domenica 20 settembre 2020

Contributo di solidarietà dei dipendenti pubblici "anti crisi"?

 Sul Giornale del 20.9.2020, Carlo Lottieri, nell'articolo titolato "Il tabù del prelievo solidale agli statali" affronta una questione seria, da un punto di vista, tuttavia, oggettivamente improntato solo ad una poco simpatica divaricazione sociale.

In primo luogo, tranquillizziamo l'Autore. Egli osserva: "E' d'altro canto assai triste che perfino gli statali meglio retribuiti (dai politici ai magistrati, dagli alti funzionari ai dirigenti delle auyhorities) non abbiano avanzato per primi, e non coprendosi dietro a uno pseudonimo, tale proposta".

Chi scrive, come dirigente pubblico, lo scorso 27 marzo 2020, ben prima del tweet di Yoda (account dallo stile provocatorio e spesso incline all'insulto) su un social come Facebook presentò esattamente questa proposta:


Seguirono consensi e dissensi. Sempre chi scrive, successivamente, tornò sulla questione il 4 aprile, sempre molto ma molto prima di Yoda, con questo post.

Appare opportuno riportare la seguente premessa logica di quel post, che faceva riferimento anche alla proposta dell'economista Michele Boldrin: "Non si tratta di una riduzione proposta perchè "se soffrono i privati, allora debbono anche soffrire i pubblici". Non sono stupide ed inutili "rivalse sociali" a poter guidare scelte così rilevanti".

Lo confermiamo. L'idea di un possibile contributo di solidarietà, o meglio a dirsi, di una riduzione della spesa connessa agli stipendi pubblici (circa 170 miliardi complessivi), non dovrebbe essere guidata da insulse idee di "rivalsa" sociale.

Constatiamo che, al contrario, l'intervento del Lottieri (come quello di Yoda) è mosso proprio da questi sentimenti. Il Lotteri, infatti:

  1. parla di "privilegio di disporre di un <<posto fisso>>";
  2. della necessità di non "esentare" chi abbia questo privilegio  "dal pagarne le conseguenze";
  3. afferma che "è opportuno che anche gli statali sentano sulla loro pelle il prezzo del disastro";
  4. allude alla circostanza che i dipendenti pubblici dalla crisi abbiano "tratto solo benefici".
Trattare di questi argomenti sulla base di queste categorie aiuta solo all'esacerbazione dell'odio sociale. Non si capisce a vantaggio di chi.

La banalizzazione del "posto fisso", meritevole dell'ironia di Checco Zalone, dovrebbe trovare un minimo di sfondo. Il lavoro pubblico ha certamente delle peculiarità. La tendenziale stabilità del posto, molto più elevata rispetto a quella del sistema privato, ha una sua ratio: siccome il "datore" è un soggetto politico, che deve il suo potere alla caccia del consenso, subordinare l'attività lavorativa di chi è chiamato a rendere servizi all'intera popolazione senza distinguere se sia di una parte politica o un'altra (l'articolo 98 della Costituzione dispone che il dipendente pubblico è al servizio della Nazione e non di una certa maggioranza di volta in volta al potere), sarebbe come aprire il micidiale vaso di Pandora del clientelismo. I fautori degli incarichi pubblici a tempo determinato non si rendono conto che questo porterebbe alla legalizzazione della raccomandazione e alla connessione stretta tra tessera di partito, badge per timbrare e decisioni sulla vita dei cittadini, subordinata alla tessera di partito che a loro volta questi esibiscano.

Affermare che i dipendenti pubblici non abbiano in assoluto pagato le conseguenze della crisi, poi, appare davvero solo provocatorio. Il Lottieri, per caso, è del tutto sicuro che nessun dipendente pubblico abbia contratto il Coronavirus e anche non sia morto? Non risulta che nessun medico, nessun infermiere sia stato colpito dalla malattia? Appare al Lottieri che il contratto di assunzione presso una PA sia utilizzato dal Virus come discrimine per non attaccare i dipendenti pubblici? Risulta al Lottieri che se un dipendente pubblico è coniuge o convivente di un dipendente privato o di un imprenditore che a causa della crisi abbia perso reddito, non abbia risentito del complessivo calo del reddito familiare?

Risulta, dunque, con assoluta certezza che nessun dipendente pubblico abbia sentito sulla propria pelle il prezzo del disastro? Ne parliamo con i militari che di notte trasportavano le bare coi camion? Ne parliamo con i dipendenti dei cimiteri?

Siamo del tutto sicuri, quindi, che i dipendenti pubblici abbiano addirittura "tratto benefici" dalla pandemia? Vogliamo, magari, concludere che sono loro gli "untori", scoprendo che il Virus non proviene dalla Cina, ma è stato elaborato da statali nulla facenti che tra una timbratura e l'altra hanno sintetizzato il Covid-19, allo scopo di trarre questi privilegi e benefici?

Ribadiamo. La questione è seria. E andrebbe affrontata non con inutili provocazioni, ma alla luce di valutazioni economiche a loro volta serie.

Un risparmio del 10% su una spesa di 170 miliardi significherebbe circa 17 miliardi di riduzione della spesa pubblica. Prolungato per 2 anni si giunge ad una cifra di circa 34 miliardi: un Mes senza contrarre debito. Se ne può parlare? Certo.

