lunedì 10 maggio 2021

Concorsi pubblici: la minestra riscaldata del fine di accelerarli

           Un topos, un archetipo, un grande classico delle leggi italiane è riformare i concorsi per accelerarli.

Sveltire, ridurre i tempi, semplificare, derogare: sono le parole d’ordine immancabili anche nell’articolo 10, comma 1, del d.l. 44/2021. Che immancabilmente esordisce enunciando il proprio intento: “Al fine di ridurre i tempi di reclutamento del personale…”, per poi sciorinare tutte le semplificazioni, vere o presunte, inefficaci o inefficaci poi disciplinate nel seguito.

Ma, si tratta di un palinsesto già visto e conosciuto. Poco meno di soli due anni fa, nella medesima legislatura, aveva visto la luce la legge 56/2019, una delle tante riforme “epocali” della Pubblica Amministrazione, sempre volte a semplificare e dare efficienza e sempre, regolarmente, fallimentari. Leggiamone, allora, l’incipit dell’articolo 3, comma 4: “Al fine di ridurre i tempi di accesso al pubblico impiego, per il triennio 2019-2021 …”.

Come non era difficile immaginare, il fine enunciato è esattamente identico a quello di recente ribadito dal d.l. 44/2021. Cambiano, e a volte ritornano, i Ministri della Funzione Pubblica, ma i fini restano sempre gli stessi: accelerare, semplificare, ridurre i tempi. Specie se queste esigenze sono causata da riforme da essi proposte, che regolarmente sortiscono l’effetto opposto a quello di accelerare, semplificare e ridurre i tempi.

Così, periodicamente il Legislatore insegue le contingenze e deve ribadire l’enunciazione di quel che dovrebbe essere ovvio, senza nemmeno il tempo di verificare se e in che misura le misure di accelerazione, semplificazione, riduzione dei tempi approvate anche solo pochi mesi prima abbiano funzionato o sia semplicemente stato possibile metterle in pratica.

Cosa è successo tra il giugno 2019, data di approvazione della legge 56/2019, intestata all’allora inquilina di Palazzo Vidoni, Giulia Bongiorno, e l’aprile 2021, quando l’iniziativa per il medesimo e ripetuto fine di ridurre i tempi di reclutamento è stata assunta dall’attuale inquilino Renato Brunetta?

E’ successo che le modalità di gestione dei concorsi enunciate dalla legge 56/2019 sono rimaste congelate, perché nel frattempo:

  1. il Governo allora in sella (che pochi mesi dopo sarebbe caduto) era impegnato contestualmente nel tentativo di sbloccare i concorsi dalle sabbie nei quali erano incagliati: cioè le varie misure di contenimento del turn over, avviate in particolare a partire dal 2010, quando in sella era Ministro della Funzione Pubblica colui che attualmente è tornato a rivestire la carica;

  2. infatti, riformare e semplificare i concorsi, mentre le assunzioni erano sostanzialmente bloccate, serviva a poco;

  3. nello stesso periodo, quindi, il Governo adottò il d.l. 34/2019, poi convertito in una legge coeva a quella promossa dall’allora Ministro Bongiorno, la legge 58/2019;

  4. il d.l. 34/2019, convertito in legge 56/2019 ebbe il merito di superare il sistema micidiale del tetto al turn over, che ha contribuito a depauperare il numero dei dipendenti pubblici e a determinarne l’invecchiamento e l’obsolescenza, sostituendovi il principio secondo il quale gli enti interessati (purtroppo, solo regioni e comuni; qualche mese dopo ci si ricordò che province e città metropolitane non erano state abolite e furono estese anche ad esse le norme) possono assumere anche oltre il turn over, se le entrate correnti sono sufficienti a sostenere la connessa spesa di personale;

  5. tuttavia, simmetricamente la legge del 2019 ebbe il consueto demerito di rinviare l’attuazione delle sue previsioni a decreti ministeriali, per altro richiedenti il passaggio nelle varie Conferenze Stato-regioni Stato-regioni enti locali. Morale: per le regioni il decreto si vide solo a dicembre del 2019; i comuni fecero di tutto per boicottare un accordo che sempre quel mese di dicembre 2019, sembrava a portata di mano, ottenendone lo slittamento alla primavera del 2020;

