venerdì 25 dicembre 2020

La precarizzazione a tenaglia di segretari e dirigenti. L'esasperazione illegittima dello spoil system prevista dal Ccnl della dirigenza locale

 

Sarà la qualificazione del concetto di inadempimento il crinale che determinerà il futuro certo, certissimo, immenso contenzioso cagionato dallo sciagurato articolo 101 del Ccnl dell’area dirigenza del comparto Funzioni Locali, 17.12.2020.

Con tale norma, il comitato di settore e l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) ha cercato di ottenere l’attuazione parziale della mai (fortunatamente) entrata in vigore riforma Madia, su due versanti:

1.      l’introduzione della figura del “dirigente apicale”;

2.      l’approfondimento dello spoil system oltre ogni ragionevole misura, così da creare una formidabile precarizzazione dei segretari comunali, in primi, e della dirigenza subito dopo.

E’ un tentativo fallito in partenza: l’articolo 101 del Ccnl è infatti caratterizzato da una tale quantità di violazioni di leggi[1], da renderne imbarazzante l’elenco, quanto imbarazzante la presenza in un contratto che mancava dal 11 anni e che, sotto questo punto di vista, probabilmente non meritava l’ingresso di un simile scempio giuridico.

E’ evidente, comunque, che al di là della plateale nullità della norma, i sindaci faranno fuoco e fiamme perché sia attuata.

Il suo scopo è chiarissimo: poter spingere i dirigenti ad adottare provvedimenti “graditi” all’amministrazione, o, al contrario, a non adottare provvedimenti non troppo apprezzati, contando sulla presenza di una figura, il segretario, alla quale rivolgersi per chiedere di “avocare” la competenza a decidere.

Il Ccnl crea una vera e propria azione a tenaglia nei confronti di segretari e dirigenti, a tutto discapito della loro autonomia decisionale e, simmetricamente, in favore di uno spoil system precarizzante formidabile.

Infatti:

1.      gli organi di governo saranno portati ad usare ed abusare delle “direttive”, come strumento non più e non solo di orientamento generale dell’azione, ma di prescrizione puntuale delle decisioni da adottare;

2.      ai sensi dell’articolo 21, comma 1, del d.lgs 165/2001, insieme ad altre cause, “l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale”;

3.      nello stesso senso dispone l’articolo 109, comma 1, del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale gli incarichi dirigenziali “sono revocati in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del presidente della provincia, della giunta o dell'assessore di riferimento”;

4.      la tendenza a travalicare la separazione delle funzioni di indirizzo politico da quelle gestionali è da sempre molto presente nelle amministrazioni locali, attuata appunto con una valanga incontrollata di “delibere di indirizzo”, la cui funzione non è programmare una generale ed astratta strategia operativa (basterebbe il Piano Esecutivo di Gestione, allo scopo), ma di prescrivere decisioni minute, “demandando” alla dirigenza di adottarle;

5.      la travalicazione delle competenze è evidente; nella gran parte dei casi queste presunte “direttive”, che in realtà sono atti di concreta gestione, dissimulati da direttive, sono adottate esattamente quando l’adozione di un provvedimento risulti particolarmente delicata agli occhi dell’organo di governo, in quanto elevate si dimostrino le possibilità che l’attuazione tecnica non compiaccia fini ed intenzioni “politiche”; per altro, non di rado accade che nel caso di questioni particolarmente complesse ove, comunque, l’esercizio della discrezionalità tecnica risulti particolarmente ampio, molti dirigenti autolimitino – erroneamente – l’orizzonte delle proprie competenze e responsabilità – facendosi essi stessi promotori di indirizzi politici, supponendo – altrettanto erroneamente, che questo possa fungere da “copertura” ad eventuali illegittimità (la giurisprudenza amministrativa e contabile è tetragona nel non dare rilievo alcuno a direttive eventualmente incompatibili con norme e regole tecniche; in particolare, la giurisprudenza contabile regolarmente, lungi dal non procedere nei confronti del dirigente, estende il carico di responsabilità anche all’organo politico la cui direttiva sia vista come elemento causale dell’adozione di un provvedimento produttivo di danno);

6.      sta di fatto che le direttive sono viste come quel che non sono: un obbligo a provvedere, nel senso segnato dall’organo di governo;