Come rilevato nel post richiamato sopra, tuttavia, il mondo dei dipendenti pubblici è molto più vasto ed ampio di quanto banalizzato dal Lottieri. Ricordiamolo ancora: sono dipendenti pubblici quegli "eroi" dei quali ora ci si dimentica, i medici e gli infermieri. Ed i tecnici ospedalieri, al cui preziosissimo lavoro si è dovuto il quasi raddoppio in pochissimo tempo dei posti nelle sale di rianimazione. Ma, con loro, tutti gli operai che hanno assicurato il funzionamento dei cimiteri e delle reti delle utenze; i militari e le forze armate, che hanno presidiato zone rosse e aiutato all'ordine pubblico, a sua volta garantito da tutte le forse di polizia, anche locale; gli operatori dei servizi sociali, i vigili del fuoco. Si tratta di circa 1,6 milioni di dipendenti pubblici che non si sono mai fermati e che il "prezzo del disastro" lo hanno sentito eccome sulla loro pelle e nei confronti dei quali il Legislatore ha previsto un "premio" miserrimo, di 100 euro lordi. Vogliamo includere anche questi nel contributo di solidarietà? Se ne può parlare. Ma, come si vede non è tutto bianco o nero, come le banalizzazioni volte all'acrimonia degli Yoda vorrebbero far credere.

C'è, poi, la questione economica complessiva. Lo Stato, scrive ancora il Lottieri, deve costare meno. Certo. Ma pensare a questo importante obiettivo, da sempre enunciato ma mai realizzato, in una fase di crisi e recessione come quella attuale, è idea sostenibile davvero sul piano macroeconomico? Il Recovery Fund lanciato dalla Ue va verso la riduzione o l'aumento, sia pur contingente, della spesa pubblica?

Si è, poi, certi che la redistribuzione del prelievo di solidarietà previsto sui dipendenti pubblici abbia effetti di espansione della domanda, cosa, questa, davvero utile alle imprese e al lavoro privato? Poichè si parla di un contributo di solidarietà "misero", secondo il Lottieri, se va bene i destinatari a mala pena potrebbero beneficiarne per saldare bollette e pagamenti di scadenze. Molto difficilmente il circuito della domanda ne trarrebbe giovamento ed è forte il rischio di un abbassamento complessivo del Pil. Non è detto che vada così, ma questo argomento va trattato ed analizzato, prima di partire con slogan divisivi.

Come quello enunciato dal Lottieri, che parla di "parassitismi" e secondo cui "una metà del Paese gode di ogni protezione e non è mai chiamata a rendere conto del proprio operato, mentre l'altra deve ogni giorno affrontare le incertezze di un mondo in evoluzione".

A beneficio della logica e del pacato ragionamento: tacciare i dipendenti pubblici in quanto tali di parassitismo, certo non aiuta. Siamo convinti che il Lottieri abbia denunciato i casi di tal genere a sua conoscenza.

E' giusto, poi, evidenziare che su 23 milioni circa di occupati, i dipendenti pubblici sono 3,1 milioni cioè il 13,45%: non pare proprio che si tratti della "metà" del Paese. Come è giusto evidenziare che i "politici", dal Lottieri accomunati ai dipendenti pubblici, tali non sono: non sono lavoratori dipendenti, ma persone che occupano posizioni di rappresentanza a seguito di elezioni.

Se l'intento finale è quello di privatizzare servizi pubblici, allora il problema è piuttosto discutere del perimetro di intervento dello Stato. Il Lottieri rivela chiaramente un auspicio: eliminare proprio del tutto parti fondanti dello Stato, fondandosi su affermazioni ancora una volta apodittiche quanto provocatorie: "il fallimento epocale della scuola pubblica". La scuola non è certo esente da problemi. Pensare di affidarsi solo ad un'istruzione privata è, tuttavia, un rischio enorme di creare classismo e divisioni. Certo, vi sarebbero scuole di "eccellenza", utilizzando questa locuzione abusata. Ma, quanti vi potrebbero accedere? Non si pagherebbero, forse, più molte tasse, laddove lo Stato eliminasse la scuola dal proprio perimetro. Si sottolinea "forse", perchè il rischio è che la scuola "privata" finisca per somigliare molto alla sanità "privata", che privata in effetti non lo per nulla, dal momento che i sistemi di accreditamento dirigono verso le proprietà private delle strutture i finanziamenti pubblici del sistema. Ma, laddove la privatizzazione fosse vera e concreta, quindi escludendo accreditamenti e sovvenzioni, differenze di reddito percepito, rendite di posizione, problemi di comunicazione e logistici, renderebbero la scuola differenziata: un lusso che molti non si permetterebbero. Lo Stato ha assicurato, con difficoltà, scuole diffuse ovunque ed accessibili a tutti. Una scuola solo privata in poco tempo diverrebbe diffusa a macchia di leopardo, con immense differenze di costo e qualità. Non siamo del tutto sicuri che queste conseguenze, già vissute e viste prima delle riforme di fine '800, sarebbero la risposta vera al presunto fallimento epocale della scuola pubblica.

Lo torniamo a dire: si ragioni di contributi di solidarietà a carico dei dipendenti pubblici e di riduzione del carico della spesa pubblica nel suo complesso. Lo si deve fare, però, facendo a meno delle provocazioni.


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