venerdì 31 luglio 2020

Incrementi del fondo delle posizioni organizzative. Perchè la Corte dei conti sbaglia. Dimostrazione aritmetica.

Dopo la deliberazione della Corte dei conti,  97/2020 della Sezione regionale di controllo per la Campania, si aggiunge anche la deliberazione della Sezione regionale di controllo per il Veneto 104/2020 ad insistere nell'errore di considerare ancora applicabile l'articolo  11-bis, comma 2, del D.L. n. 135/2018.
In questo post abbiamo spiegato le ragioni giuridiche dell'errore in cui incorre la magistratura contabile.
A onor del vero, la deliberazione della Sezione per il Veneto riconosce che "si potrebbe ritenere che - tutt’al più - l’unico contrasto tra le norme introdotte dal D.L. n. 34/2019 (e relative disposizioni attuative) e le precedenti disposizioni di cui all’art. 11-bis del Decreto semplificazioni – che può far ritenere sussistente un limite alla possibilità concessa agli enti di aumento del valore delle posizioni organizzative – sia l’obbligo di garantire l’invarianza del valore medio procapite del salario accessorio dei dipendenti e delle posizioni organizzative dell’anno 2018 senza pertanto ridurre del valore corrispondente il fondo destinato all’erogazione del salario accessorio per i dipendenti del comparto non titolari di incarico di posizione organizzativa".
Ma, la deliberazione si accorge del problema, senza approfondirlo e senza risolverlo. Sarebbe bastata una semplice simulazione, come quella che si propone qui sotto:


Come è agevole notare, l'ente che applichi l'articolo 11-bis, comma 2, del d.l. 135/2018, per incrementare di 4000 euro l'originario importo della PO con massima retribuzione di posizione, finisce per incrementare il capitolo che finanzia le retribuzioni delle PO: nell'esempio di 4.600 euro.
Questo significa che il valore medio pro-capite delle PO passa da 11.500 euro a 12.650 euro.
Anche se (erroneamente) l'ente computasse il valore medio pro-capite mischiando il fondo del salario accessorio con il capitolo di bilancio che finanzia le PO, il valore medio pro-capite iniziale (che sarebbe di euro 4.555,56), aumenterebbe ad euro  4.640,74.
Dunque, l'operazione prevista dall'articolo 11-bis, comma 2, del d.l. 145/2018, anche se finanziabile, per un ente virtuoso, con la rinuncia a spazi assunzionali, finisce per violare platealmente l'articolo 33, comma 2, ultimo periodo, del d.l. 34/2019, perchè non garantisce l'invarianza del valore medio pro-capite, visto che esso aumenta.
L'unico modo per rispettare la norma, allora, sarebbe ridurre contestualmente il fondo della contrattazione decentrata (articolo 7, comma 4, lettera u) del ccnl 21.5.2018), dell'importo utilizzato per incrementare il capitolo di bilancio posto a finanziare le retribuzioni delle PO.
Ma, allora, il finanziamento dell'incremento degli importi delle retribuzioni delle PO non deriverebbe da una rinuncia agli spazi assunzionali, bensì dal fondo della contrattazione decentrata.
Del resto, gli spazi assunzionali che si ottengono applicando le nuove regole, hanno un vincolo di destinazione: si possono utilizzare solo ed esclusivamente per nuove assunzioni a tempo indeterminato e non per altri fini.
Bastano semplici simulazioni, che probabilmente andrebbero effettuate prima di rendere pareri su temi così delicati, per capire se gli effetti di idee teoriche reggano con il quadro giuridico.
Altro è, poi, che l'effetto concreto non piaccia o non lo si condivida. Finchè la norma è vigente, la si deve applicare.
E, contrariamente a quanto afferma la Sezione Veneto, la simulazione dimostra che l'articolo 11-bis, comma 2, del d.l. 135/2018 è da considerare necessariamente abolito, perchè incompatibile con le modifiche normative: infatti, la sua applicazione determina la violazione dell'obbligo di invarianza del valore medio pro-capite.

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