7.      la direttiva, quindi, soffoca il campo d’azione gestionale del dirigente: una sua scelta autonoma ed anche diversa dalle direttive[2], che risulta perfettamente legittima vista l’assenza di vincolatività per loro natura delle direttive (il dirigente resta libero di agire in senso diverso, sulla base di una chiara e profonda motivazione[3]), viene vista come “violazione degli obblighi” previsti dalle norme e, di conseguenza, come “inadempimento”;

8.      si produce, quindi, “in vitro” la fattispecie per l’avocazione, ai sensi del citato articolo 101 del Ccnl 17.12.2020: “Nei comuni fino a 100.000 abitanti ovvero nei Comuni, Province e CittàMetropolitane ove non sia stato nominato il direttore generale ai sensi dell’art. 108 del d. Lgs. n. 267/2000, l’assunzione delle funzioni di segretario comunale comporta compiti di sovraintendenza allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e di coordinamento delle loro attività, tra i quali la sovraintendenza alla gestione complessiva dell’ente, la responsabilità della proposta del piano esecutivo di gestione nonché, nel suo ambito, del piano dettagliato degli obiettivi e del piano della performance, la responsabilità della proposta degli atti di pianificazione generale in materia di organizzazione e personale, l’esercizio del potere di avocazione degli atti dei dirigenti in caso di inadempimento”;

9.      laddove il dirigente ritenga, legittimamente, di non seguire la direttiva, ciò sarà visto – pur non essendolo, come inadempimento. Ne conseguirà l’ “invito” al segretario di avocare, anche laddove, per altro, la materia oggetto sia lontanissima dalle competenze specifiche de segretario (ad esempio, urbanistica, edilizia, ambiente, tributi, etc…);

10.  il cosiddetto “invito” sarà rivolto a far sì che il segretario “spintaneamente” avochi, spinto dall’altro lato della tenaglia: l’articolo 103, comma 4, del Ccnl: “Ai fini della revoca del presente articolo, costituisce violazione dei doveri d’ufficio anche il mancato o negligente svolgimento dei compiti di cui all’art. 101, comma 1”. Il mancato esercizio dell’avocazione, dunque, può essere visto a sua volta come inadempimento del segretario, esposto in tal modo al rischio della revoca;

11.  rischio di revoca al quale è esposto anche il dirigente nei confronti del quale si adotti l’avocazione: infatti, come si nota, essa deve fondarsi su un inadempimento. Non possono, di conseguenza, non essere tratte le conseguenze già prima descritte degli articoli 21, comma 1, del d.gs 165/2001 e 109, comma 1, del d.lgs 267/2000.

Una trappola giuridica (ma, in realtà, antigiuridica) sulla base della quale gli organi di governo sono posti nelle condizioni di violare, senza tuttavia compiere atti espliciti in tal senso, il principio di separazione, potendo contare sulla duplice stretta della tenaglia: la minaccia di revoca al dirigente che non “adempia” e la revoca al segretario che non avochi, laddove il dirigente disponga nell’esercizio della propria autonomia gestionale.

E’ il chiarissimo tentativo di eludere i principi di separazione delle funzioni politico-amministrative da quelle gestionale. Un fine, questo, che potrebbe anche essere considerato legittimo, sebbene non in linea con le previsioni della Costituzione: in effetti fino alla legge 142/1990 e al d.lgs 29/1993, tale separazione non era stata mai delineata in termini evidenti.

Non è lecito e non è corretto, però, il mezzo. Laddove si voglia tornare ad attribuire la competenza gestionale agli organi di governo, occorrerebbe agire con l’unico strumento legittimo a tale scopo: la legge.

L’articolo 97, comma 2, della Costituzione sul punto è chiarissimo: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”. Si tratta di una riserva di legge relativa: la legge, infatti, potrebbe riservare ad altre fonti la disciplina delle competenze. Il che non autorizza a ritenere, come da qualcuno proposto, che allora il Ccnl 17.12.2020 possa abbracciare la materia: come si è evidenziato nella nota n. 1 di questo scritto, l’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001 fa espresso divieto ai contratti collettivi di ingerirsi nella disciplina della dirigenza.

Inoltre, se l’intento è riattribuire alla politica le competenze gestionali, c’è un’altra norma della Costituzione che riserva, in questo caso in modo assoluto, alla legge dello Stato la determinazione della sfera di competenza degli organi di governo locali: l’articolo 117, comma 1, lettera p).

