domenica 17 gennaio 2021

Maggiorazione del premio individuale e meritocrazia: a proposito di un recente orientamento ARAN - Di Angelo Maria Savazzi

 

di Angelo Maria Savazzi* 

Il recente orientamento ARAN CFL126 del 7 gennaio 2021 nel suggerire un percorso applicativo dell’art. 69 del Ccnl 21.5.2018, rubricato “Differenziazione del premio individuale”, desta qualche perplessità laddove si spinge a prevedere uno scorrimento delle valutazioni fino all’esaurimento della percentuale prevista dalla contrattazione integrativa dei dipendenti cui attribuire la maggiorazione del premio.

Lo scorrimento proposto dall'ARAN è in contrasto con norme non derogabili del DLgs. 150/2009 e del DLgs. 165/2001.

L'art. 69, infatti, nello stabilire che la maggiorazione del premio spetti "Ai dipendenti che conseguano le valutazioni più elevate, secondo quanto previsto dal sistema di valutazione dell’ente", affida al sistema di misurazione e valutazione della performance di indicare una soglia al di sopra della quale si concorre a tale attribuzione. In verità il sistema lo può fare indipendentemente dalla "gentile concessione" del CCNL. La contrattazione deve limitarsi a stabilire una percentuale di maggiorazione superiore al 30% (eventualmente) e la percentuale massima di dipendenti cui la maggiorazione può essere attribuita (obbligatoriamente). Ma tale percentuale deve essere compatibile con i principi di differenziazione e non può portare all’esito paradossale per cui, se le valutazioni sono mediamente basse, comunque la maggiorazione debba essere attribuita, come invece sembra prevedere l’ARAN.

La ratio della maggiorazione si colloca nell’alveo della selettività meritocratica, fornendo una leva per superare il generale appiattimento che caratterizza gli assetti gestionali della premialità pubblica. Il CCNL 21.5.2018 introduce, pertanto, il riconoscimento di una sorta di “super premio” individuale che si aggiunge al regime di premialità generale, ovviamente sempre a valere sul fondo di alimentazione del trattamento economico accessorio del personale.

La norma contrattuale, nella regolazione dell’istituto premiale, dispone che ai dipendenti che abbiano conseguito le valutazioni più elevate, secondo quanto previsto dal sistema di valutazione impiegato presso l’ente, sia attribuita una maggiorazione del premio individuale che si aggiunge al riconoscimento del premio stesso, a beneficio, pertanto, del personale valutato positivamente sulla base dei criteri selettivi di cui l’amministrazione deve dotarsi.

La misura di tale maggiorazione deve essere definita in sede di contrattazione integrativa e, comunque, non potrà essere inferiore al 30% del valore medio pro-capite dei premi attribuiti al personale valutato positivamente ed alla contrattazione integrativa è demandato, altresì, il compito di stabilire, preventivamente, una limitata quota massima di personale (valutato in modo elevato) al quale tale maggiorazione può essere riconosciuta.

In base a tale previsione contrattuale, tuttavia, occorre prestare attenzione ai seguenti aspetti di criticità che gli enti dovranno gestire:

a)       il sistema di misurazione e valutazione della performance, adottato dall’ente, deve consentire di collocare gli esiti delle valutazioni individuali, effettuate secondo lo schema valutativo offerto dall’art. 9, comma 2, del D. Lgs n. 150/2009, nell’ambito di diversi livelli premiali, in modo da rendere chiaro e trasparente quale sia il range valutativo più elevato cui attribuire la premialità aggiuntiva;

b)      la contrattazione integrativa dovrà stabilire, in base alla previsione del comma 3 dell’art. 69 del CCNL 21.5.2018, la quota massima di personale cui possa essere riconosciuta tale maggiorazione; se non dovesse determinarsi sarebbe problematica l’applicazione anche solo dell’incremento minimo contrattuale del 30%, atteso che la contrattazione integrativa deve individuare la quota massima di personale cui possa essere attribuita tale premialità integrativa.

c)       una volta determinata l’entità complessiva delle risorse destinate a remunerare la performance individuale, l’entità del premio individuale, spettante in base all’esito delle valutazioni, deve essere calcolata tenendo conto che una quota delle risorse dovrà essere destinata alla premialità aggiuntiva spettante al personale che abbia conseguito le valutazioni più elevate. Infatti, quest’ultima deve trovare necessariamente spazio di finanziamento nell’ambito delle risorse disponibili e, conseguentemente, l’entità dei premi-base dovrà essere determinata tenendo conto dell’entità delle risorse assorbite da tale specifica destinazione premiale.

