Sarà la qualificazione del
concetto di inadempimento il crinale che determinerà il futuro certo,
certissimo, immenso contenzioso cagionato dallo sciagurato articolo 101 del
Ccnl dell’area dirigenza del comparto Funzioni Locali, 17.12.2020.
Con tale norma, il comitato di settore e l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) ha cercato di ottenere l’attuazione parziale della mai (fortunatamente) entrata in vigore riforma Madia, su due versanti:
1.
l’introduzione della figura del “dirigente apicale”;
2.
l’approfondimento dello spoil system oltre ogni
ragionevole misura, così da creare una formidabile precarizzazione dei
segretari comunali, in primi, e della dirigenza subito dopo.
E’ un tentativo fallito in partenza:
l’articolo 101 del Ccnl è infatti caratterizzato da una tale quantità di
violazioni di leggi[1],
da renderne imbarazzante l’elenco, quanto imbarazzante la presenza in un
contratto che mancava dal 11 anni e che, sotto questo punto di vista, probabilmente
non meritava l’ingresso di un simile scempio giuridico.
E’ evidente, comunque, che al di
là della plateale nullità della norma, i sindaci faranno fuoco e fiamme perché sia
attuata.
Il suo scopo è chiarissimo:
poter spingere i dirigenti ad adottare provvedimenti “graditi” all’amministrazione,
o, al contrario, a non adottare provvedimenti non troppo apprezzati, contando
sulla presenza di una figura, il segretario, alla quale rivolgersi per chiedere
di “avocare” la competenza a decidere.
Il Ccnl crea una vera e propria azione
a tenaglia nei confronti di segretari e dirigenti, a tutto discapito della loro
autonomia decisionale e, simmetricamente, in favore di uno spoil system
precarizzante formidabile.
Infatti:
1.
gli organi di governo saranno portati ad usare
ed abusare delle “direttive”, come strumento non più e non solo di orientamento
generale dell’azione, ma di prescrizione puntuale delle decisioni da adottare;
2.
ai sensi dell’articolo 21, comma 1, del d.lgs
165/2001, insieme ad altre cause, “l'inosservanza delle direttive imputabili
al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale
responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto
collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale”;
3.
nello stesso senso dispone l’articolo 109, comma
1, del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale gli incarichi dirigenziali “sono
revocati in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del presidente
della provincia, della giunta o dell'assessore di riferimento”;
4.
la tendenza a travalicare la separazione delle funzioni
di indirizzo politico da quelle gestionali è da sempre molto presente nelle
amministrazioni locali, attuata appunto con una valanga incontrollata di “delibere
di indirizzo”, la cui funzione non è programmare una generale ed astratta
strategia operativa (basterebbe il Piano Esecutivo di Gestione, allo scopo), ma
di prescrivere decisioni minute, “demandando” alla dirigenza di adottarle;
5.
la travalicazione delle competenze è evidente; nella
gran parte dei casi queste presunte “direttive”, che in realtà sono atti di
concreta gestione, dissimulati da direttive, sono adottate esattamente quando l’adozione
di un provvedimento risulti particolarmente delicata agli occhi dell’organo di
governo, in quanto elevate si dimostrino le possibilità che l’attuazione
tecnica non compiaccia fini ed intenzioni “politiche”; per altro, non di rado
accade che nel caso di questioni particolarmente complesse ove, comunque, l’esercizio
della discrezionalità tecnica risulti particolarmente ampio, molti dirigenti
autolimitino – erroneamente – l’orizzonte delle proprie competenze e
responsabilità – facendosi essi stessi promotori di indirizzi politici,
supponendo – altrettanto erroneamente, che questo possa fungere da “copertura”
ad eventuali illegittimità (la giurisprudenza amministrativa e contabile è
tetragona nel non dare rilievo alcuno a direttive eventualmente incompatibili
con norme e regole tecniche; in particolare, la giurisprudenza contabile regolarmente,
lungi dal non procedere nei confronti del dirigente, estende il carico di
responsabilità anche all’organo politico la cui direttiva sia vista come
elemento causale dell’adozione di un provvedimento produttivo di danno);
6.
sta di fatto che le direttive sono viste come
quel che non sono: un obbligo a provvedere, nel senso segnato dall’organo di
governo;
7.
la direttiva, quindi, soffoca il campo d’azione
gestionale del dirigente: una sua scelta autonoma ed anche diversa dalle
direttive[2], che
risulta perfettamente legittima vista l’assenza di vincolatività per loro
natura delle direttive (il dirigente resta libero di agire in senso diverso,
sulla base di una chiara e profonda motivazione[3]), viene
vista come “violazione degli obblighi” previsti dalle norme e, di conseguenza,
come “inadempimento”;
8.
si produce, quindi, “in vitro” la fattispecie
per l’avocazione, ai sensi del citato articolo 101 del Ccnl 17.12.2020: “Nei
comuni fino a 100.000 abitanti ovvero nei Comuni, Province e CittàMetropolitane
ove non sia stato nominato il direttore generale ai sensi dell’art. 108 del d.
