Dunque, i sindaci “si ribellano” e chiedono la modifica del d.lgs 267/2000, invocando un intervento sull’articolo 107, che a loro modo di vedere, poiché regola la distinzione delle competenze gestionali spettanti alla dirigenza, da quelle politico-amministrativa, appannaggio degli organi politici, avrebbe dovuto “limitare la responsabilità” di questi.
L’occasione per la “ribellione” è la sentenza di condanna del sindaco di Torino, per i gravi eventi della tragica serata in piazza S. Carlo, in occasione della finale di Champion’s league.
L’idea propugnata dai sindaci, attraverso l’Anci, è che l’articolo 50, sempre del d.lgs 267/2000, estenda eccessive responsabilità a loro carico, laddove al comma 1 stabilisce: “Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell'amministrazione del comune e della provincia”.
Norma, questa, che potrebbe essere considerata, a dire dell’Anci, fonte di una generale e trasversale responsabilità dei sindaci, quasi di tipo oggettivo, sì da portarli a rispondere penalmente anche di alluvioni, disordini causate da sbandati e rapinatori, cedimenti di balaustre.
Che sia da considerare opportuno ogni intervento chiarificatore sulle responsabilità di ciascuno è sempre vero e ben accetto.
Tuttavia, non si può fare a meno di evidenziare che i sindaci e l’Anci sono benvenuti, con anni ed anni di ritardo e, dunque, finalmente tra coloro che si sono accorti che il d.lgs 267/2000, come anche il d.lgs 165/2001 (testo unico sul rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) prevedono da oltre 30 anni proprio il principio della separazione delle competenze gestionali da quelle politiche.
E’ comprensibile che l’epifania di questo principio, che, si ribadisce, è ultratrentennale, sia occasionato da una condanna molto controversa.
Ma, non si può fare a meno di evidenziare come risulti comodo issare improvvisamente il vessillo della differenziazione delle competenze, alla ricerca anche della differenziazione delle responsabilità (penali, contabili, civili) connesse al ruolo che si riveste, solo quando emergano casi eclatanti, come quello appunto che investe il sindaco di Torino.
Se c’è, infatti, un principio continuamente violato e calpestato, in punto di diritto ma soprattutto di fatto, è proprio quello della separazione delle competenze.
I provvedimenti e la storia di ogni giorno in ciascuno degli 8.100 comuni italiani testimoniano con estrema chiarezza il rifiuto congenito e radicale da parte degli organi di governo del principio di separazione. Nei comuni esiste una conflittualità costante, più o meno marcata e più o meno documentata, tra l’apparato politico e quello amministrativo, dovuta alla ragione che il primo, composto dagli organi politici, sindaco, consiglio e giunta, si ingerisce diuturnamente sulla minuta gestione, invece di svolgere i compiti propri, consistenti nella fissazione di obiettivi generali e criteri programmatori, con i quali orientare la gestione.
Un sindaco, una giunta, un consiglio dovrebbero, quindi, porre obiettivi strategici: favorire la green economy con incentivi, espandere le aree commerciali, creare poli di istruzione e formazione, attrarre insediamenti produttivi con una pianificazione anche infrastrutturale, fissare standard di servizi sociali per ridurre il numero di persone in stato di bisogno, ridurre la pressione fiscale.
Invece, è, si ribadisce, costante e continua l’attività volta ad imporre che l’appalto sia assegnato a quella certa ditta, che il titolo edilizio sia favorito per Tizio ma non sia concesso a Caio, che i tributi siano rateizzati anche se non è possibile, che il contributo sia concesso a quell’associazione anche senza alcuna specifica ragione che non sia quella della vicinanza politica, che sia assunta quella persona invece di quell’altra, che la pratica di quella persona sia esaminata prima di tutte le altre. E così via.
Tra queste ingerenze insistenti e continue, non mancano certo anche quelle sulla necessità di organizzare in fretta e furia manifestazioni di piazza, con o senza i pareri delle commissioni di vigilanza competenti, con o senza o con qualità indifferente di piani di sorveglianza (e relativi costi), di evacuazione, di prevenzione.
Perché l’ingerenza della politica si spinge, nella sollecitazione a fare “in fretta”, per “rispettare l’indirizzo”, a considerare “burocrazia” il progetto, il piano, il parere, il verbale dell’organo di vigilanza, tutte quelle “carte”, imposte, tuttavia, non dal “burocrate” che voglia fare dispetto inventandosi adempimenti e passaggi, bensì dalle norme. Che per primi gli organi di governo dovrebbero curarsi di far rispettare, invece di considerare come un boicottatore quel funzionario costretto ad applicarle, mentre viene incensato come “manager” quel funzionario che bypassi le regole, i passaggi e le procedure, accontentando i desiderata politici, spesso, tuttavia, accollandosi e finendo per accollare alla politica rischi di decisioni illecite sul piano civile, dannose sul piano erariale e perfino, in alcuni casi, fonti di responsabilità penali.