Anche l’ulteriore precisazione contenuta nell’orientamento ARAN secondo la quale “la disciplina contrattuale collettiva nazionale … non ha dato alla contrattazione integrativa alcuna delega negoziale per l’individuazione di una soglia valutativa cui collegare il riconoscimento della maggiorazione del premio individuale atteso che un simile meccanismo, come si evince dalla problematica dedotta con il secondo quesito, potrebbe oggettivamente prestarsi ad una applicazione elusiva della disciplina stessa” sembra non avere fondamento almeno per due ragioni fondamentali:

1)      Nella materia della valutazione del personale l’intervento della contrattazione collettiva può esservi solo nei limiti in cui la legge (art. 40, comma 1, secondo periodo, DLgs. 165/2001) lo consenta. A tal proposito il fondamento della norma contrattuale è l’art. 19 del DLgs. 150/2009 come novellato dal DLgs. 75/2017; quest’ultima disposizione affida alla contrattazione collettiva nazionale la definizione di “criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi … corrisponda un'effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati”, senza che la contrattazione possa decidere di maggiorare il premio individuale al solo scopo di esaurire le risorse a tale fine destinate.

2)      In questo senso sia il sistema di valutazione adottato dall’ente che, a maggior ragione, la contrattazione non possono eludere le norme di principio di cui all’art.18 del DLgs. 150/2009 che impongono alle amministrazioni di “valorizzare i dipendenti che conseguono le migliori performance” vietando la distribuzione indifferenziata o sulla base di automatismi di incentivi e premi collegati alla performance. Ciò avverrebbe nell’ipotesi in cui la maggiorazione del premio individuale venisse intesa non come strumento per premiare le eccellenze ma come un incremento del premio da assegnare ai primi in graduatoria indipendentemente dal valore della valutazione individuale. Alle norme richiamate le amministrazioni devono adeguare i propri ordinamenti interni per effetto dell’art. 31 del DLgs. 150/2009; le stesse, peraltro, costituiscono norme imperative inderogabili secondo la previsione dell’art. 29 del medesimo decreto che “non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva e sono inserite di diritto nei contratti collettivi ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile”.

Di fatto, le previsioni dell’articolo 69, comma 1, del Ccnl 21.5.2018 e dell’articolo 30, comma 2, del Ccnl 17.12.2020 sono rette dall’articolo 21, comma 1, del d.lgs 150/2001, ai sensi del quale “Ogni amministrazione pubblica, nell'ambito delle risorse di cui al comma 3-bis dell'articolo 45 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può attribuire un bonus annuale al quale concorre il personale, dirigenziale e non, cui è attribuita una valutazione di eccellenza”.

E’ la valutazione di eccellenza, quindi, il presupposto per l’erogazione di un bonus che approfondisca la differenziazione del compenso per il risultato.

E’ del tutto paradossale pensare, come suggerisce l’Aran, che un premio di differenziazione vada sempre e comunque erogato, sulla base della semplice determinazione meccanica della limitata percentuale di dipendenti destinatari, senza curarsi della loro valutazione.

Si finirebbe per considerare come eccellenti anche valutazioni che tali non siano. Non solo: l’indirizzo dell’Aran induce le amministrazioni a violare l’obbligo, chiaramente disposto dalla contrattazione collettiva, di determinare espressamente, invece, la soglia di punteggio che faccia scattare la differenziazione.

Il parere dell’Aran, quindi, si mostra del tutto contrario alle logiche delle disposizioni di legge alle quali si appoggia e foriero di conseguenze operativa semplicemente prive di logica. Come tale, non può e non deve essere seguito.

Se la preoccupazione dell’Agenzia è evitare che gli enti eludano la norma non attribuendo a nessuno valutazioni di eccellenza, così da distribuire tra tutti la somma accantonata per la differenziazione, semplicemente essa preoccupazione non sta in piedi.

Da un lato, infatti, tutti sanno perfettamente che le valutazioni scontano il difetto di essere molto appiattite verso l’alto, sicchè l’ipotesi di valutazioni che non raggiungano la soglia di eccellenza sta semplicemente nell’Iperuranio. Dall’altro, qualora questo potesse accadere, basta semplicemente prevedere che l’accantonamento non sia distribuito e che vada riportato come somma non spesa all’anno successivo, per incrementare la parte variabile del fondo.

*(col contributo di Luigi Oliveri)

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