  6. ma, nel 2020, purtroppo, esplode la pandemia. Altro che sblocco de concorsi. Per i primi mesi dello scorso anno tra lock down e protocolli di sicurezza, moltissimi concorsi già banditi si bloccarono; molti altri nemmeno vennero indetti;

  7. in quel marasma allarmato, emerse dalle nebbie il decreto ministeriale che avrebbe consentito anche ai comuni, come alle regioni, di assumere oltre il turn over, se avessero rispettato il principio di sostenibilità della spesa: un decreto che vide la luce nel pieno del lock down, ad aprile 2020;

  8. inutile dire che il decreto non contribuì a sbloccare praticamente nulla: per il 2020 i concorsi continuarono a restare congelati. Anche perché, ovviamente, le previsioni normative dell’articolo 33, commi 1, 1-bis e 2, del d.l. 34/2019, e dei DM attuativi, non risultarono per nulla chiare ed immediate: per tutto il 2020 si sono inseguite, quindi, circolari interpretative, prassi, linee guida e, come al solito, pareri della Corte dei conti, capaci di affermare il bianco, il nero, il bianco e il nero contemporaneamente; per altro, l decreto attuativo per applicare i nuovi sistemi di computo delle risorse da destinare alle assunzioni per province e città metropolitane ancora non lo si è mai visto.

Insomma, di concorsi con tempi ridotti, nemmeno l’ombra. Anzi, concorsi nel corso del 2020 se ne sono visti davvero pochini e quei pochi che vennero in qualche modo attivati nell’autunno, si sono nuovamente impantanati nelle zone rosse, arancioni e gialle e nelle misure di sicurezza di volta in volta previste.

Nel frattempo, il d.l. 34/2020 ha puntato con maggiore decisione sulla digitalizzazione delle procedure, visto che il sistema delle università e delle scuole durante il lock down aveva dimostrato l’esistenza di piattaforme in grado di far svolgere prove, scritte e orali, da remoto per esami ed interrogazioni.

L’arrivo del Pnrr ha dato una spinta ulteriore verso le assunzioni, per superare quel depauperamento ed invecchiamento del personale pubblico, pur scientemente voluto dal Legislatore 11 anni fa, ben rappresentato dalla valanga di cessazioni dal servizio, iniziata nel 2018 e favorita da quota 100, che dovrebbe concludersi tra due anni con la fuoriuscita di 500.000 dipendenti pubblici circa.

Lo si sapeva da anni che nel periodo 2018-2022 si sarebbe verificata questa enorme gobba pensionistica: ma, si è arrivati ad esodo già avviato a provare a pensare di sollecitare i concorsi, lasciando che l’indolenza nell’adozione dei provvedimenti attuativi ed i soliti meccanismi di veti incrociati, norme oscure, pareri contraddittori e regole normative spesso inconciliabili con quelle finanziarie, tenessero ancora bloccate le procedure. La pandemia ha dato un colpo ulteriore, ovviamente micidiale.

Dunque, due anni fa ci si era resi conto che occorreva ridurre i tempi per assumere nelle pubbliche amministrazioni. Due anni dopo, che succede? Si raccolgono i frutti della riduzione dei tempi? Niente affatto. Si torna ad enunciare il medesimo fine di due anni prima, senza sognarsi nemmeno di attuare pienamente le misure a suo tempo previste, ma disponendone altre, aumentando la confusione.

Per altro, proprio all’inizio del 2019, per effetto della legge 145/2018, si era provato come sempre ad “accelerare” e semplificare, attraverso l’articolo 1, comma 300 di detta disposizione, la cui idea fondamentale è quella del concorso unico nazionale, considerato un elemento di semplificazione, fortunatamente poi accantonato (come sempre avvenuto per le precedenti “edizioni” della medesima idea, più volte viste nell’ordinamento giuridico).

