporti da considerare e poter agganciare meglio la programmazione ai dati concreti.

La considerazione della mobilità come cessazione, ancora, è certamente un beneficio per gli enti non virtuosi, per i quali la fuoriuscita di personale comunque aiuta alla riduzione della spesa di personale e quindi al miglioramento del rapporto con le entrate.

Infine, appare del tutto fuori mira la critica al sistema perché non consente agli enti non virtuosi ed agli enti il cui rapporto spesa di personale/entrate sia molto vicino al valore soglia di assumere entro il 100% del turn over. Questo effetto è certamente voluto e benefico: la riforma consente di espandere le assunzioni a tempo indeterminato e la connessa spesa solo agli enti virtuosi, le cui entrate dimostrino di poter sostenere nel lungo periodo tale spesa. Enti con entrate inadeguate o con dotazioni di personale sovradimensionate è del tutto opportuno che rivedano sia la politica delle assunzioni, sia il meccanismo delle entrate per rimettere in corsa reclutamenti di personale.


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