Benvenuta sia, quindi, la “ribellione” se frutto della consapevolezza che il principio di separazione è vigente e va rispettato: sempre. Non solo come strumento per creare zone di irresponsabilità.
E’ ben noto che l’Anci avesse molto apprezzato il tentativo della riforma Madia (per fortuna mai entrata in vigore) di trasformare i dirigenti e i funzionari in una sorta di “scudo umano”, che si addossasse sempre ogni responsabilità erariale al posto degli organi di governo.
La riscrittura del Tuel, allora, per quanto opportuna, è bene che non comporti l’eterogenesi dei fini, cioè giungendo all’irresponsabilità dei sindaci e alla responsabilità di altri parafulmini.
Per altro, sapendo leggere le norme, si evidenzia che la riforma del Tuel, invocata dai sindaci, non è affatto necessaria.
La limitazione della responsabilità per le scelte gestionali è, infatti, già molto chiara ed evidente. Lo è, ad esempio, leggendo proprio l’articolo 50, comma 3: “Salvo quanto previsto dall'articolo 107 essi esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia”. Tale norma evidenzia che i sindaci non rispondono delle competenze gestionali spettanti ai dirigenti ai sens dell’articolo 107. Il cui comma 6, appare di indubitabile chiarezza: “I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione”.
L’articolo 48, comma 2, sempre del Tuel, ripropone anche per la giunta comunale la restrizione delle proprie competenze e connesse responsabilità ai soli atti propri degli organi di governo: programmazione e controllo.
Proprio di recente, l’Anci, quale componente fondamentale del Comitato di settore per la contrattazione del comparto Funzioni locali, area dirigenza, ha spinto fino all’inverosimile per introdurre nel Ccnl 17.12.2020 l'articolo 101, per altro del tutto nulla causa la sua plateale contrarietà all’articolo 97, comma 2, della Costituzione e all’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001, che attribuisca al segretario comunale il potere di “avocazione” degli atti dei dirigenti. Lo capisce chiunque che si tratta di un modo per gestire direttamente per interposta persona: laddove un provvedimento di un dirigente risulti sgradito, il sindaco non avrà altro se non chiedere al segretario di “avocare” e adottare la decisione conforme alla “direttiva politica”, anche se magari azzardata e non sostenibile sul pianto tecnico, anche perché l’articolo 103 del medesimo Ccnl 17.12.2020 sottopone il segretario al ricatto psicologico-giuridico della revoca nel caso della mancata attivazione del potere di revoca.
Coerenza vorrebbe, allora, che i sindaci non si appellino alla separazione delle competenze e delle responsabilità solo in occasione di sia pure controverse decisioni del giudice penale, ma che per primi rispettassero i confini delle proprie competenze. Evitando di spingere per l’introduzione di strumenti di copertura delle proprie ingerenze, con addossamento di responsabilità oggettive ad altri.
L’Anci, oltre a proporre la modifica del Tuel, inoltre, farebbe bene a fare una ricognizione delle tantissime leggi specifiche, che attribuiscono ai sindaci tantissime competenze e responsabilità loro proprie: leggi e leggine che costituiscono la vera fonte, poi, delle vicissitudini giudiziarie nelle quali spesso finiscono per essere coinvolti.
Ora, come si è visto sopra, l’articolo 50 del Tuel dispone che i sindaci:
- esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti;
- sovrintendono altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia.
L’autorizzazione allo svolgimento di manifestazioni e spettacoli pubblici è attribuita, dalla legge, segnatamente dal regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, articolo 80, alla competenza del sindaco. Il quale, sempre ai sensi dell’articolo 50 del Tuel, è “autorità locale” di pubblica sicurezza. E una dozzina di anni fa circa, come si dovrebbe ricordare, i sindaci fecero di tutto per accrescere le proprie competenze proprio nel campo della sicurezza.
Allora, più che invocare riforme ad una disposizione di principio, l’articolo 50 del Tuel, che per altro è perfettamente in linea con la separazione delle funzioni, sarebbe più coerente e produttivo che l’Anci chieda di rivedere l’assetto delle specifiche competenze che varie leggi rimettono direttamente nella sfera del sindaco. Possibilmente evitando la creazione di parafulmini, di gestori per interposta persona mediante improprie avocazioni o, ancora, di responsabili oggettivi al loro posto.
Bassanini con le sue riforme criminogene ha distrutto la PA
RispondiEliminaChiarissimo e condivisibile . E sarebbe anche ora di finirla con Gabinetto, Capo di Gabinetto, Portavoce, etc , del Sindaco, utilizzati per ingerirsi continuamente nella gestione, e fonte di tanti grattacapi ( vedasi le cronache .. . )
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