Proviamo, allora, a verificare come solo 2 anni fa si era inteso “ridurre i tempi” e come, 2 anni dopo, si torna ad intervenire sulla questione, avvertendo che le disposizioni della legge 56/2019 sono specificamente rivolte alle sole amministrazioni dello Stato, mentre le previsioni del d.l. 44/2021 riguardano l’intera PA:

Art. 3 l. 56/2019

Art. 10, d.l. 44/2021

Commento

C. 4 - a) la nomina e la composizione della commissione d'esame, prevedendo la costituzione di sottocommissioni anche per le prove scritte e stabilendo che a ciascuna delle sottocommissioni non può essere assegnato un numero di candidati inferiore a duecentocinquanta

c. 6. Le commissioni esaminatrici dei concorsi possono essere suddivise in sottocommissioni, con l'integrazione di un numero di componenti pari a quello delle commissioni originarie e di un segretario aggiunto. Per ciascuna sottocommissione è nominato un presidente. La commissione e le sottocommissioni garantiscono l'omogeneità dei criteri di valutazione delle prove. All'attuazione del presente comma le amministrazioni provvedono nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente.

Come si nota, la previsione della possibilità di introdurre sottocommissioni per agevolare il funzionamento dei concorsi è ripetuta due volte nelle due norme.

L’utilità del d.l. 44/2021 è estendere il principio a tutte le PA.

Non era meglio, appunto, allora richiamare quel principio, invece di introdurre un’altra norma, simile, ma diversa, che rende comunque complicato il coordinamento normativo?

c. 4 - 1) la facoltà di far precedere le prove di esame da una prova preselettiva, qualora le domande di partecipazione al concorso siano in numero superiore a due volte il numero dei posti banditi;

c. 4 - 2) la possibilità di svolgere prove preselettive consistenti nella risoluzione di quesiti a risposta multipla, gestite con l'ausilio di enti o istituti specializzati pubblici e privati e con possibilità di predisposizione dei quesiti da parte degli stessi;

c. 4 - 6) la valutazione dei titoli solo dopo lo svolgimento delle prove orali nei casi di assunzione per determinati profili mediante concorso per titoli ed esami;

c. 4 - 7) l'attribuzione, singolarmente o per categoria di titoli, di un punteggio fisso stabilito dal bando, con la previsione che il totale dei punteggi per titoli non può essere superiore ad un terzo del punteggio complessivo attribuibile

c. 1 - c) una fase di valutazione dei titoli legalmente riconosciuti ai fini dell'ammissione alle successive fasi concorsuali. I titoli e l'eventuale esperienza professionale, inclusi i titoli di servizio, possono concorrere alla formazione del punteggio finale.


La normativa del 2019 su prove preselettive e valutazione dei titoli è più “tradizionale”.

Il numero dei candidati da esaminare è ovviamente decisivo per la celerità del concorso.

I modi per ridurre tale numero sono molteplici.

Le prove pre-selettive con quesiti non rappresentano di certo il massimo: sono comunque qualcosa di simile ad una lotteria.

Molte possono essere le idee migliori. Tra esse non pare si possa, tuttavia, annoverare quella di preselezionare sulla sola base dei titoli legalmente riconosciuti. Chi scrive resta fermamente convinto dell’opportunità di un ranking nazionale, che consenta di limitare il numero dei partecipanti al concorso in base alla loro posizione/punteggio in tale ranking.

Per altro, una classifica nazionale richiede un sistema nazionale unico di pesatura dei titoli, per evitare che a ciò provveda il singolo bando, col rischio dei concorsi “cuciti su misura”.

Lo stesso, a maggior ragione, deve valere per le “esperienze” professionali.

Va, inoltre, evitato il “mercato”, anzi la “vendita” dei titoli, come viatico al miglior offerente per l’ingresso nella PA. Occorrerebbe un sistema rigorosissimo di disciplina di chi e a che condizioni possa produrre titoli diversi da quelli dei corsi di studio scolastici ed universitari.

Infine, l’esperienza non può e non deve essere un modo per favorire solo gli insiders o chi abbia un sufficiente lasso di tempo dalla laurea per specializzarsi o abilitarsi ed iscriversi ad un ordine: anche perché chi dispone di simili esperienze difficilmente può essere davvero un giovane neolaureato, cui affidare il compito di svecchiare la PA.

c. 4 - 3) forme semplificate di svolgimento delle prove scritte, anche concentrando le medesime in un'unica prova sulle materie previste dal bando, eventualmente mediante il ricorso a domande con risposta a scelta multipla;

c. 4 - 4) per i profili tecnici, lo svolgimento di prove pratiche in aggiunta a quelle scritte o in sostituzione delle medesime;

c. 1 - a) nei concorsi per il reclutamento di personale non dirigenziale, l'espletamento di una sola prova scritta e di una prova orale;

Un conto è semplificare le prove, idea corretta. Altro è eliminarle.