Lgs. n. 267/2000, l’assunzione delle funzioni di segretario comunale comporta compiti
di sovraintendenza allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e di coordinamento
delle loro attività, tra i quali la sovraintendenza alla gestione complessiva
dell’ente, la responsabilità della proposta del piano esecutivo di gestione nonché,
nel suo ambito, del piano dettagliato degli obiettivi e del piano della performance,
la responsabilità della proposta degli atti di pianificazione generale in materia
di organizzazione e personale, l’esercizio del potere di avocazione degli
atti dei dirigenti in caso di inadempimento”;
9.
laddove il dirigente ritenga, legittimamente, di
non seguire la direttiva, ciò sarà visto – pur non essendolo, come
inadempimento. Ne conseguirà l’ “invito” al segretario di avocare, anche
laddove, per altro, la materia oggetto sia lontanissima dalle competenze
specifiche de segretario (ad esempio, urbanistica, edilizia, ambiente, tributi,
etc…);
10. il
cosiddetto “invito” sarà rivolto a far sì che il segretario “spintaneamente”
avochi, spinto dall’altro lato della tenaglia: l’articolo 103, comma 4, del
Ccnl: “Ai fini della revoca del presente articolo, costituisce violazione
dei doveri d’ufficio anche il mancato o negligente svolgimento dei compiti di
cui all’art. 101, comma 1”. Il mancato esercizio dell’avocazione, dunque, può
essere visto a sua volta come inadempimento del segretario, esposto in tal modo
al rischio della revoca;
11. rischio
di revoca al quale è esposto anche il dirigente nei confronti del quale si
adotti l’avocazione: infatti, come si nota, essa deve fondarsi su un
inadempimento. Non possono, di conseguenza, non essere tratte le conseguenze
già prima descritte degli articoli 21, comma 1, del d.gs 165/2001 e 109, comma
1, del d.lgs 267/2000.
Una trappola giuridica (ma, in
realtà, antigiuridica) sulla base della quale gli organi di governo sono posti
nelle condizioni di violare, senza tuttavia compiere atti espliciti in tal
senso, il principio di separazione, potendo contare sulla duplice stretta della
tenaglia: la minaccia di revoca al dirigente che non “adempia” e la revoca al segretario
che non avochi, laddove il dirigente disponga nell’esercizio della propria
autonomia gestionale.
E’ il chiarissimo tentativo di
eludere i principi di separazione delle funzioni politico-amministrative da
quelle gestionale. Un fine, questo, che potrebbe anche essere considerato
legittimo, sebbene non in linea con le previsioni della Costituzione: in effetti
fino alla legge 142/1990 e al d.lgs 29/1993, tale separazione non era stata mai
delineata in termini evidenti.
Non è lecito e non è corretto,
però, il mezzo. Laddove si voglia tornare ad attribuire la competenza gestionale
agli organi di governo, occorrerebbe agire con l’unico strumento legittimo a
tale scopo: la legge.
L’articolo 97, comma 2, della Costituzione
sul punto è chiarissimo: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni
di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità
dell'amministrazione”. Si tratta di una riserva di legge relativa: la
legge, infatti, potrebbe riservare ad altre fonti la disciplina delle
competenze. Il che non autorizza a ritenere, come da qualcuno proposto, che
allora il Ccnl 17.12.2020 possa abbracciare la materia: come si è evidenziato
nella nota n. 1 di questo scritto, l’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001
fa espresso divieto ai contratti collettivi di ingerirsi nella disciplina della
dirigenza.
Inoltre, se l’intento è
riattribuire alla politica le competenze gestionali, c’è un’altra norma della
Costituzione che riserva, in questo caso in modo assoluto, alla legge dello
Stato la determinazione della sfera di competenza degli organi di governo
locali: l’articolo 117, comma 1, lettera p).
Ancora, il surrettizio sistema
di aggirare norme costituzionali e vincoli normativi ordinari tramite un Ccnl,
attribuendo sotto traccia all’organo di governo una funzione di vincolo
operativo alle scelte di dettaglio, sotto il ricatto delle revoche e della
conseguente formidabile precarizzazione di dirigenti e segretari, elude altre
norme: in particolare quelle sulla responsabilità erariale.