Ancora, il surrettizio sistema di aggirare norme costituzionali e vincoli normativi ordinari tramite un Ccnl, attribuendo sotto traccia all’organo di governo una funzione di vincolo operativo alle scelte di dettaglio, sotto il ricatto delle revoche e della conseguente formidabile precarizzazione di dirigenti e segretari, elude altre norme: in particolare quelle sulla responsabilità erariale.

Infatti, un sistema come quello pensato dalla riforma Madia[4] di fortissimo assoggettamento della dirigenza alla politica e che il Ccnl, con lo strumento della revoca a tenaglia intende attivare, permette agli organi di governo di trovare sistemi di coercizione, per imporre anche scelte operative a carico di dirigenti e segretario, i quali, quindi resterebbero come gli unici responsabili concreti.

E’ evidente che questo modo di intendere l’andamento dell’azione amministrativa porterà solo ad amplissime conflittualità.

L’avocazione dovrà portare con sé (a meno che non sia “concordata” tra dirigenti e organi politici compiacenti per gravare solo sul segretario, magari non troppo gradito le responsabilità di dossier piuttosto delicati) l’azione di responsabilità disciplinare e dirigenziale. Facile prevedere, quindi, azioni di tutela in sede civile, ma anche penale (sebbene la riforma del reato di abuso d’ufficio renda meno semplice l’iniziativa), senza dimenticare conseguenze sul piano contabile, derivanti dall’eventuale risarcimento da riconoscere al dirigente per l’illegittima (quando non anche ritorsiva) avocazione.

La mancata avocazione potrebbe, a sua volta, determinare atti contro il segretario comunale, cui conseguirebbero anche in questo caso azioni di tutela in ogni sede, specie civile.

Ma, non basta. La conflittualità elevatissima, che per altro è destinata a palesarsi vista la necessità di pubblicare i provvedimenti che evidenzierebbero il poco simpatico “rimpallo” tra un organo e l’altro, evidenziante difformità anche marcate di vedute circa la regolarità tecnica e la legittimità di adottare o non adottare un certo provvedimento, si estende anche nei confronti dei terzi.

L’accesso al dossier permetterebbe a chiunque, interessato e controinteressato alla decisione, di verificare un formarsi della decisione estremamente contrastato: il che faciliterebbe azioni avanti al Tar per eccesso di potere connesse al merito. Ma, il terzo e il controinteressato potrebbero proprio fondare sulla chiara nullità dell’articolo 101 del Ccnl 17.12.2020 per chiedere l’annullamento dei provvedimenti, evidenziano ora l’incompetenza del segretario per illecita avocazione, ora l’incompetenza del dirigente per mancata avocazione.

Un disastro giuridico, ordinamentale ed organizzativo praticamente senza pari, attivato per un compiacimento a pulsioni verso riforme, come quella della dirigenza, dannosissime per la funzionalità della PA, del quale proprio non si sentiva la mancanza.

 



[1] 

1. articolo 97, commi 2 e 3 della Costituzione, i quali stabiliscono: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”. La definizione dell’organizzazione e delle competenze, come si nota, è soggetto a riserva di legge. La legge, certo, potrebbe disporre di se stessa ed attribuire ai contratti collettivi nazionali l’esercizio di queste competenze. Peccato che nel caso di specie non sia così, come si dimostra col successivo punto;

2. articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001 l’articolo 40, comma 1, che allo scopo di confermare e chiarire il quadro visto prima, prevede: “La contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali e si svolge con le modalità previste dal presente decreto. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge. Sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421”. Attribuire ai segretari comunali il potere di avocazione, come già rilevato sopra, implica interferire proprio sulle prerogative dirigenziali. E’ evidente che introdurre un potere di avocazione implica proprio ingerirsi nelle prerogative dirigenziali esplicitamente vietate. Se i segretari comunali adottassero atti nell'esercizio di un potere di avocazione, i loro provvedimenti risulterebbero tutti a fondato rischio di nullità per assoluta carenza di potere.