Il d.l. 44/2010 segue la stessa idea, esiziale, di tutte le riforme degli appalti: queste, per “semplificare”, finiscono di fatto per cancellare sempre più le gare, specie nel sotto soglia.

Il d.l. 44/2021 e soprattutto le indicazioni sulle riforma della PA presenti nel recovery plan allargano a dismisura le maglie delle assunzioni per chiamata diretta, praticamente senza concorsi o con procedure denominate così, ma rimesse all’arbitrio di chi recluta: arbitrio, spesso, poi determinato da tessere, rapporti, fedeltà.

c. 4 - 5) lo svolgimento delle prove di cui ai numeri da 1) a 3) e la correzione delle medesime prove anche mediante l'ausilio di sistemi informatici e telematici;

c. 1 - b) l'utilizzo di strumenti informatici e digitali e, facoltativamente, lo svolgimento in videoconferenza della prova orale, garantendo comunque l'adozione di soluzioni tecniche che ne assicurino la pubblicità, l'identificazione dei partecipanti, la sicurezza delle comunicazioni e la loro tracciabilità, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e nel limite delle pertinenti risorse disponibili a legislazione vigente;


c. 2. - Le amministrazioni di cui al comma 1, nel limite delle pertinenti risorse disponibili a legislazione vigente, possono prevedere, in ragione del numero di partecipanti, l'utilizzo di sedi decentrate con le modalità previste dall'articolo 247, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, e, ove necessario, la non contestualità, assicurando comunque la trasparenza e l'omogeneità delle prove somministrate in modo da garantire il medesimo grado di selettivita' tra tutti i partecipanti.

L’idea dell’utilizzo di sistemi informatici, come si nota, non è per nulla nuova.

La pandemia ha fatto capire che era finalmente doveroso, oltre che possibile, attivarle.


c. 3. Fino al permanere dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020, per le procedure concorsuali i cui bandi sono pubblicati alla data di entrata in vigore del presente decreto le amministrazioni di cui al comma 1 prevedono, qualora non sia stata svolta alcuna attività, l'utilizzo degli strumenti informatici e digitali di cui al comma 1, lettera b), nonchè le eventuali misure di cui al comma 2, nel limite delle pertinenti risorse disponibili a legislazione vigente. Le medesime amministrazioni, qualora non sia stata svolta alcuna attività, possono prevedere la fase di valutazione dei titoli di cui al comma 1, lettera c), dandone tempestiva comunicazione ai partecipanti nelle medesime forme di pubblicità adottate per il bando e riaprendo i termini di partecipazione, nonchè, per le procedure relative al reclutamento di personale non dirigenziale, l'espletamento di una sola prova scritta e di una eventuale prova orale. Per le procedure concorsuali i cui bandi sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al permanere dello stato di emergenza, le amministrazioni di cui al comma 1 possono altresì prevedere l'espletamento di una sola prova scritta e di una eventuale prova orale, in deroga a quanto previsto dal comma 1, lettera a).

La situazione di emergenza accentua la possibilità di ridurre il concorso ad una sorta di lotteria: una prova di un’ora (combinando questa norma al protocollo di sicurezza), senza nemmeno la prova orale, che nell’emergenza è una facoltà.

Pensare che sia più efficiente reclutare basandosi su titoli ed una prova di un’oretta, invece che su un profondo esame delle competenze e delle conoscenze, appare davvero velleitario.

c. 7 - 7. Per le finalità di cui al comma 4, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri provvede allo sviluppo di un portale del reclutamento per la raccolta e la gestione, con modalità automatizzate e nel rispetto delle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, e del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, delle domande di partecipazione ai concorsi pubblici e delle fasi delle procedure concorsuali, anche mediante la creazione del fascicolo elettronico del candidato. All'attuazione delle disposizioni del presente comma si provvede nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


Del portale del reclutamento si è parlato molto nelle interviste rilasciate dall’inquilino di Palazzo Vidoni.

Non è, tuttavia, nemmeno in questo caso un’idea nuova.