Infatti, un sistema come quello
pensato dalla riforma Madia[4] di fortissimo
assoggettamento della dirigenza alla politica e che il Ccnl, con lo strumento
della revoca a tenaglia intende attivare, permette agli organi di governo di
trovare sistemi di coercizione, per imporre anche scelte operative a carico di
dirigenti e segretario, i quali, quindi resterebbero come gli unici
responsabili concreti.
E’ evidente che questo modo di
intendere l’andamento dell’azione amministrativa porterà solo ad amplissime
conflittualità.
L’avocazione dovrà portare con sé
(a meno che non sia “concordata” tra dirigenti e organi politici compiacenti
per gravare solo sul segretario, magari non troppo gradito le responsabilità di
dossier piuttosto delicati) l’azione di responsabilità disciplinare e
dirigenziale. Facile prevedere, quindi, azioni di tutela in sede civile, ma
anche penale (sebbene la riforma del reato di abuso d’ufficio renda meno
semplice l’iniziativa), senza dimenticare conseguenze sul piano contabile,
derivanti dall’eventuale risarcimento da riconoscere al dirigente per l’illegittima
(quando non anche ritorsiva) avocazione.
La mancata avocazione potrebbe,
a sua volta, determinare atti contro il segretario comunale, cui conseguirebbero
anche in questo caso azioni di tutela in ogni sede, specie civile.
Ma, non basta. La conflittualità
elevatissima, che per altro è destinata a palesarsi vista la necessità di pubblicare
i provvedimenti che evidenzierebbero il poco simpatico “rimpallo” tra un organo
e l’altro, evidenziante difformità anche marcate di vedute circa la regolarità
tecnica e la legittimità di adottare o non adottare un certo provvedimento, si
estende anche nei confronti dei terzi.
L’accesso al dossier
permetterebbe a chiunque, interessato e controinteressato alla decisione, di
verificare un formarsi della decisione estremamente contrastato: il che
faciliterebbe azioni avanti al Tar per eccesso di potere connesse al merito.
Ma, il terzo e il controinteressato potrebbero proprio fondare sulla chiara
nullità dell’articolo 101 del Ccnl 17.12.2020 per chiedere l’annullamento dei
provvedimenti, evidenziano ora l’incompetenza del segretario per illecita
avocazione, ora l’incompetenza del dirigente per mancata avocazione.
Un disastro giuridico, ordinamentale
ed organizzativo praticamente senza pari, attivato per un compiacimento a pulsioni
verso riforme, come quella della dirigenza, dannosissime per la funzionalità
della PA, del quale proprio non si sentiva la mancanza.
1. articolo 97, commi 2 e 3 della Costituzione, i quali stabiliscono: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”. La definizione dell’organizzazione e delle competenze, come si nota, è soggetto a riserva di legge. La legge, certo, potrebbe disporre di se stessa ed attribuire ai contratti collettivi nazionali l’esercizio di queste competenze. Peccato che nel caso di specie non sia così, come si dimostra col successivo punto;
2. articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001 l’articolo
40, comma 1, che allo scopo di confermare e chiarire il quadro visto prima,
prevede: “La contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le
relazioni sindacali e si svolge con le modalità previste dal presente decreto.
Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle
prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della
mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle
norme di legge. Sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie
attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione
sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative
dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del
conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui
all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421”.
Attribuire ai segretari comunali il potere di avocazione, come già rilevato
sopra, implica interferire proprio sulle prerogative dirigenziali. E’ evidente
che introdurre un potere di avocazione implica proprio ingerirsi nelle
prerogative dirigenziali esplicitamente vietate. Se i segretari comunali
adottassero atti nell'esercizio di un potere di avocazione, i loro
provvedimenti risulterebbero tutti a fondato rischio di nullità per assoluta
carenza di potere.
3. articolo 46, comma 1, del lgs 165/2001, ai sensi del
quale “L'ARAN esercita a livello nazionale, in base agli indirizzi ricevuti ai
sensi degli articoli 41 e 47, ogni attività relativa alle relazioni sindacali,
alla negoziazione dei contratti collettivi e alla assistenza delle pubbliche
amministrazioni ai fini dell'uniforme applicazione dei contratti collettivi”.
