giovedì 9 luglio 2020

Lavoro pubblico e il campionario delle frasi fatte

"Giovedì nero" per "la grande stampa". Una "folla di curiosi" "si è assiepata" per leggere il "fondo" del giornalista Gramellini, ed abbeverarsi alle profonde riflessioni in tema di lavoro pubblico, scritte dal "noto" editorialista.
L'articolo è, effettivamente "a un passo dalla verità", poichè il "notista" ha certamente "preso visione" di un "voluminoso dossier" dal quale desumere le sue fondate conclusioni.
Non è stata cosa semplice: l'accesso al dossier è avvenuto nonostante le molte "bocche cucite". Per altro, il tutto è accaduto nonostante "l'asfalto reso viscido dalla pioggia" e "la morsa del freddo".
Il pezzo di Gramellini "fa discutere" e ha destato in molti "stupore e sconcerto", tanto da far rivendicare la necessità di "riforme strutturali", ancora "al vaglio degli inquirenti".
Aggiungiamo che in estate "è meglio bere molta acqua", che di inverno "è bene evitare di stare vestiti come in estate", che il sole sorge ad est e tramonta ad ovest, che non ci sono più le mezze stagioni, che la Juventus vince solo grazie ai rigori, che salire per le scale è più faticoso di scendervi, che Roma non fu fatta in un giorno.
In tal modo, possiamo incorniciare gli slogan del Gramellini, e la sua preziosa perla sul Corriere del 9.7.2020: "Chi paga i burocrati che rallentano qualsiasi pratica per ignavia, avidità o paura? Noi. E chi paga i dipendenti pubblici che durante la pandemia si sono chiusi in casa con più zelo di un congresso di virologi e hanno continuato a prendere lo stipendio senza fare nulla, infischiandosene dei colleghi che nel frattempo si addossavano la loro parte di lavoro? Sempre noi".
Un esempio preclaro di inchiesta giornalistica, fondata su un duro lavoro di ricerca di dati dettagliati, precisi e veritieri, capace di affrontare con piena competenza e conoscenza anche le minime pieghe dell'istituto del lavoro agile.
Che fortuna avere una stampa con la faccia da vero watch dog, intrepida, capace di dare pane al pane e vino a vino. E scrivere, perfino, che "si stava meglio quando si stava peggio".



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