Il correttivo alla riforma dei concorsi che si intende approvare con la legge di conversione del decreto legge 44/2021 se da un lato conferma che l’articolo 10 del d.l. è norma frettolosa e da completare, dall’altro lato lascia ancora aperti i rischi dell’indeterminatezza dei criteri con i quali le amministrazioni decideranno in quale misura valutare titoli ed esperienze.

L’emendamento Bressa (si veda Italia Oggi del 6.5.2021) che interviene sull’articolo 10 non è risolutivo di molti dei problemi che stanno al fondo della disciplina dei concorsi.

Richiamando 3, comma 6, lettera b), numero 7, (a proposito di “semplificazione”…) della legge 56/2019, l’emendamento ricorda che titoli ed esperienze non possono contare per il punteggio complessivo oltre in misura maggiore al 33%.

Un terzo del totale è comunque un peso molto significativo e può consentire di far pendere decisamente la graduatoria finale da una parte o da un’altra.

In un sistema concorsuale che tende, nel nome di una concezione della semplificazione che basansosi sul salto di elementi essenziali delle procedure (piuttosto che sulla reingegnerizzazione dei processi) limita i concorsi ad una sola prova scritta e, nell’emergenza, anche senza alcun orale, non basta che la legge si limiti a stabilire quanto pesino titoli ed esperienze. E’ necessario che si determini un sistema per fissare come valutare titoli ed esperienze, in modo che non vi possano essere differenze tra un ente e l’altro.

Il Legislatore dovrebbe preoccuparsi di determinare con chiarezza e in modo inderogabile quale punteggio, nei concorsi, corrisponda ad un diploma in rapporto al voto, ad una laurea triennale, ad una laurea magistrale o del vecchio ordinamento, sempre in rapporto al voto, e ad un master (di quale livello?), o un corso post universitario (di quante ore?), o a un dottorato.

Tanto a maggior ragione, occorrerebbe tipizzare le esperienze professionali, spiegando in cosa consistano: volontariato, tirocini, contratti di collaborazione, contratti professionali, pubblicazioni, con soggetti anche privati, per quanto tempo, con quale qualifica, con quali criteri di assimilazione delle qualifiche a quelle oggetto del concorso.

Lo scopo di una tabellazione e preventivazione dei pesi dei punteggi dei titoli e delle esperienze sarebbe duplice. Da un lato, semplificherebbe davvero e di gran lunga le procedure: poiché i titoli sono presentati insieme con la domanda, un sistema precostituito ed uniforme per la loro valutazione consente, utilizzando una specifica piattaforma informativa, con semplicità di attribuire i punteggi e di fare anche “preselezione”, laddove il bando specificasse a monte che l’ammissione alle prove scritta e orale sia riservato ai candidati in possesso di un punteggio superiore ad una certa soglia.

In secondo luogo, la prefissazione dei punteggi per i titoli e soprattutto le esperienze contribuirebbe a mettere i concorsi al riparo dal rischio dei cosiddetti “bandi fotografia”, tagliati su misura di alcuni candidati.

Non è opportuno che due enti valutino i titoli e le esperienze di una stessa persona in modo diverso. Il rischio è che ciascun ente possa combinare i punteggi in modo da spingere e favorire certi curriculum invece di altri.

Una tabellazione vincolante dei punteggi dei titoli e delle esperienze limiterebbe la discrezionalità delle amministrazioni? Certo. Ma, non si deve dimenticare che l’articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 190/2012, la legge “anticorruzione” considera proprio le procedure concorsuali (insieme a quelle di appalto, erogazione di contributi e concessioni ampliative) caratterizzate per loro stessa natura da un elevato rischio, connesso proprio a procedure ritagliate su certe figure.

L’emendamento alla legge di conversione cerca di contenere l’effetto dell’eccessiva semplificazione dei concorsi legato alla riduzione delle prove ed al peso molto forte di titoli ed esperienze, specificando che la fase di valutazione di detti titoli ed esperienze alle successive fasi possa valere solo per profili qualificati dalle amministrazioni procedenti “ad elevata specializzazione tecnica o amministrativa”. Ma, sostanzialmente tutti i profili di funzionario sono ad elevata specializzazione. Sicchè nei fatti la restrizione del campo di applicazione dei titoli è più apparente che reale.



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