Come si nota, l’Aran non dispone per legge nemmeno in minima parte del potere
di definire le funzioni non solo del segretario comunale, ma di qualsiasi
organo amministrativo;
4. articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000: “Le
attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'articolo
1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di
specifiche disposizioni legislative”;
5. articolo 2 (rubricato “Fonti”), comma 1, del d.lgs
165/2001, ai sensi del quale, confermando ovviamente il costrutto della
Costituzione, “Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi
generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante
atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di
organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i
modi di conferimento della titolarità dei medesimi”. Nessuno spazio è dato alla
contrattazione collettiva;
6. sempre l’articolo 2, stavolta comma 2, del d.lgs
165/2001, che circoscrive l’orizzonte della potestà normativa dei contratti
collettivi: “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro
V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato
nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente
decreto…”. I contratti, come è logico, possono interessarsi della regolazione
del rapporto di lavoro, ma non delle competenze e delle funzioni;
7. l’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge
421/1992, ai sensi del quale “…Sono regolate con legge, ovvero, sulla base
della legge o nell'ambito dei princìpi dalla stessa posti, con atti normativi o
amministrativi, le seguenti materie:
1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli
operatori nell'espletamento di procedure amministrative;
2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento
della titolarità dei medesimi;
3) i princìpi fondamentali di organizzazione degli
uffici;
4) i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro
e di avviamento al lavoro;
5) i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro
consistenza complessiva. Le dotazioni complessive di ciascuna qualifica sono
definite previa informazione alle organizzazioni sindacali interessate
maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
6) la garanzia della libertà di insegnamento e
l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica,
scientifica e di ricerca;
7) la disciplina della responsabilità e delle
incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di
cumulo di impieghi e incarichi pubblici";
8. l’articolo 97, comma 4, del d.lgs 267/2000, che
regola, come fonte di legge, le funzioni del segretario comunale;
9. gli articoli 16 e 17 del d.lgs 165/2001, che
disciplinano in modo intangibile dalla contrattazione collettiva funzioni e prerogative
dei dirigenti;
10. l’articolo 100 del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale
“Il segretario può essere revocato con provvedimento motivato del sindaco o del
presidente della provincia, previa deliberazione della giunta, per violazione
dei doveri d'ufficio”. Poiché i doveri d’ufficio sono fissati esclusivamente
dalla legge o da atti di organizzazione di stampo pubblicistico, risultano
totalmente sottratti alla contrattazione collettiva, che non ha in alcun modo
nessun potere di indicare quali sono i doveri d’ufficio.
[2] Stante la nota distinzione di compiti tra l'organo politico e l'organo gestionale (dirigenza) delineata dall'art. 3 d.lg. 3 febbraio 1993 n. 29, il potere ministeriale di impartire "direttive generali" deve tradursi in direttive di carattere generale aventi funzione di alta direzione e coordinamento, senza vincolare le scelte propriamente gestionali: ne consegue l'illegittimità di una direttiva in materia di conferimenti ed autorizzazioni di incarichi del personale ministeriale che si traduca in veri e propri "comandi", fissando limiti massimi quantitativi, vincoli assoluti derivanti dall'accertamento demandato alla direzione generale e poteri di avocazione ministeriale in deroga al cennato limite, senza riconoscere alcun potere ai dirigenti che conferiscono l'incarico. T.A.R. Lazio, sez. III, 3 aprile 2001, n. 2765
[3]
Sia consentito di rinviare a L. Oliveri, Il potere di direttiva dell’organo
politico nei confronti dei dirigenti – contenuti dell’attività direttiva e
confini con quella gestionale, in www.diritto.it (https://www.diritto.it/potere-direttiva-dellorgano-politico-nei-confronti-dei-dirigenti-contenuti-dellattivita-direttiva-confini-quella-gestionale/).
[4]
Come si ricorderà, il disegno di decreto legislativo conteneva una precisa
norma posta a fare dei dirigenti pubblici “scudi umani” della politica, attribuendo
ai primi in via esclusiva la responsabilità erariale anche se i provvedimenti
fossero adottati in attuazione di direttive politiche.
Il Parlamento italiano, quantomeno per giustificare lo stpendio stellare a mille parlamentari e a oltre 6 mila super privilegiati burocrati delle Camere legislative, approva leggi di "riforma": tipo quelle sulla "mitologica" separazione tra attivitò di indirizzo propria dei "politici" e quella gestionale propria dei dirigenti. Poi quando gli amministratori locali si rendono conto di cosa comporti la famigerata "separazione delle funzioni di indirizzo da qualle gestionali, allora ci si scatena per trovare le contromisure, che dispongano sempre e sempre più l'asserrvimento della burocrazia ai voleri della politica, e cioè l'esatto contrario della separazioni delle funzioni. E poi in un perverso gioco di ruolo sarà sempre la politica s scaricare, con la complicità della stampa prostituita, ogni responsabilità del malgoverno sulla burocrazia obbligata ad adempiere ogni proprio ordine, soprattutto quelli illegittimi.
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