Il Sole 24 Ore pubblica il 15 giugno 2020 un articolo dal titolo “Burocrazia difensiva, molte cause e poche condanne ma l’abuso d’ufficio frena la Pa”, di Antonello Cherchi, Ivan Cimmarusti e Valentina Maglione, che dimostra esattamente l’opposto della tesi proposta.
L’abuso d’ufficio non può essere considerato la principale causa di indecisioni o rallentamenti operativi. Al contrario, sembra che troppo spesso decisioni e provvedimenti siano adottati in modo avventato e tali da determinare evidenti violazioni giuridiche, da cui l’obbligatorietà dell’azione penale scaturisce quasi automaticamente, per quanto poi le condanne siano in numero molto contenuto.
Ci informa l’articolo che vi sono “molte denunce e indagini a fronte di pochissime condanne: secondo l’Istat, nel 2017 sono stati oltre 6.500 i procedimenti aperti dalle procure per abuso d’ufficio e 57 le persone condannate con sentenza irrevocabile. Tendenza confermata dai dati del ministero della Giustizia: dei 7.133 procedimenti definiti nel 2018 dagli uffici Gip e Gup, 6.142 sono stati archiviati, di cui 373 per prescrizione”.
Poniamo che i 6.500 procedimenti del 2017 abbiano riguardato in media 9.000 tra dipendenti pubblici ed organi di governo. Rapportando tale cifra ad una corrispondente platea di circa 3.100.000 persone, solo lo 0,21% dei componenti dell’apparato pubblico è stato lambito da indagini per abuso d’ufficio.
Restringiamo il rapporto al novero dei soli funzionari pubblici e dirigenti, oltre che ai componenti degli organi di governo: la platea interessata è di circa 200.000 persone, rispetto alle quali l’incidenza delle indagini è allora del 3,25%.
E’ davvero credibile che simili probabilità di incorrere in un’indagine per abuso d’ufficio siano tali da creare il fenomeno della “paura della firma” di cui tanto si parla in questi giorni?
E’ piuttosto forte l’impressione che il fenomeno sia appositamente creato dai media, allo scopo di ottenere l’effetto, da lungo tempo desiderato da molti, di eliminare il reato, per una sua presunta “genericità” e opacità nei confini.
Sempre nello stesso articolo, il quotidiano di Confindustria cita sei esempi di sentenze della Cassazione, che oggettivamente ancora una volta confermano che il problema non è per nulla la paura dell’abuso d’ufficio, bensì proprio l’abuso d’ufficio.
Sentenza citata |
Considerazioni |
Primo esempio. Non risponde di abuso d'ufficio il dirigente scolastico che superi l’importo li mite per l’affidamento diretto di lavori e forniture stabilito dal decreto interministeriale regolante la specifica materia scolastica se l'entità dell’incarico è comunque sotto la soglia di 40 mila euro prevista dal Codice appalti (Cassazione penale, sezione VI, 19 agosto 2019 n. 36229) |
Nel caso di specie è evidente la violazione di legge o regolamento (il decreto interministeriale) che ai sensi dell’articolo 323 del codice penale costituiscono uno dei presupposti del reato. La sentenza non ravvisa il reato, perché comunque la decisione, pur avendo violato una norma interna, il regolamento interministeriale, ha rispettato il codice dei contratti. Appare che possa fondare una “paura della firma” la decisione di violare una regola interna? Sembra di poter affermare l’opposto: non si capisce perché si possa giustificare, sul piano della correttezza dell’azione amministrativa, la violazione delle regole interne, tale da mettere il decisore poi nella condizione di subire rilievi di illegittimità del proprio provvedimento ed esporlo al reato di abuso d’ufficio. Più che la “paura della firma”, emerge un modo di procedere decisamente poco avveduto. |
Secondo esempio Non costituisce abuso d'ufficio l’affidamento di lavori e forniture in violazione delle regole sugli appalti pubblici se finalizzato esclusivamente al contenimento dei costi e non al·vantaggio patrimoniale che l’impresa realizza (Cossazione penale, sezione II, 23 gennaio 2019 n.10224) |
Anche in questo non emerge alcuna paura della firma. All’opposto, la sentenza pare invece il frutto di decisioni avventate, basate sulla violazione delle norme sugli appalti, non sconfinata nel reato perché non si è riscontrato il vantaggio patrimoniale ingiusto dell’operatore economico, né evidentemente del soggetto decisore. La domanda da porsi è: se anche in presenza di regole imposte dalla normativa sugli appalti la si vìola apertamente e si eliminassero il reato di abuso d’ufficio e la colpa grave per la responsabilità erariale, di quanto aumenterebbero procedure avventate, in violazione diffusa di regole e norme? |
Terzo esempio Non sussiste l'abuso d'ufficio se il danno o il vantaggio patrimoniale ingiusto consiste nella mera trasposizione dell'illegalità della condotta, dovendo l'evento corrispondere di per sé a una situazione antigiuridica (Cassazione penale, sezione VI, 25 settembre 201s n. 58412) |
Questa sentenza dimostra che, contrariamente all’assunto dei medi, il reato d’abuso d’ufficio non è poi così poco delineato nei suoi confini. Non basta l’illegittimità dell’azione amministrativa: occorre che essa sia il fondamento per un illecito arricchimento patrimoniale del decisore o per un danno ingiusto a terzi. |
Quarto esempio Non integra abuso d'ufficio l'omessa astensione del componente del consiglio comunale alla delibera avente a oggetto una obbligazione per il cui adempimento lo stesso era stato convenuto in giudizio (ancora pendente). (Cassazione penale, sezione VI, 6 febbraio 2020 n 12075) |