3. articolo 46, comma 1, del lgs 165/2001, ai sensi del quale “L'ARAN esercita a livello nazionale, in base agli indirizzi ricevuti ai sensi degli articoli 41 e 47, ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e alla assistenza delle pubbliche amministrazioni ai fini dell'uniforme applicazione dei contratti collettivi”. Come si nota, l’Aran non dispone per legge nemmeno in minima parte del potere di definire le funzioni non solo del segretario comunale, ma di qualsiasi organo amministrativo;

4. articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000: “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”;

5. articolo 2 (rubricato “Fonti”), comma 1, del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale, confermando ovviamente il costrutto della Costituzione, “Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi”. Nessuno spazio è dato alla contrattazione collettiva;

6. sempre l’articolo 2, stavolta comma 2, del d.lgs 165/2001, che circoscrive l’orizzonte della potestà normativa dei contratti collettivi: “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto…”. I contratti, come è logico, possono interessarsi della regolazione del rapporto di lavoro, ma non delle competenze e delle funzioni;

7. l’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 421/1992, ai sensi del quale “…Sono regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell'ambito dei princìpi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi, le seguenti materie:

1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell'espletamento di procedure amministrative;

2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi;

3) i princìpi fondamentali di organizzazione degli uffici;

4) i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro;

5) i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza complessiva. Le dotazioni complessive di ciascuna qualifica sono definite previa informazione alle organizzazioni sindacali interessate maggiormente rappresentative sul piano nazionale;

6) la garanzia della libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca;

7) la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici";

8. l’articolo 97, comma 4, del d.lgs 267/2000, che regola, come fonte di legge, le funzioni del segretario comunale;

9. gli articoli 16 e 17 del d.lgs 165/2001, che disciplinano in modo intangibile dalla contrattazione collettiva funzioni e prerogative dei dirigenti;

10. l’articolo 100 del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale “Il segretario può essere revocato con provvedimento motivato del sindaco o del presidente della provincia, previa deliberazione della giunta, per violazione dei doveri d'ufficio”. Poiché i doveri d’ufficio sono fissati esclusivamente dalla legge o da atti di organizzazione di stampo pubblicistico, risultano totalmente sottratti alla contrattazione collettiva, che non ha in alcun modo nessun potere di indicare quali sono i doveri d’ufficio.

[2] Stante la nota distinzione di compiti tra l'organo politico e l'organo gestionale (dirigenza) delineata dall'art. 3 d.lg. 3 febbraio 1993 n. 29, il potere ministeriale di impartire "direttive generali" deve tradursi in direttive di carattere generale aventi funzione di alta direzione e coordinamento, senza vincolare le scelte propriamente gestionali: ne consegue l'illegittimità di una direttiva in materia di conferimenti ed autorizzazioni di incarichi del personale ministeriale che si traduca in veri e propri "comandi", fissando limiti massimi quantitativi, vincoli assoluti derivanti dall'accertamento demandato alla direzione generale e poteri di avocazione ministeriale in deroga al cennato limite, senza riconoscere alcun potere ai dirigenti che conferiscono l'incaricoT.A.R. Lazio, sez. III, 3 aprile 2001, n. 2765

[3] Sia consentito di rinviare a L. Oliveri, Il potere di direttiva dell’organo politico nei confronti dei dirigenti – contenuti dell’attività direttiva e confini con quella gestionale, in www.diritto.it (https://www.diritto.it/potere-direttiva-dellorgano-politico-nei-confronti-dei-dirigenti-contenuti-dellattivita-direttiva-confini-quella-gestionale/).

[4] Come si ricorderà, il disegno di decreto legislativo conteneva una precisa norma posta a fare dei dirigenti pubblici “scudi umani” della politica, attribuendo ai primi in via esclusiva la responsabilità erariale anche se i provvedimenti fossero adottati in attuazione di direttive politiche.

1 commento:

  1. Il Parlamento italiano, quantomeno per giustificare lo stpendio stellare a mille parlamentari e a oltre 6 mila super privilegiati burocrati delle Camere legislative, approva leggi di "riforma": tipo quelle sulla "mitologica" separazione tra attivitò di indirizzo propria dei "politici" e quella gestionale propria dei dirigenti. Poi quando gli amministratori locali si rendono conto di cosa comporti la famigerata "separazione delle funzioni di indirizzo da qualle gestionali, allora ci si scatena per trovare le contromisure, che dispongano sempre e sempre più l'asserrvimento della burocrazia ai voleri della politica, e cioè l'esatto contrario della separazioni delle funzioni. E poi in un perverso gioco di ruolo sarà sempre la politica s scaricare, con la complicità della stampa prostituita, ogni responsabilità del malgoverno sulla burocrazia obbligata ad adempiere ogni proprio ordine, soprattutto quelli illegittimi.

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