sabato 3 ottobre 2020

Tetto del trattamento accessorio. Il valore medio pro-capite è necessariamente distinto per valore riferito alle risorse decentrate e valore riferito alle retribuzioni delle PO

 

Lo abbiamo già spiegato in questo post, ma pare necessario tornare sull'argomento: per l'incremento del tetto del trattamento accessorio in modo che sia garantita l'invarianza del valore medio pro-capite, detto valore va calcolato in modo distinto tra valore connesso al fondo delle risorse decentrate e valore connesso alla retribuzione delle Posizioni Organizzative.

Oggetto dell’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2019, infatti, non è solo il fondo delle risorse decentrate, ma il trattamento accessorio nel suo complesso.

Leggiamo: “Il limite al trattamento accessorio del personale di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, è adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l'invarianza del valore medio pro-capite, riferito all'anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonchè delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018”.

In molti si sono espressi nel senso che il valore medio pro-capite sia unico, composto da somma dell’importo del fondo per la contrattazione integrativa e risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, diviso per il numero dei dipendenti in servizio al 31.12.2018. Tra questi, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per Lombardia, parere 95/2020, secondo il quale “Per la determinazione del “ valore medio pro-capite” occorre considerare (sommare) sia il valore del fondo relativo alle risorse per la contrattazione decentrata sia le risorse destinate alla remunerazione delle P.O.”.

Si tratta di un errore sia tecnico-matematico, sia, soprattutto giuridico, una topica inaspettata dalla magistratura contabile.

Dimostriamo l’errore grave sul piano tecnico matematico. Ponendo che un comune abbia un fondo di 900 euro, un capitolo per le PO di 60 euro, 60 dipendenti (tutti a tempo pieno) di cui 6 PO, il valore medio pro-capite è di 16 (960/60). Se l’anno dopo i dipendenti si riducono a 59, di cui sempre 6 PO, il valore medio pro-capite resta 16 (944/59). Tuttavia, sull’insieme del trattamento accessorio l’incidenza delle retribuzioni di posizione e risultato delle PO aumenta rispetto al fondo della contrattazione decentrata. Infatti, il valore medio del solo fondo della contrattazione decentrata (900) diviso per 60 dipendenti è 15; invece, il medesimo valore medio con 59 dipendenti dà 14,98 [(960-16)-60]/59]. Pertanto, i dipendenti privi di posizione organizzativa finanzierebbero in quota parte il trattamento economico delle posizioni organizzative.

Dimostriamo l’errore gravissimo sul piano giuridico. Se il valore medio pro-capite è determinato sia dalle risorse decentrate, sia dalle retribuzioni delle PO, ogni volta che venga assunto un dipendente di categoria A, B o C (che in enti con categorie D non sarà mai destinabile ad incarichi di PO) o comunque di categoria D non destinato a funzioni di PO, non sarebbe possibile in ogni caso incrementare il fondo della contrattazione decentrata di quella quota-parte del valore medio pro-capite determinata dal fondo delle retribuzioni (nell’esempio visto sopra, il valore medio pro-capite di 16 euro, per 15 euro è riferito alle risorse decentrate e per 1 euro alla retribuzione delle PO).

Occorre, quindi, necessariamente scorporare dal valore medio pro-capite, calcolato secondo le erronee indicazioni di parte della dottrina e della Sezione Lombardia, la parte che si determina in funzione della spesa per le retribuzioni delle PO, perché del valore medio pro-capite:

a)      solo la parte determinata dal fondo delle risorse decentrate può andare a incrementare detto medesimo fondo;

b)      la residua parte determinata, invece, dalla spesa per le retribuzioni delle PO dovrebbe andare ad incrementare il diverso capitolo del bilancio, che finanzia tali retribuzioni.

Ma, questa necessaria opera di scorporo, dimostra, allora, che il ragionamento proposto dalla Corte dei conti è completamente privo di fondamento. E che, di conseguenza, corretto il ragionamento opposto.

L’articolo 33, comma 2, consente l’adeguamento, in aumento o diminuzione:

1.      dell’intero fondo del trattamento accessorio, a sua volta composto di:

a.       fondo della contrattazione decentrata;

b.      risorse per le posizioni organizzative.

L’incremento del trattamento accessorio è finalizzato a garantire “l'invarianza del valore medio pro-capite, riferito all'anno 2018” rispettivamente:

1.      del fondo per la contrattazione integrativa”;

2.      nonchè delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione”.

Il valore medio pro-capite, allora, non è unico, ma duplice. I comuni debbono individuarne due distinti:

a)      il valore medio pro-capite del fondo per la contrattazione integrativa, che incrementa solo ed esclusivamente il fondo medesimo (e di conseguenza il trattamento accessorio nel suo complesso) ogni qualvolta si assuma un dipendente in più che non sia destinatario di incarico di Posizione Organizzativa e finchè non si aumenti (per qualsiasi ragione) il numero delle PO in servizio o l’ammontare della spesa per le loro retribuzioni;

b)      il valore medio pro-capite del capitolo di bilancio che finanzia le retribuzioni delle PO, che andrà ad aumentare il valore assoluto del trattamento accessorio solo ed esclusivamente allorchè l’ente assuma un dipendente al quale attribuire un incarico di PO in più rispetto a quelli sussistenti al 31.12.2018, senza che nessun centesimo di questo valore medio pro-capite dedicato alle PO possa confluire nel fondo della contrattazione decentrata, visto che si tratta di risorse di natura e fonte di finanziamento differenti ed incompatibili.

Ogni diversa chiave di lettura, per quanto suggestiva, apparentemente più semplice e razionale e proveniente da fonti autorevoli, è del tutto erronea e da rigettare.

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