Questa sentenza conferma quanto rilevato al punto precedente. Si rileva un conflitto di interessi, di portata non tale da costituire comunque reato. |
Sussiste il reato di abuso d'ufficio in capo al sindaco che non rinnovi un incarico a responsabile di area per fini ritorsivi e discriminatori in quanto la condotta viola i presupposti dell'attribuzione del potere e l'imparzialità dell’azione (Cassazione penale, sezione VI, 21 febbraio 2019, n. 22871). |
In questo caso il danno ingiusto, connesso ad un provvedimento illegittimo, è acclarato. La sentenza è esemplificativa, per altro, di comportamenti estremamente diffusi e reiterati in particolare negli enti locali. E’ accettabile che l’ordinamento giuridico elimini strumenti di prevenzione e condanna di comportamenti come quelli oggetto della sentenza, tali da inquinare gravemente l’azione amministrativa, politicizzarla e compromettere la sua efficienza ed imparzialità? |
Sussiste il reato di abuso d’ufficio del direttore generale che nomini responsabile unico del procedimento (Rup) un dipendente non di ruolo bensì in regime di comando temporaneo, così avvantaggiando indebitamente quest’ultimo e arrecando un danno ingiusto ai tecnici di ruolo (Cassazione penale, sezione VI, 18 luglio 2019, n. 44598) |
Il codice dei contratti impone che si incarichi come Rup necessariamente un dipendente di ruolo. Anche in questo caso, lungi dal reperirsi una “paura della firma”, si evidenzia una rilevante protervia nel violare apertamente le norme e giungere ad esiti di profonda inefficienza e illegittimità dell’azione amministrativa, sconfinanti anche nel reato. |
Gli esempi riportati dall’articolo per supportare la presunta “paura della firma” evidenziano, invece, quanto sia ampia una gestione quanto meno allegra, se non avventata o intenzionalmente inefficiente nelle pubbliche amministrazioni.
Alla luce di queste considerazioni, appare inimmaginabile che non si appresti un apparato di prevenzione e sanzionatorio per comportamenti di questa natura.
Poi, si può discutere sul genere di apparato da predisporre. Molti dei comportamenti oggetto delle sei sentenze viste prima si potrebbero-dovrebbero prevenire ed evitare, se funzionasse davvero il sistema anticorruzione, previsto dalla legge 190/2012, che, come noto, regola la “corruzione amministrativa” e non solo il reato. Per “corruzione amministrativa”, spiega il Piano Nazionale Anticorruzione del 2013, si intende una situazione più ampia di quella penalistica, nella quale rilevi – a prescindere dalla rilevanza penale dell’evento – un malfunzionamento dell’amministrazione, causato dall’uso a fini privati delle funzioni pubbliche, oppure l’inquinamento dell’azione amministrativa dall’esterno, inquinamento che può restare anche tale sul piano solamente potenziale.
Da questo punto di vista, la violazione di norme poste a regolare la concorrenza negli appalti, o il dovere di astensione nel caso di conflitto di interessi, o a determinare come assegnare incarichi ai dipendenti, è senz’altro sintomo della corruzione amministrativa oggetto dell’imponente apparato anticorruzione derivante dalla legge 190/2012. Tanto imponente, tuttavia, sul piano formale e burocratico (col diluvio di piani, tabelle, relazioni, dati da pubblicare a migliaia), quanto inefficace, perché praticamente incapace di apprestare strumenti volti sia a prevenire la “corruzione amministrativa”, sia il compimento di reati contro la PA, tra i quali anche l’abuso d’ufficio.
L’articolo del Sole 24 Ore conclude riportando una dichiarazione di Andrea Castaldo, professore di diritto penale all’Università di Salerno: “La ricerca che da due anni conduciamo sul tema - commenta Castaldo - ci ha portato a elaborare un’ipotesi di riforma che prevede un perimetro più circoscritto delle situazioni a cui si può applicare l’abuso d’ufficio e un parere preventivo che il dipendente può chiedere a un’autorità e una volta che vi si conforma non può essere perseguito»”.
Questa ipotesi è da condividere. Invece di agire allo scopo di eliminare la fattispecie dell’abuso d’ufficio e della responsabilità erariale per colpa grave, poste dall’ordinamento allo scopo di difendere i cittadini e l’interesse pubblico dal pericolo di abuso di potere da parte della PA, è necessario ripensare agli errori clamorosi di questo quarto di secolo, che hanno portato all’eliminazione, totale negli enti locali e nelle regioni, parziale negli altri ambiti, dei controlli preventivi, almeno sugli atti a maggior rischio di “corruzione amministrativa”.
L’idea di un organo di controllo (potrebbe essere l’Anac, meglio di no la Corte dei conti perché è inappropriato assegnare una funzione amministrativa ad un organo giurisdizionale; meglio sarebbe creare organi di controllo professionali, alle dipendenze funzionali della magistratura) che esprima un parere, ma meglio ancora, un visto di legittimità tale da eliminare responsabilità penali e contabili in capo all’amministrazione procedente e da trasferirle in capo al controllore, cancellerebbe ogni facile alibi. Soprattutto, consentirebbe di semplificare radicalmente l’apparato barocco e disfunzionale delle regole dell’anticorruzione.
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